Intervista a Paola Barbato, scrivere per esorcizzare la paura

La paura per chi ha buona immaginazione può essere una compagna piuttosto invadente: c’è chi ne viene divorato, chi la tiene a freno e chi ne fa un mestiere. Paola Barbato scrive da sempre e ne ha fatto presto un lavoro. Sceneggiatrice Bonelli, scrittrice di romanzi, fumetti e storie per l’infanzia.

Chi vi scrive è personalmente “in fissa” con questa autrice che racconta quello che non vorrei mai immaginare, ma lo fa in un modo tale che non posso smettere di leggere.

Ho intervistato per voi (ma anche un po’ per me) Paola Barbato a Lucca Comics & Games, potete gustarvi l’intervista integrale sul nostro canale YouTube o leggerla qua sotto.

Chi è Paola Barbato?

Sono una persona che da tutta la vita è terrorizzata da qualsiasi cosa esista nell’universo. Da cui mi guardo, da cui ho imparato a difendermi. Che scrive storie, perché ci sta bene dentro.

Quest’anno a Lucca si parla di “effetto farfalla”, c’è un libro, un film, un fumetto che ha fatto da effetto farfalla e ti ha portata qua?

Sto pensando che potrebbe essere una persona: la mamma di un ragazzo che conoscevo, che ha avuto l’occasione di avere una grande fama. E siccome lei conosceva anche me e io scrivevo a tempo perso, questa signora, visti i risultati ottenuti dal figlio, cazziò me, dicendomi che non mi potevo permettere di scrivere delle cose come quelle che scrivevo e non farmene niente.

“La torre d’avorio” il tuo nuovo libro è il primo “romanzo” dopo tante storie definite “thriller”

Che bello, è la prima volta! Non sono uscita dal mio genere, perché è vero che io scrivo thriller, ma il punto è che nei miei thriller c’è talmente tanta roba,  che forse il thriller spesso disattende le aspettative. Perché nei thriller in generale c’è un elemento criminale, e qualcuno che indaga e lo risolve. Nei miei libri molto spesso è in prima persona l’individuo che vive qualcosa di stravolgente e cerca una soluzione.

C’è anche il thriller, ma non solo!

In questo, come in altri casi, i tuoi protagonisti sono colpevoli. Ed è strano appunto rispetto a un thriller dove abbiamo un eroe che indaga.

Nessuno dei miei protagonisti è mai stato un eroe, mai. È impossibile sviluppare empatia nei confronti di un protagonista che fa qualcosa di irraggiungibile, eroico. Ma prendi un protagonista disgraziato, grigio, banale, normale. In questo caso abbiamo una donna che ha commesso un errore, è finita, è stata dichiarata incapace di intendere e di volere per l’atto che ha commesso. Ha fatto otto anni in una struttura di recupero, è stata riabilitata, è stata scarcerata. Fa una vita che più grigia della sua non ce n’è e, improvvisamente, le vogliono dare la colpa di qualcos’altro.

E lei, che è dedita all’espiazione eterna, dice le colpe mie sì, le colpe degli altri no. Ed è questo il punto di innesco.

Questo romanzo nasce dalla necessità di allontanarsi da Mani Nude, di prossima uscita al cinema

Le molteplici vite di Mani nude, è partito come un libro e si è evoluto in fumetto. Oggi è diventato un film. La storia di base è quella, ma cambia, evolve, perché il regista e gli sceneggiatori hanno fatto delle scelte.

Quando mi è arrivata la notizia che stavano realizzando il film, 16 anni dopo l’uscita del libro, io stavo scrivendo una storia nella quale c’era un infinitesimale riferimento: si parlava di una ragazza scomparsa. Però, siccome il protagonista di Mani Nude era un ragazzo scomparso, ho pensato a un ipotetico pubblico che un giorno vede il film, recupera il libro e poi prende in mano l’ultima mia uscita, e pensa “questa donna racconta soltanto di persone scomparse”, non ha argomenti, che peccato.

Avrei danneggiato sia Mani nude sia il libro nuovo!

Mi sono quindi imposta di fermarmi, di mettere in standby quel libro e di provare ad allontanarmi con una storia il più possibile. Quindi tagliando tutti gli argomenti già trattati in Mani nude e in qualsiasi altro mio libro, è rimasto un piccolo recinto nel quale piano piano ho sviluppato quello che era uno dei temi che amavo, cioè la Sindrome di Münchausen per procura.

Una protagonista lontanissima dal protagonista di Mani nude, sedicenne, maschio, bellissimo, lei è cinquantenne, femmina, già un po’ scalcagnata. Da qui il libro è fiorito, e io trovo che sia un libro estremamente fertile proprio perché in effetti ho trovato un terreno assolutamente vergine.

Se qualcuno non avesse ancora avuto modo di leggere o vedere il film Mani nude, da quale sua evoluzione vorresti che cominciasse?

Forse il film, perché il libro io me lo sono riascoltato in Audible (ho un lettore straordinario che è Pier Paolo Tesoro) e non finisce mai, è un libro pienissimo, ci sono dentro mondi e universi, è più di 500 pagine. Per fare un film da quel libro, sono state fatte delle scelte ben precise, dalle 15 linee narrative, ne hanno scelte 3.

Per questo chi vede il film vede un bel film, una storia piena, completa, compiuta. Poi passa al libro e trova tutto quello che ha trovato nel film e anche tutto il resto, quindi comunque la mazzata gliela tiro, però la prende per gradi. Quindi sì direi film e poi libro.

Quando immagini una storia, nella tua mente, che forma ha?

Quando nasce una storia nella mia mente, nasce perché è finita, io scrivo per primo il finale, è la prima cosa che io scrivo di ogni libro, è come un colpo di pistola. E poi a ritroso, a gambero, mi ricostruisco tutta la storia che c’era prima, trovo il punto di partenza, perché sempre le storie devono partire da un punto e terminare in un altro punto. È un viaggio, io sono Ulisse, so dov’è Itaca, poi vedo cosa mi capita, vedo che cosa trovo davanti sul mio cammino, ma la prima cosa è sempre la fine.

Tra l’altro scrivo molto in posti disagevoli (come direbbe Minuto di Mani Nude), mi metto le cuffie e ascolto in loop una canzone. Tutto il finale di Mani Nude io l’ho scritto su Happy Ending di Mika. C’è anche questa particolarità che molto spesso quando nasce, il mio libro nasce come un colpo di pistola e una canzone, una canzone che proprio non c’entra niente.

Parliamo della costruzione dei personaggi, del loro nucleo di partenza che poi guida la narrazione

Sì, io parto da un nucleo emotivo, come il bastoncino dello zucchero filato, io ho questo, poi butto lo zucchero e comincio a montare, ma non posso prescindere dal bastoncino. Ad esempio ho creato dei personaggi minori, ne cito uno, che si trova nel Filo rosso e si chiama Lara, la moglie del protagonista. Lara era una sportiva, una bella ragazza, la madre le diceva, ma che cosa continui a fare su tutti questi sport, che invece potresti vestirti così bene, potresti fare la modella.

Poi lei cade e si rompe una gamba e questo le distrugge la vita dal punto di vista della carriera sportiva, e sua mamma le dice, meno male, poteva essere la faccia, e a lei questa frase, che imponeva che il suo aspetto fosse l’unica cosa importante, l’unico valore che lei possedesse, la perseguita per il resto della vita, passa il resto della vita aspettando di invecchiare e di diventare almeno rugosa.

Queste sono delle motivazioni basiche, ma comunissime, che però ti ancorano al personaggio, ti consentono di non scrivere cose che non gli appartengono, incoerenti. L’incoerenza nel personaggio è il male assoluto per lo scrittore, e senza questo nucleo emotivo si rischia di cadere nell’incoerenza.

Ultimamente stai scrivendo anche per i ragazzi e i bambini, quindi crei un personaggio che deve ancora formare il suo nucleo?

In realtà no, sono tutti personaggi che hanno dei nuclei mobili.

Il senso di evoluzione è un nucleo enorme, perché non c’è nulla di stabile, perché hai perso la stabilità dell’infanzia, questa età in cui le certezze hanno cominciato a sfaldarsi, e le certezze nuove che ti fai tu, sono piccole, deboli, tutto può cambiare da un momento all’altro, questa è sempre la base di sviluppo di questi giovani personaggi, che sono in un modo, ma pronti a diventare qualcos’altro.

E un personaggio privo di emotività come Ut come nasce?

Questa per fortuna non è stata responsabilità mia, perché io sono il manovale di Ut, ho scritto ciò che Corrado ha inventato a sedici anni, e adesso diciamo che ne ha più di quaranta (ridacchia). Aveva duecento pagine di appunti, mi ha dato questo plico enorme di pagine che io ho dovuto cominciare a razionalizzare perché c’era di tutto, c’era tutta la serie, ma anche più della serie. Ut è un personaggio straordinario, ma insomma, una vita a lavorare su un personaggio ti viene straordinario per forza.

Hai anche tu una storia di quando avevi sedici anni che ti porti dietro?

Io ho delle storie, ne ho una che amo tantissimo che si chiama CO2H, che è una formula. Il problema è che è una storia che dovrebbe essere sviluppata solo a fumetti su almeno tre volumi e non trovo un editore che me la prenda.

Mentre un libro ho scoperto che posso scriverlo sempre, un fumetto no, un fumetto ha bisogno del disegno e questo mi blocca.

Paola, cosa ti lascia senza Niente da Dire?

Quando mi trovo davanti a l’ingiustizia, intanto non sempre la riconosco subito. E il mio primo istinto è “fatti cazzi tuoi che campi mille anni”.

Quindi di fronte a qualcosa di sbagliato io esito. Poi arriva la parte razionale e allora agisco.

Giulia Rossetti

Giulia Rossetti
Giulia Rossetti

Scorbutica e silenziosa, almeno fino a quando non le chiedete la sua opinione. Laureata in architettura collabora con Niente da Dire dalle sue origini, agendo nell'ombra. Si occupa di grafica e crea tutorial creativi. Ogni tanto straparla di libri, sua principale fonte di spesa.

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