Paura e Rinoceronti a Las Vegas

La rubrica del Rinoceronte si è presa una pausa, io mi sono preso una pausa.

Non dalla scrittura, ma dal mio spazio personale che condividevo con voi. Lo avrete notato, o forse no. Il mio rapporto con Niente Da Dire non è cambiato, ma mi sono messo a combattere per lui dal dietro le quinte, racimolare contatti, eventi e portarlo nel mio zainetto dimenticandomi di sciogliere i lacci e di controllare come stava di tanto in tanto.

Niente Da Dire sta bene, per fortuna c’è una intera redazione che se ne occupa.

Allora, di cosa avevo paura? Ho trovato uno spiazzo sulla scalata infinita e mi sono seduto su un ceppo a pensare. Di cosa ho paura io?

Forse del tempo che scorre? Potrebbe essere. Non della morte, quella no.

Di non essere ricordato? Ecco il punto. Questo succederà se smetto di scalare, di scrivere ed è venuto il momento di appropriarmi nuovamente di tutto quello “che-è-nuostro

Lucca è vicina, e Lucca è sempre stata un momento di nuovi inizi.

Il concetto di grandezza, spesso associato a conquiste, potere e notorietà, è una delle ossessioni più antiche dell’umanità. Non la mia. Una volta forse, da ragazzino esaltato, ora no. Ora c’è il ricordo: non sto facendo quello che faccio per diventare una memoria, lo sto facendo perché mi fa felice, ma so anche che è importante per me il lascito: tutta colpa di “C’era due volte il Barone Lamberto”.

Ma cosa significa davvero essere “grandi”? In Harry Potter e la Pietra Filosofale, Olivander pronuncia una frase che ha lasciato un segno indelebile in me:

“Cose terribili certo… Ma grandi”

Questa riflessione, apparentemente riferita alla potenza oscura di Lord Voldemort, apre a una riflessione più profonda e amara: cosa spinge qualcuno a essere ricordato a ogni costo? Perché dimenticare è la paura più grande di tutte? E perché sono maledetto da questa necessità?

Cose terribili, certo… Ma grandi, Signor Potter

Viviamo in un’epoca dove l’oblio è la vera minaccia.

La tecnologia ci permette di essere visibili sempre e ovunque, ma proprio in questa esposizione costante si cela il terrore di non essere mai davvero visti. Essere dimenticati, il dissolversi nella nebbia dell’irrilevanza, è il più terribile degli incantesimi. Non a caso, la cultura pop è piena di figure che lottano disperatamente per lasciare un segno, anche quando quel segno implica scelte oscure e terribili. Non inseguo la notorietà dei social: mi serve, ma non è mai stato un traguardo, solo un mezzo.

L’immortalità si raggiunge attraverso i libri, per me.

Voldemort, in fondo, non è così diverso da chi cerca disperatamente di accumulare follower, di rendersi immortale tramite un retweet, un like, o un trend virale. Il suo desiderio di grandezza nasce dalla paura di essere dimenticato, una paura che lo consuma e lo guida verso decisioni disastrose. Allo stesso modo, molti di noi oggi lottano per la rilevanza, temendo di svanire nell’ombra di un mondo che va troppo veloce per ricordare tutti. Io non sono così: prima di tutto ho il naso.

Eppure, c’è qualcosa di profondamente malinconico in questo desiderio di grandezza. Non è una ricerca di autenticità o di connessione, ma una lotta contro il vuoto, contro quel silenzio che ci fa sentire invisibili. In questo senso, l’ossessione per la memoria, per essere “grandi” a tutti i costi, diventa una gabbia. Ma nonostante questo, comunque, dopo anni in questo lavoro ho capito che nella grandezza, intesa solo come memoria, si annida la solitudine.

Forse, la sfida più grande non è fuggire l’oblio, ma imparare ad accogliere l’idea che l’importanza non si misura in quante persone ci ricordano, ma in come scegliamo di vivere il nostro tempo, anche se destinato a svanire.

Ma sono tutte frasi fatte, la verità è che, se porta felicità, anche qualcosa di superficiale smette di esserlo. Perché si muta in crucialità per qualcuno. Per quanto effimeri, i like sono inseguiti da molti con sincero interesse e impegno, un impegno serio e costante che non è mai sinonimo di superficialità.

Allora come sconfiggiamo la paura sta esclusivamente a noi. Io combatto, costantemente, parola dopo parola, lettera dopo lettera, questo terrore che, per quanto corra, non riesco a seminare.

di Daniele “Il Rinoceronte” Daccò

Daniele Dacco
Daniele Dacco
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