Il Giappone è una Nazione rinomata per le sue tradizioni. Spesso, quando accompagno i gruppi di viaggiatori per le splendide città che costellano il Paese, mi sento chiedere di vedere “il vero Giappone”.
Tralasciando il concetto, che meriterebbe un articolo a parte, immagino che quello che intenda la maggior parte delle persone sia un luogo punteggiato di elementi mistici e religiosi, in cui la tradizione si legge nelle rughe degli anziani che mantengono vivi i ricordi degli avi senza lasciarsi intaccare dall’arrivo della modernità.
Quando si parla di Kyoto o Nara, si tratta di vincere facile.
Quando invece ci si sposta su Tokyo, spesso vedo nasi storcersi e sospiri delusi lasciare labbra imbronciate.
Per fortuna, che in realtà fortuna non è, basta sapere dove cercare e anche la metropoli offre angoli di “vero Giappone”. Un’opzione molto affascinante, universalmente accettata come vestigia di un tempo che fu, è il mondo del sumo.
Sumo: lo sport nazionale
Il sumo è definito sport nazionale, insieme al baseball (anche qui si storce il naso perché è un imbastardito retaggio dell’occupazione americana), e narra di tempi antichi e riti sacri.
Storicamente nasce come preghiera rituale rivolta alle divinità Shinto in forma di danza, per intrattenerle, in modo da convincerle a concedere un buon raccolto. L’area dello scontro era delimitata da balle di fieno, le tawara, ed era il rito principale durante le festività.
La codificazione del regolamento, quello più vicino a quello moderno, arriva solo nel periodo Edo (1603 – 1867), quando piano piano da evento specifico delle feste diventa un vero e proprio sport seguito da un pubblico. E qui torniamo a Tokyo e alla nicchia tradizionale che si va cercando.
C’è un quartiere, un po’ lontano dalle zone della vita notturna, che si chiama Ryogoku.
Qui venne eretto il primo stadio dedicato, agli albori del 1900. Poi, solo dopo la seconda guerra mondiale, la città abbandonò l’esclusiva, palestre e stadi crebbero su tutto il territorio nazionale. Tuttavia se si desidera assistere agli incontri e agli allenamenti è proprio in questo quartiere di Tokyo che si deve andare.
Tra modernità e tradizione
Nonostante sia passato da danza rituale a sport, il sumo non ha abbandonato le regole e le cerimonie che lo caratterizzavano.
Innanzitutto: in cosa consiste effettivamente?
Uno scontro si svolge in un ring sacro di circa 4 metri e mezzo, il cui pavimento è in argilla, che si chiama dohyo.
Per vincere si deve forzare l’avversario ad uscire da suddetto cerchio, oppure costringerlo a toccare il terreno con qualsiasi altra parte del corpo che non siano le piante dei piedi.
Gli atleti si chiamano rikishi e sono divisi in 6 ranghi in base alle loro abilità e non al peso.
Un incontro è diviso in parti rituali, non sono solo due lottatori che si scontrano.
Inizia con lo shikiri, il momento in cui si sfidano con gli sguardi, salgono sul ring, rigorosamente prima il lottatore da Est e poi quello da Ovest.
Dal momento in cui entrano nel ring, i lottatori hanno 4 minuti per prepararsi all’incontro.
Si inchinano a vicenda, eseguono quindi lo shiko, movimento di gambe considerato un modo per scacciare i demoni dal dohyo e battono le mani per richiamare le divinità, come si fa nei santuari shintoisti davanti all’altare.
Quindi, ricevono da un altro rikishi, che non deve essere già stato sconfitto durante la giornata, la chikara mizu, acqua con cui si puliscono la bocca. Letteralmente si traduce come “acqua della forza”. Con questo passaggio ricevono la forza da un compagno vittorioso.
Subito dopo riceve il chikara gami, un piccolo foglio di carta con cui si asciugherà le labbra (anche in questo caso si parla di “foglio della forza”).
I due atleti dovranno poi prendere una manciata di sale e lo lanceranno sull’argilla per purificare il ring e quindi alzeranno le braccia al cielo per mostrare che nessuno dei due porta con sé delle armi. Tali movimenti si chiamano chiri-chozu.
A fine incontro, i lottatori devono inchinarsi nuovamente, e mentre lo sconfitto si ritira, il vincitore si accovaccia e muove la mano destra come se stesse facendo scorrere una porta.
Se c’è un premio in denaro nell’incontro, viene consegnato dal gyoji (arbitro) sul suo gunbai (ventaglio da guerra). Prima di raccoglierlo, il vincitore esegue un movimento chiamato tegatana, che consiste in tre colpi in aria. Tale gesto significa che accetta il premio con gratitudine.
Tornei
Il ring di ogni stadio deve essere purificato prima di essere usato, appena dopo essere stato costruito, una volta prima di ognuno dei sei tornei annuali.
Ciò avviene nel dohyo matsuri. Si tratta di una cerimonia shintoista che dura circa 30 minuti. Il pubblico può assistere ma deve seguire diverse regole: non è consentito parlare, mangiare, bere per tutta la durata e inoltre è obbligatorio rimanere seduti.
I tornei annuali di sumo si tengono tra i vari stadi, ma tre di sei hanno luogo a Tokyo presso il Ryogoku Kokugikan a gennaio, maggio e settembre (è possibile acquistare i biglietti sul sito ufficiale – non vi preoccupate, è in inglese). La mattina si affrontano i ranghi più bassi e mano mano che si avanza durante la giornata cominciano a farsi avanti gli atleti più forti.
Quindi ci troviamo davanti a una cerimonia, più che solamente a uno sport.
Una serie di riti testimoni di altre epoche, di come l’uomo, da sempre, ha cercato di danzare attraverso le avversità.
Stay kind
Love, Monigiri