Editoriale: i Pirati dei Sette Woofer

L’attrazione verso il confine, la spinta al cambiamento radicale, mettere alla prova la propria esistenza sfidando il mare aperto.

La figura del pirata, tanto affascinante quanto controversa, a stento cela il magnetismo per una vita che è oltre i canoni socialmente accettati.

Un marinaio sfruttato, un uomo che non ha altra via d’uscita se non la rinuncia alla propria identità, un avventuriero che sogna i tesori più preziosi. Tantissimi sono i motivi che, qualche secolo fa, spingevano i più a valicare la soglia, uscire dalla società, imbarcarsi sul primo vascello da fuorilegge.

Il mare, quell’ambiente che è simbolo di libertà e pericolo, dalle onde imprevedibili, i confini incerti e una probabile promessa di morte, richiama a sé coloro che cercano emozioni intense e violente. Così, i pirati prendono il largo, mettendo alla prova sé stessi e diventando il nemico di tutti.

La denominazione stessa “Pirata” deriva dal termine greco peirao (πειραω) che significa testare, mettere alla prova, ma anche infilzare e prendere d’assalto. Essi sono coloro che si mettono alla prova e testano un’esistenza breve ma intensa, ricca di scorribande, adrenalina alle stelle e conquiste per i sette mari.

Pochi anni, circa 4, è la stima di vita che fa del pirata una figura dedita a ciò che di più terreno e pericoloso possa desiderare. Poi, vuoi per malattie o ferite accusate durante le scorribande, il ricordo di quell’uomo che aveva preso il mare sparisce tra le carte di qualche capitano o rimane impresso nella storia, nei racconti tramandati in osteria, tra un doblone d’oro e un rhum di scarsa qualità.

Ad oggi esistono ancora alcune forme di pirateria marittima, come anche di cyber-pirateria. Ma l’ideale romantico di chi scrive porterà questo editoriale ben oltre da tali rotte.

Il pirata, dalla Tortuga al Palco

concerto e pirati

Abbiamo ammirato le gesta dei pirati più famosi, sia al cinema che sul piccolo schermo, dai giochi da tavolo a quelli su pc e console. Ancora, nei libri, come nei capolavori dai titoli più significativi: L’isola del Tesoro di Stevenson o la Trilogia dei Pirati di Evangelisti. I pirati sono visti, superficialmente, come dei furfanti, raffigurando l’ideale antico di nemico pubblico dalla lunga barba nera e la mano uncinata.

Eppure, soffermandosi un attimo sui motivi che spingevano tali individui a diventare uomini della filibusta, si comprende che, tra costrizioni sociali e voglia di libertà, questo mondo non è poi così tanto lontano da altri tipi di mari.

Molte, infatti, sono le spiagge fatte di casse sonore da cui scrutare il proprio oceano di persone e voci distorte.

Ho visto pirati navigare a vista sopra le braccia dei propri fan, altri scrutare i paesaggi sconfinati, arrampicandosi sulle impalcature dove luci tremolanti salutavano gli astanti e i microfoni fischiavano davanti alle spie.

Gridavano “Hey oh” quelle voci, incitando i filibustieri di turno ad alzare il volume e scendere a conoscere le sirene in prima fila.

Alcuni pirati li vedi colare a picco con la propria imbarcazione, inghiottiti dai serpenti marini del successo e dall’eco dello show biz. Altri, sopravvivono oltre quei canonici pochi anni di conoscenze delle luci della ribalta.

Il confine serve a delimitare l’identità di un individuo. Chi è artista travalica quella linea sottile, che divide interno ed esterno, e compie un miracolo in termini di trasformazione. Non è semplice trasmettere a chi ascolta tale magia, per questo molti decadono.

Altri, invece, diventano come Barbanera, Mary Read, Charles Vane, Francis Drake, Henry Morgan, Anne Bonny.

E, a distanza di anni, rimangono là, a scuotere il terreno di chi vuole assaporare il piacere di andare oltre i propri limiti con la loro musica.

Pirateria, musica, alienazione

entrata pirati

I giovani pirati, che ancora si emozionano davanti ai loro primi mari solcati con piccole vele e tanta fortuna, lasciano nel cuore quella commozione genuina che tanto ci fa apprezzare la loro musica.

I veterani, invece, che leggende narrano aver sconfitto persino il Kraken, vibrano nei fondali fino alla punta dei capelli di chi ha la possibilità di ammirarne le loro gesta dal vivo.

Le ciurme sono fatte di fratelli, coloro che nel peccato e nella conoscenza della carne fanno fronte comune, per poi esprimere il proprio diavolo artistico sotto le luci della ribalta.

C’è chi li chiama dannati, chi angeli.

Ma sono in realtà fatti di carne, ossa e paure. Eppure quest’ultime decadono, tra una goccia di sudore e una di alcol, muovendo le dita veloci sulle corde delle chitarre o baciando il microfono con lascivia.

Il pirata, nascosto dalla sua bandiera nera a tibie incrociate, dovrà nei suoi viaggi stare attento, che quella folla non si trasformi in uno specchio e non lo ingoi come narciso nel proprio riflesso.

Miriam My Caruso

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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