Netflix One Piece: una lettera d’amore in live action un po’ spoiler

Gli inizi di settembre hanno portato l’uscita del live action del manga di One Piece sulla piattaforma Netflix e possiamo dire, senza alcuna ombra di dubbio, che la maledizione che aleggiava su questo tipo di intrattenimento è spezzata.

Spezzata grazie al cuore e alla passione che tutti i membri della “ciurma” (sia di attori che del team di produzione) hanno messo ai fini della realizzazione di questa opera che, nel suo grande e nel suo piccolo, omaggia la storia di Eichiiro Oda.

Si tratta di un vero e proprio miracolo se pensiamo ai più recenti esempi di live action: Saint Seiya – I cavalieri dello zodiaco, Full Metal Alchemist, Cowboy Bepop e Death Note sono solo alcuni nomi (non dimentichiamoci di Dragon Ball Evolution, lo so che state facendo gli gnorri!) di trasposizioni live action di racconti giapponesi che non sono riusciti nel loro intento base: quello di far vivere le stesse emozioni dell’opera di riferimento.

Il problema dei live action

Una produzione live action di un manga non deve essere una copia fedele 1:1 dello stesso, per quello esistono già gli anime. Ma può e deve essere un mezzo alternativo che faccia appassionare le persone alla storia, al mondo narrativo, alle tematiche e, soprattutto, ai personaggi. E per riuscire in questo difficile intento, il live action deve far rivivere il cuore dell’opera, tutte quelle emozioni -belle e brutte- che il mangaka ha deciso di far sentire ai propri lettori.

Voglio ribadire il concetto che non sempre è un compito facile, anzi. Molte storie manga viaggiano su mondi fantastici, grotteschi, surreali, così come le personalità dei personaggi che sono spinti all’eccesso. Questi elementi possono funzionare benissimo sulla carta o in animazione, ma nella pellicola del reale rischiano sempre di risultare “stupidi”, finti, plasticosi.

Il Miracolo del One Piece

One Piece, invece, c’è riuscito. C’è riuscito laddove solo pochi avevano raggiunto un buon livello di trasposizione (Rurouni Kenshin e Bleach, ad esempio) e ce l’ha fatta col cuore di tutti, dal cast completo al regista che ha seguito tutte le direzioni dell’Eiichiro Sensei, dal team di sviluppo dei set e delle bellissime musiche alla crew che ci ha creduto fino in fondo.

One Piece è una storia lunga, complicata, complessa, articolata, ricca di momenti divertenti e di sconforto, coraggiosa nel toccare tematiche sociali sensibili e ironica nel cambiare improvvisamente registro narrativo per farci ridere sopra le lacrime. È una storia dove la risata e i sogni sono il cardine principale. E nel live action di One Piece ritroviamo quelle risate e quel concetto di sogno a cui noi siamo legati in maniera quasi intima, soprattutto noi fan di vecchia data che seguono l’opera di Eichiiro Sensei dal 2001.

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Una visione personale

Questa lunga analisi del live action di One Piece viene da un grandissimo appassionato dell’opera originale, quindi è ovviamente una visione soggettiva. Ma sono convinto che anche la maggior parte dei non appassionati verranno catturati dalla storia e dai personaggi. L’anima stessa dell’opera originale è mantenuta nelle sue situazioni drammatiche e ironiche, soprattutto nei messaggi di fondo, che trovo particolarmente appropriati in questo momento storico.

Uno degli aspetti cardine di One Piece è la costante difesa e ostinazione verso i propri sogni. Un ancora giovane e sconosciuto Barbanera ci urlava in faccia, nel manga, “i sogni degli uomini non moriranno mai” e nel proseguo della storia vediamo come la rincorsa verso quel fine, quell’obiettivo, formasse la base dell’essere umano. E forse è proprio questa la risposta di Eiichiro Oda alla storica domanda che toglie il sonno ai filosofi fin dai tempi dell’invenzione della parola: “qual è il significato della vita?“. Una persona raggiunge il massimo di sé mentre insegue e raggiunge il proprio sogno, meglio ancora se con il sorriso.

La serie live action di One Piece non è perfetta e non vuole esserlo. Ci sono problemi registici, di sceneggiatura, di montaggio, di luci, di costumi (anche se li ho personalmente adorati tutti) e di casting (vedete più sotto), ma riesce a trasmetterci il sorriso. Ci smuove interamente a chiederci se anche noi abbiamo dei sogni che vogliamo inseguire, e cosa siamo disposti a fare per arrivare a essere felici con le persone a noi care.

Il cast principale

È indubbio che il punto di forza maggiore del live action di One Piece stia negli attori selezionati per i ruoli chiave dell’opera. Iñaki Godoy (Luffy) è perfetto nel ruolo del protagonista, con la sua innocenza e la sua risata (punto cardine del personaggio). E come potrebbe non esserlo, dato che è stato selezionato personalmente proprio da Eiichiro Oda? Lo stesso mangaka ha rivelato che, tra tutti i provini supervisionati, quello di Godoy lo ha catturato perché “lo ha fatto ridere”, “lui è il vero Monkey D. Luffy”. Immaginate l’emozione di sentire queste parole direttamente dal creatore stesso dell’opera!

Mackenyu Maeda (Zoro) ci regala un adattamento molto più dark ed edgy del cacciatore di pirati dalle tre spade, oltre che più violento. La scena iniziale dove compare il samurai è completamente inaspettata nella sua violenza! Encomiabile la scelta di presentare il personaggio in una scena mai vista né nel manga né nell’anime ma solo citata, ovvero l’invito da parte di Mr.7 a unirsi alla Baroque Works (piccolo hint alla seconda stagione? Lo spero! Voglio LUI -chi sa, sa-). Mackenyu è anche figlio d’arte: suo padre Sonny Chiba è stato un famosissimo attore e artista marziale giapponese, e lo ricordiamo per l’ottima parte nel live action di Rurouni Kenshin.

Emily Rudd (Nami) ha dimostrato di impersonare al meglio la rossa navigatrice, facendoci di nuovo piangere alla scena del coltello (nuovamente, chi sa sa). Emily ha rivelato svariate volte di essere una grandissima fan di One Piece, dimostrando in diverse interviste quanto vasta sia la sua conoscenza, e questo le ha permesso di conoscere tutte le sfaccettature e la psicologia di Nami, sapendo come interpretare momenti chiave nel corso della serie. E poi, oggettivamente, è bravissima come attrice.

Jacob Romero Gibson (Usop) è un attore ancora alle prime esperienze, si potrebbe quasi dire che One Piece sia la sua prima grande impresa. La prima volta che vidi il suo personaggio nel teaser trailer iniziale rimasi piacevolmente sorpreso. Credo che, a livello estetico, sia colui che visivamente rappresenta meglio il personaggio di riferimento. Purtroppo, tra tutti quelli della ciurma, è forse quello con meno “spotlight” nella serie, ma quando deve fare il suo lo fa alla grande. Anche se ha il naso di dimensioni normali.

E arriviamo all’ultimo personaggio della ciurma, Taz Skylar (Sanji). Devo essere sincero, il primo impatto con lui non è stato dei migliori, tra tutti è quello che meno sembrava prestarsi al ruolo del giovane cuoco rubacuori. Incredibile come mi sbagliassi. Taz ha dimostrato un enorme amore per il ruolo, tanto che per immergersi al 100% in esso, ha voluto imparare a cucinare – cucinando spesso e volentieri per tutta la crew – e ha ottenuto il 1st Dan di Taekwondo per apprendere lo stile di combattimento di Sanji. Se non è dedizione questa, non so cos’altro sia.

I cinque attori hanno forgiato una profonda amicizia anche al di fuori del set e scalda il cuore vederli scherzare e ridere nelle varie interviste e special rilasciati da Netflix. Sembra veramente di aprire le pagine del manga in uno dei momenti “morti” della ciurma di Cappello di Paglia quando si rilassano sul ponte della Going Merry.

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Il cast di One Piece (Rufy, Zoro, Nami, Usop, Sanji, e la crew al completo)

Le note positive del cast secondario

Ma un’opera, per essere completa, deve sorreggersi non solo sulle spalle del cast principale ma anche sui comprimari e sugli antagonisti. Ed è uno spettacolo per gli occhi (a parte alcune eccezioni). Senza citarli tutti, vorrei personalmente sottolinearne quattro che mi hanno colpito.

Morgan Davies (Kobi) ha una presenza enorme nella serie di Netflix, molto più che nell’opera originale, ed è estremamente convincente nella sua rappresentazione del giovane e insicuro cadetto dei marines.

Vincent Regan (Mokey D. Garp), con il suo forte accento scozzese, ci dona un’interpretazione del nonno del protagonista che ho adorato fin dalle prime battute. In alcuni momenti mi sembrava di vedere il Garp del cartone prendere improvvisamente vita nel corpo di Vincent. Un lavoro con i fiocchi (e abbiamo anche Bogart!).

Jeff Ward (Bagy il Clown) è stata la sorpresa della serie. Io ero uno dei pochi che difendeva a spada tratta l’immagine di Bagy del teaser trailer, secondo me era azzeccatissimo nella sua inquietante risata e presenza. E l’attore mi ha dato ragione, portando sulla scena un Pirata Clown molto più oscuro, cinico e spaventoso.

Infine abbiamo lui: Occhi di Falco. Steven John Ward (Drakul Mihawk) ha rubato ogni singolo frame dove è apparso nei panni del membro della Flotta dei 7. So di dire una cosa molto forte, ma ritengo che la versione live action dello spadaccino più forte del mondo sia addirittura superiore e meglio riuscita rispetto a quella del manga e dell’anime.

Se forse le lenti a contatto giallo/nere risultano troppo finte, il tono di voce denigratorio, sarcastico e annoiato è incredibilmente azzeccato, così come le movenze nei combattimenti e in generale la presenza fisica sullo schermo contribuiscono a donare al personaggio un’aura di potenza inarrivabile. Da citare l’ottimo lavoro del nostrano Maurizio Merluzzo per il doppiaggio di Mihawk.

Le note negative del cast secondario

Ma ogni medaglia ha due facce e se da un lato abbiamo ottime scelte di casting, dall’altra ci sono non pochi problemi. Peter Gadiot (Shanks) fa un buon lavoro nel rappresentare le gesta e la personalità del Rosso Imperatore, ma gli manca qualcosa, non riesce a dare al personaggio quel tocco di carisma in più che ci ha sempre affascinato nel mentore di Luffy.

Laudo Liebenberg (Benn Beckman), sebbene abbia pochissimo screentime, proprio non ci azzecca nulla come vice-capitano di Shanks.

McKinley Belcher III (Arlong) riesce con la voce a dare profondità e cattiveria al Capitano dei Pirati Uomini-Pesce, introducendo alcuni argomenti molto pesanti che verranno ripresi in futuro dall’opera originale, come ad esempio la questione del razzismo nel mondo di One Piece, ma la sua presenza fisica non si presta molto alle sue parole. Gli manca una certa stazza e sebbene questa cosa non mi dia problemi in altri personaggi (come Garp, ad esempio), qui invece è una grossa mancanza. Arlong è imponente, possente, gigantesco, come un forte uomo-pesce dovrebbe esserlo. Non ci siamo.

E lo so che son bambini e che son veramente bravi data la loro età, ma i giovani attori che interpretano i giovani Cappello di Paglia non mi hanno convinto. Forse solo Sanji è riuscito bene. Ma, di nuovo, sono giovanissimi, quindi glielo concediamo.

Gli archi narrativi

Otto puntate sono oggettivamente poche per riassumere le prime saghe di One Piece e ovviamente molti avvenimenti, personaggi e situazioni sono sacrificati per il proseguo della narrazione. Ho apprezzato come il regista sia riuscito ad inserire i flashback che raccontano l’infanzia dei protagonisti, spezzandoli a favore della continuità di ogni puntata.

Il lavoro di Netflix copre le mini-saghe di Morgan Mano d’Ascia, il combattimento con Bagy, le vicissitudini del villaggio di Usop, il Baratie e infine Arlong Park con l’introduzione degli Uomini-Pesce. Devo ammettere che, pur storcendo il naso su alcune imperfezioni e scene/personaggi tagliati, la narrazione è lineare e senza intoppi fino al combattimento finale (ecco, quest’ultimo forse un po’ troppo sbrigativo).

Ho apprezzato i momenti di raccordo tra una puntata e l’altra, con momenti di serenità sulla nave o attorno ad un tavolo a mangiare, o ad un vecchio che ti lancia palle di cannone con la mano. Ripeto, il live action di One Piece NON è esente da grossi difetti, anzi. Alcune relazioni sono state costruite in maniera troppo veloce, e vari fatti son stati dati troppo per scontato, e lo svolgimento di momenti chiave si sono sbrigati in un lampo. Ma, ribadisco, cercando di essere quanto più obiettivo possibile abbandonando il me fan della saga, il flow narrativo si districa in maniera semplice e chiara.

Il futuro…?

Possiamo dire, con relativa certezza, che il live action di One Piece ha ottenuto il successo che merita. Sono estremamente contento della cosa, soprattutto per gli attori principali che se lo meritano, dato il cuore che ci hanno messo. Quindi, possiamo fare delle previsioni per una seconda stagione?

Certo che si. Sono convinto che la storia proseguirà, a meno di ulteriori sviluppi negativi dello sciopero che sta colpendo Hollywood in questo momento. Mi sono fatto un’ipotesi su quello che vedremo nella prossima stagione, e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate a riguardo.

Partiamo dall’ipotesi personale che potrebbero esserci 10 puntate:

  • Le prime due vedranno la ciurma di Cappello di Paglia arrivare a Logue Town, dove Gol D. Roger è stato giustiziato, e successivamente superare il Promontorio Futago salutando Lovoon e Crocus.
  • Le successive due puntate vedranno come protagonista il dottore della Ciurma, Tony Tony Chopper, combattere contro Wapol nelle terre innevate dell’Isola di Drum. James Lee Curtis ha rivelato di essere una grandissima fan di One Piece, e che sua figlia la vorrebbe interpretare “Doctorine” Kureha, l’anzianissima ma arzilla dottoressa che adotta Chopper dopo la morte del suo primo genitore adottivo. Sarebbe bellissimo.
  • Una puntata deve obbligatoriamente essere ambientata a Little Garden, l’isola dove il tempo si è fermato. Qui non solo troviamo dinosauri (avete notato il dinosauro che appare nel live action? No? Beh, c’è un riferimento veramente palese, cercatelo!), ma abbiamo l’introduzione di Vivi, della Baroque Works (già citata nella prima puntata del LA) e dei giganti Dori e Brogi.
  • Tutte le restanti puntate in quella che è tra le migliori saghe di One Piece: Alabasta, il regno delle sabbie. Qui faremo la conoscenza di un’archeologa molto importante, ma soprattutto di uno dei miei cattivi preferiti di sempre, il capo della Baroque Works!

In conclusione, speriamo che Netflix abbia il coraggio di finanziare una seconda stagione, accettando le giuste critiche e migliorando un prodotto che ha sorpreso tutti quanti.

Le chicche per gli appassionati 

In conclusione a questa lunga digressione, vorrei aprire un piccolo contesto di spoiler per i fan più accaniti, riportando delle easter eggs che ho notato (so benissimo che non sono tutte, eh, per la lista completa vi rimando alla vagonata di video su youtube).

E’ risaputo che molte celebrità hanno assistito in prima persona all’esecuzione di Gol D. Roger a Logue Town. Nel live action vediamo quello che sembra essere Monkey D. Dragon, il padre di Luffy, nel suo iconico cappotto verde, dei giovani Mihawk e Shanks, e un ancora più giovane Smoker (il bambino dai capelli biondi).

Parlando di Smoker, sono letteralmente saltato sulla sedia nel teaser finale al proseguo della storia. Uno Smoker visto di schiena brucia con il sigaro la taglia di Luffy, incuriosendomi come poco altro nel sapere quale attore ci sia dietro il suo ruolo. Speriamo di vedere anche Tashigi, la sua vice, per la quale ho avuto una fortissima cotta da bambino.

E, in conclusione, spero di non esser stato il solo a piangere cantando “Il Sakè di Binks” durante la prima puntata. Quelle note musicali fanno sempre troppo, troppo male!

Filippo DiceNDinosaur Bertozzo

 

Filippo Bertozzo
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