Parliamo di Lucca!
È stato un Comics straordinario sotto ogni punto di vista, oggettivo e personale. Abbiamo superato il San Diego Comic-Con, diventando così il secondo evento di pop-culture per scala e importanza mondiale, Niente da Dire è diventato il partner ufficiale del festival, e io sono entrato a far parte di questa squadra dopo aver seguito le loro avventure per tanto tempo. Potrei parlare dell’onore che questo comporta o anche solo del senso di appartenenza che è scaturito da queste giornate, ma ci sarà tempo e luogo per essere melensi. Nel frattempo, vorrei parlarvi di come ho vissuto questa edizione LC&G 2022 nel suo complesso, e di come penso si sia evoluto lo spirito di questo evento.
La prima volta che sono venuto al Lucca Comics avevo undici anni. La Compagnia dell’Anello era appena uscito al cinema e io attraversavo le medie circondato da coetanei che mollavano di colpo la zavorra dei giochi e delle passioni d’infanzia per buttarsi a capofitto nel mondo un po’ conformato dell’adolescenza di periferia. Temevo che sarebbe stato anche il mio destino, o che sarei rimasto solo, con i miei fumetti Marvel e i miei dibattiti su chi fosse più forte tra Goku e Vegeta. Ma poi è arrivata Lucca. Mio padre mi ha guidato attraverso una fila interminabile, e in quella fila, sotto la pioggia che cadeva a tratti, ho visto Gandalf. E un piccolo Frodo, e poi Legolas, Elfi e Hobbit e raminghi di tutte le età. Entro in città e l’universo, il mio universo, si allarga di colpo. I colori e i costumi della mia infanzia traboccano da tutte le parti, affollano le mura e inondano le strade. Già allora, con emozioni che solo adesso riesco a tradurre in parole, capisco: l’infanzia è sostenibile. La nostra identità (quella vera) è sostenibile.
Ognuno di noi ha la sua versione di questa storia. Perché per i nerd della prima ora, questo posto significa tutto. Significa imprinting. Ma eravamo all’inizio, una comunità che per la prima volta si affacciava timidamente e mostrava il suo volto alla cultura mainstream. Adesso, a distanza di anni, siamo cresciuti. Non perché siamo diventati adulti (questo mai), ma perché siamo diventati grandi. Lo spirito che prima si affacciava timido al mondo, adesso cammina a testa alta, e non da solo. Per questo non è un caso che, tra tutti i suoi ospiti internazionali, Lucca abbia scelto come “padrino” proprio Tim Burton. Già di per sé, Burton è l’icona vivente dell’outcast, dell’emarginato, del diverso che, malgrado le torce e i forconi, va per la sua strada. Ce l’ha mostrato all’alba della sua carriera, più di trent’anni fa, e adesso ritorna per mostrarci qualcosa di nuovo. Perché diventando regista e showrunner della serie Netflix Mercoledì, e presentando il progetto proprio a Lucca, Burton crea un meraviglioso e attesissimo quanto stravagante matrimonio poliamoroso. Un matrimonio che vede finalmente unirsi tre simboli mondiali dell’affermazione del diverso, del provocatorio.
“Al liceo mi sentivo come Mercoledì”, ci confessa Burton alla conferenza stampa. “Ero un ragazzo ma mi sentivo come lei”. E i suoi primi lavori ce lo dimostrano, la storia di un timido bambino che vuol essere Vincent Price, un giovane artista con fame di horror e macabro, un freak autoproclamato in attesa di fare finalmente coming out. Insomma, Burton è nato per dirigere la Famiglia Addams, lo abbiamo sempre detto tutti a gran voce, ma non è solo questo a rendere quest’unione degna di nota. Lo è soprattutto il fatto che si parla finalmente di una Mercoledì adulta (anzi, grande), che si emancipa dalla famiglia, e si affaccia al college come protagonista della serie e della sua stessa vita. Certo, anche da bambina è sempre stata forte, basti pensare al capolavoro iconoclasta della ribellione durante la recita del Ringraziamento in La Famiglia Addams 2 (1993), ad opera della geniale Cristina Ricci. Ma proprio questa sua natura ci ha sempre spinti a chiederci di quali grandi cambiamenti sarebbe stata capace questa persona una volta raggiunta la maturità, o meglio, di cosa sarebbe diventata il simbolo.
“Mercoledì dice sempre quello che pensa”, ci spiega Burton. E non con smania di affermare se stessa, ma con una “forza calma” che non necessita conferme, non si scalfisce né si conforma. È a questo che Burton si è ispirato crescendo, come autore e come persona. Ha lottato per la sua identità, ci ha spinto con ogni suo film a nutrire le nostre peculiarità, le nostre mutazioni, i nostri aspetti più intimi e sinceri, anche quando, e soprattutto quando il mondo li etichetta come stravaganti o mostruosi. Al di là dei suoi capolavori oggettivi, dei suoi film più o meno riusciti, non possiamo negare l’importanza storica della figura di Tim Burton come campione dei freak e dei diversi in ogni loro manifestazione. È anche merito suo se la comunità nerd è cresciuta, se negli anni abbiamo trovato la forza di uscire dall’ombra, quella forza calma di sfilare per le strade in costumi che finalmente rappresentano la nostra natura a prescindere da età, genere o etnia, fondendoci sempre di più con l’approccio e la causa della comunità LGBTQIA+ in un viaggio comune.
Per questo il ritorno sugli schermi di una Mercoledì Addams più grande e forte è per noi così potente. E per questo vedere Tim Burton che si affaccia al balcone di Lucca come un Papa della controcultura è, al di là di ogni retorica, così importante. Un Tim Burton ormai simbolo, in pieno ‘cosplay di se stesso’, giacca e cappello neri e occhiali scuri enormi come gli occhi di un insetto, che sorride e saluta la folla di nerd e cosplayer, un’intera cultura di accettazione e affermazione dell’io che ha contribuito a creare, con la forza calma di chi non ha da dimostrare niente. Non perché è diventato famoso, ma perché, come il Lucca Comics & Games, e come tutta la nostra comunità, è cresciuto fino a diventare ed affermare se stesso.
di Lorenzo Pelosini