Ovunque mi giro, c’è una ragazza stupenda che incrocia il mio sguardo. Mantengo il controllo e continuo a camminare. Accanto a me c’è il resto della redazione: a destra, a sinistra, davanti e dietro. Una famiglia che mi sono scelto e costruito, passo dopo passo, negli anni.
Intorno a noi ce n’è un’altra, enorme e inconsapevole, fatta di persone che magari nemmeno si conoscono tra loro. È il Pride di Milano. Stiamo camminando sotto il sole, tutti uniti, felici, con le bandiere che sventolano — chi le tiene in mano, chi le porta nel cuore.
C’è chi si bacia, chi si abbraccia, chi mantiene una distanza rispettosa. Ma in ogni gesto si sente una voglia di cambiamento, o almeno uno sforzo collettivo per fare in modo che quello che abbiamo provato noi, qualcun altro non debba più provarlo.
Così guardo avanti, come fanno tutti, e continuo a seguire i carri.
“Carnevalata”, dicono alcuni.
“Pagliacciata”, dicono altri.
Cosa dicono gli altri non importa.
La verità è che non importa. È libertà di espressione, e l’espressione è diversa per ognuno. È normale che, messe tutte insieme, diventino qualcosa di unico, persino strano, magari incomprensibile.
Come sempre, è lo “spettro” a fare paura. Fa paura a chi non lo capisce, a chi non sa cos’è. Ma soprattutto, a chi non vuole neppure fermarsi un momento per capirlo. Perché l’ignoranza è colpa solo quando non si fa nulla per fermarla, per impedirle di crescere.
A un certo punto, vicino a Piazza Gae Aulenti, mi volto verso sinistra e la vedo: una piccola bandiera marrone (grazie al cielo poi l’hanno cambiata), che si staglia tra la folla accanto a un grande cartellone con scritto: Poliamore Milano.
Non avevo mai visto una bandiera del Poliamore. Sapevo che esisteva, certo, ma non l’avevo mai vista sventolare. Anzi, ho sempre faticato anche solo a trovare qualcun altro che si definisse poliamoroso, come me.
E invece, eccola lì. E mi piace.
Mi scalda.
E non è il sole sopra la testa, è qualcos’altro.
È un pezzetto di rappresentazione.
Perché urlare al mondo che non esiste un solo modo di amare è una cosa che al Pride riesce benissimo. Ma il Poliamore, quello, è raro. Raro come un Mew vicino alla motonave Anna (i più vecchi sanno).
E allora, il passo che faccio dopo aver visto quel cartello è più solido.
E da allora, non ho più smesso di camminare.
di Daniele “Rinoceronte” Daccò