Il pericolo evocato, la paura dell’ignoto, di diventare una nuvola di polvere e fumo nella memoria di chi ci circonda. Che siano ricordi della nostra presenza o ricordi assenti nella nostra assenza.
La paura può manifestarsi in diversi modi: essa è soggettiva e può avere l’aspetto di una fobia o di un terrore senza motivo apparente. Le sinapsi che collidono su un unico pensiero, gli occhi stretti e le membra tremanti.
Ma questo è uno spazio delimitato, quindi racconterò di una paura che declinerei in tre forme differenti: l’essere dimenticati, che sia svanendo dai pensieri delle persone, dai sogni del soggetto amato o dalla terra che calpestiamo ogni giorno sotto i piedi.
Annullarsi, come corpo o nelle azioni. Siamo animali sociali, quanto può essere terrificante lasciare un vuoto di cui nessuno si accorge?
Paura nel sociale, urlo ma non mi ascolta nessuno
Come individui ogni giorno apprendiamo, ci evolviamo, facciamo esperienza del mondo. Da soli, come scrivo spesso, penso non andremmo tanto lontano né svilupperemmo un senso critico così spiccato.
Osserviamo idoli, proviamo a costruire un piccolo riflesso della nostra personalità all’interno del tessuto sociale, ma non sempre ciò riesce. Siamo tanti, tutti protagonisti, impilati nella stessa vetrina. Esposti, nudi, sotto gli occhi di centinaia di persone che ci osservano da altre prospettive trasparenti.
Lì, in quello spazietto stretto e claustrofobico, delineato da milioni di profili, quanto riesce a permanere la nostra presenza? Eppure ci basterebbe solo l’impronta della nostra mano, stampata su quel cubetto di spazio. Urliamo ogni giorno, cercando di trovare un’identità, un lavoro, il compimento di ciò che ci fa sentire soddisfatti. Ma spesso cediamo il passo, nella paura del giudizio, dello scherno.
E svaniamo, in una stanza, in nessun ricordo.
Paura dell’assenza in amore, piango ma non mi ascolti
Stringere un’immagine tra le dita, che sia digitale o su di un piccolo ritaglio a colori. Annusare una maglia, afferrare un’esperienza passata tra le lacrime. Quanto può essere penoso sentirsi invisibili davanti agli occhi della persona amata?
Ricordo di aver visto anni fa Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello, per intenderci). Nella scena, Jim Carrey è davanti alla sua Kate Winslet, ma per lei quell’uomo è diventato un estraneo: non ha più memoria della loro storia insieme. È una figura come milioni nel mondo o anche nessuna di queste. Eppure lui muore per lei. Anche se la storia declina al peggio, se entrambi non riescono a capirsi, quell’amore lo ha bruciato totalmente ed essere niente per una persona che è il nostro universo rappresenta quel terrore che la notte fa singhiozzare e smettere di respirare.
L’amore a senso unico, l’amore negato, l’amore per quel nome che non è conscio della nostra esistenza.
Piango, ma non riesci più a sentirmi.
Paura di scomparire, la discesa inevitabile
Da quando proferiamo il nostro primo vagito, inizia il conto alla rovescia che dalla culla ci porta alla terra umida e fredda. La morte è una conseguenza inevitabile della condizione umana, un destino senza data e ora in cui interrompiamo i legami con il tangibile per entrare in uno spazio altro. Non rimango a discutere su quale posto tocca al nostro spirito, anima, essenza incorporea o qualsiasi altro nome che la nostra religione o filosofia possa usare. Torniamo alla paura.
L’angoscia che si presenta davanti agli occhi del bambino quando comprende la portata della morte: che sia al funerale di un parente o per nozione appresa. Quel terrore ci accompagnerà, a singhiozzo, per tutta la vita. La paura dell’ignoto, di essere coscienti che il mondo ci sostituirà, ci dimenticherà, che gli ingranaggi continueranno a camminare anche in nostra assenza.
Eppure un sentore del nostro profumo può rimanere. Ciò accade solamente se prendiamo coscienza che c’è bisogno di un deciso coraggio di esistere, di voler cambiare il mondo anche se in poche virgole, di amare talmente tanto forte da stravolgere il corso degli eventi. Il chiacchierato effetto farfalla: sbattere le proprie ali e generare uragani dall’altro capo del globo.
Scomparire, portare con sé ogni piccola traccia della nostra coscienza, ma lasciare alle spalle una rivoluzione. Della morte se ne è sempre parlato tanto, sia nell’arte che nella cronaca. Ne siamo ghiotti, affascinati e terrorizzati.
Una partita a scacchi con la morte, che ci porterà all’inevitabile scacco matto. Però, prima, la nostra regina deve farsi valere, al centro della scacchiera, contro le mani ossute che l’ostacolano. Gli stessi impedimenti che tentano di farci mollare tutto a ogni buongiorno o cattivo giorno. Ma poi riportiamo gli occhi alla partita, alla nostra prossima mossa. Il cavallo punta a L e l’alfiere gli copre i passi.
Ci si deve sentire vivi, in ogni piccolo gesto, in ogni pedone sacrificato, prima di far crollare a terra il re e stringere la mano della Signora Ultima.
Che bel viaggio.
Miriam My Caruso