Un’annosa questione, che ci perseguita da molto tempo, nasce dalla traduzione e dall’adattamento dei titoli sia di film, sia di fumetti – e anime -, sia di libri. In realtà se volessimo essere davvero puntigliosi è una questione che si estende anche un po’ oltre, passando anche dai sottotitoli delle piattaforme di streaming o dalle conversazioni di film d’animazione.
Quello che voglio cercare di fare è una panoramica delle traduzioni/adattamenti con cui abbiamo a che fare tutti i giorni e magari di cui non ci rendiamo conto perché o non conosciamo il titolo di partenza o non conosciamo la lingua.
Prima di cominciare vorrei fare un disclaimer: il mio non vuole essere un attacco a chi si è occupato di quelle traduzioni che mi sono piaciute di meno, credo ci siano nel processo diversi passaggi di cui non so nulla, spesso si hanno le mani legate e non si può fare altrimenti. Molte volte penso ci siano coinvolti interessi economici e commerciali che forzano determinate scelte. Non voglio fare un processo, ma mostrare quello che a volte non vediamo.
Se scappi ti traduco
In questa prima parte mi soffermerò su quelle scelte che sono riuscita a comprendere di meno, e no non ho intenzione di citare Voi-sapete-chi, se ne è parlato così tanto che il processo è diventato stancante.
I primi due esempi che mi interessa portare alla vostra attenzione riguardano quattro romanzi che mi son molto piaciuti:
- Le quattro casalinghe di Tōkyō
- Basta un caffè per essere felici
- Il primo caffè della giornata
- Finché non aprirai quel libro
Questi due esempi hanno problematiche differenti, secondo il mio punto di vista.
Prima prova
Cominciamo con “Le quattro casalinghe di Tōkyō”, il suo titolo originale è オウト, ovvero “Out”.
Da un primo sguardo si vede già l’enorme disparità tra i due titoli, ma potrebbe essere stata una scelta dettata dal desiderio di rendere maggiormente chiaro l’argomento del libro.
Il romanzo, di Kirino Natsuo, uscito in Giappone nel 1997 e in Italia arrivato nel 2003, racconta di quattro donne che lavorano insieme in uno stabilimento che impacchetta i bento (i pranzi già pronti). Vengono da background diversi e si conoscono sul posto di lavoro, e sono accomunate da una vita che non sentono propria. Si legano maggiormente perché una di loro uccide il marito e si fa aiutare dalle altre a occuparsi del corpo.
Non vi preoccupate nessuno spoiler, succede praticamente subito ed è quello intorno a cui gira poi tutta la vicenda.
La domanda che sorge spontanea è quindi: ma le casalinghe? Non ci sono. Certo il lavoro è part-time ma è uno dei punti focali del libro.
Le domande che seguono sono: ma allora perché il titolo? Perché si occupano di cibo? Perché sono donne? Perché?
È stato fatto per dare un contesto? Ma se il contesto è sbagliato perché sceglierlo? A questo punto si poteva optare per “Le quattro impiegate di Tōkyō” o “Quattro donne”.
Il titolo originale, Out, è stato scelto con minuzia. Le quattro donne (si quello è giusto, sono quattro) si sentono fuori posto, ognuna ha una serie di problemi personali che le fa sentire a disagio, bloccate in un limbo, fuori dalla società ma mai dentro loro stesse.
Seconda prova
Gli altri tre libri penso invece cadano sotto una semplice mossa di marketing. Una concatenazione di titoli raggruppati per dare le stesse sensazioni e portarti ad agire basandoti sulla prima impressione e la confortante sensazione del conosciuto.
Nel 2015 arriva in Italia “Finché il caffè è caldo” di Kawaguchi Toshikazu ed è un successo stratosferico – in realtà non solo in Italia ma non ci interessa attualmente-.
Il titolo originale è コーヒーが冷めないうちに (ko-hi- ga samenai uchi ni) a grandi linee : Fintanto che il caffè non si raffredda. Ok ci siamo, ha assolutamente senso.
Nel 2021 arriva il seguito, da noi tradotto con “Basta un caffè per essere felici” .
Il titolo originale è この嘘がばれないうちに (kono uso ga barenai uchi ni) ovvero: Fintanto che questa bugia non viene scoperta, sempre a grandi linee.
Arriviamo al 2022 con il terzo libro della saga, “Il primo caffè della giornata”.
Titolo originale a seguire 思い出が消えないうちに (omoide ga kienai uchi ni) tradotto : Fintanto che i ricordi non si cancellano.
Vedete la mossa? Hanno collegato i tre libri utilizzando il caffè anche se in realtà nei titoli originali se ne parla solo nel primo.
Che dire, ovviamente si svolgono tutti e tre in una caffetteria e quindi hanno voluto sottolineare che facevano tutti parte della stessa saga.
Poi questo mese è arrivato “Finché non aprirai quel libro” di Aoyama Michiko, e tutti lo stanno già paragonando a “Finché il caffè è caldo”, sottolineando che hanno le stesse vibrazioni (l’ho appena cominciato, vi farò sapere).
Il titolo originale, ovviamente, è un altro: お探し物は図書室まで(Osagashimono ha toshoshitsu made) Quello che cerchi dalla stanza dei libri.
È stato mantenuto lo stesso schema dei libri di Kawaguchi per spingere i lettori a incasellarli nella stessa tipologia e, di conseguenza, a comprarlo.
Le traduzioni letterali
D’altro canto, sì sembra che non mi vada mai bene niente ma sta tutto qui il concetto dell’adattamento, fare una traduzione troppo letterale strappa l’opera della sua poesia.
Faccio un esempio anche di questo.
Non so se avete visto “Belle” l’ultimo film di Hosoda Mamoru – se non l’avete visto ve lo consiglio, in alcuni momenti parte per la tangente ma è bello e ha una splendida colonna sonora – , c’è un personaggio che dice a un altro “Hai il mio sostegno”, no non si parla di politica ma di competizioni sportive. Noi cosa diremmo normalmente? “Tifo per te!”
La parola originale usata è おうえん (ouen) che letteralmente significa “essere di supporto, di aiuto, fare da rinforzo” ma, di seconda battuta vuol dire “tifare”.
Essere troppo fedeli alla lingua può creare frasi rigide.
Probabilmente in questo caso volevano sottolineare quanto il personaggio fosse in imbarazzo a dire questa frase, tanto da pronunciarla in maniera un po’ ingessata.
Tuttavia durante tutto il film ci sono altre frasi che suonano stonate e quindi il dubbio sorge spontaneo.
La ragione sta nel mezzo
Naturalmente, e come sempre, la soluzione migliore per me sta nell’equilibrio.
Tradurre il traducibile, eliminare l’inutile e trasporre il significato in maniera comprensibile.
Anche qui, ovviamente, abbiamo un esempio.
Dai libri, ai film, arriviamo agli anime.
Il bellissimo Demon Slayer ha un titolo interessante e secondo me ben riuscito.
L’originale, come penso saprete, è 鬼滅の刃(Kimetsu no yaiba). A volerlo tradurre letteralmente sarebbe qualcosa come: La lama che distrugge i demoni.
Capiamo tutti che riportare tutto non era necessario e che invece la scelta fatta sia molto elegante e decisamente diretta e comprensibile.
È stata eliminata la parola “spada” che comunque è già implicita nella parola “slayer”, mantenendo solo due elementi hanno reso un titolo elegante e asciutto, senza sbrodolare.
Certo non è sempre semplice e non è sempre fattibile.
La cosa che mi impensierisce è che spesso sembra vengano fatte delle scelte perché se no altrimenti “Il pubblico non capirebbe” e mi sento un po’ presa in causa, mi sento sottovalutata.
Se questo è il caso vorrei rassicurare che né io né la maggior parte dei lettori siamo incapaci di apprezzare e farci interessare da titoli un po’ più criptici, per sbirciare il contenuto in quarta di copertina, o lasciare che libro ci parli sussurrando, promettendoci segreti che scopriremo solo portandolo a casa.
Per quanto riguarda invece la parte di marketing, bè la capisco e non mi fa impazzire, vorrei che ogni libro ci parlasse per ciò che è e non per ciò che crediamo che sia.
Stay Kind
Love, Monigiri