Intervista a Pepe Larraz, tra horror e mutanti

Chi mi conosce bene, sa che adoro gli X-Men. Quindi, giunta alla Milano Games Week, non potevo non notare la presenza allo stand Panini di Pepe Larraz. Disegnava un Wolverine, mentre lo osservavo con ammirazione da oltre lo stand. Il tratto viaggiava veloce, sotto gli occhi dei tanti fan in fila per poter scambiare due parole con lui o vedere i propri albi impreziositi dalla sua china.

Così, ho deciso di domandargli se avesse un po’ di tempo per parlare del suo lavoro e di ciò che lo ha reso iconico nel mondo Marvel. Con un sorriso gentile, ha accettato la mia richiesta.

Dietro i mille volumi di Panini, che ci ha concesso accoglienza e uno spazio privato in cui parlare, abbiamo iniziato la nostra intervista. Con i miei colleghi Mr Rob ed Elia a fianco, abbiamo ascoltato la storia di un grande artista.

Ecco la mia intervista a Pepe Larraz.  

Chi è Pepe Larraz?

Sono un ragazzo molto fortunato che lavora nel mondo dei fumetti, ovvero ciò che sognavo sin da bambino. Spesso quando dico che lavoro per i fumetti, la gente mi chiede puntualmente: “è il tuo vero lavoro? Davvero lo fai per vivere?”. Sorprende anche me ogni qual volta mi siedo a illustrare.

Ma questo è solo il mio impiego “part-time”, perché come lavoro a tempo pieno sono il padre di una meravigliosa bambina, la cosa migliore che mi sia mai capitata.

Qual è stato l’albo a fumetti che ti ha avvicinato al mondo dell’arte?

pepe larraz disegna x men

Non saprei dire esattamente in quale momento ho iniziato a leggerli, ma c’erano fin da quando ero piccolo.

Negli anni ‘80 ero un bambino circondato da TV e fumetti. Prima ancora di iniziare a disegnare, ricordo che modellavo la plastilina, mi piaceva giocarci quando andavo alla scuola materna. Modellavo di tutto: figure, costruzioni, animali. Poi mi sono reso conto che avevo bisogno di fare “cose più grandi” e la plastilina mi limitava molto.

Attraverso la carta, invece, riuscivo a realizzare tutto ciò che la fantasia mi suggeriva. Sin da quando ho cominciato a disegnare ho iniziato anche a creare delle storie: disegnavo una scena dopo l’altra e le mettevo in sequenza. Ero contemporaneamente il creatore e il lettore di quei racconti a disegni, perché le creavo per me stesso.

Per quanto riguarda il mio primo fumetto, invece, potrei dirti che in Spagna abbiamo “Mortadelo y Filemón”, “Super López”, ma il primo eroe americano è stato senza dubbio Spider-Man, pubblicato su alcune pagine di una rivista allegata al quotidiano della domenica, che compravano i miei genitori.

Penso si trattasse dello Spider-Man di Todd McFarlane. Mi ha mandato completamente fuori di testa.

Ho iniziato a fare fumetti perché quando disegnavo riuscivo a immergermi in un nuovo mondo e mi piaceva starci il più a lungo possibile. Uno dei modi migliori per disegnare lo stesso soggetto per lungo tempo è quello di costruirci sopra tante storie. Vivere dentro quelle storie.

In Marvel una delle tue più grandi sfide è stata House of X

Nella mia carriera si possono identificare due fasi distinte: la fase Pre-House of X e la fase Post-House of X. Questo progetto ha totalmente stravolto la mia vita. Mi ritengo fortunato per essere riuscito a far parte del team che lavora sugli X-Men, perché era uno dei miei obiettivi principali al mio ingresso in Marvel. La mia “bussola”. 

“Ogni decisione che prendo deve portarmi a fare gli X-Men”.

Ad esempio, quando mi hanno chiesto di fare Uncanny Avengers, prima di accettare la proposta ho chiesto quanti mutanti ci fossero nella storia.

Anche le ambientazioni sono molto particolari

C’è una frase un po’ snob che ricorre in chi lavora in questo campo e che non apprezzo particolarmente: “Gli sfondi sono come dei personaggi viventi e come tali vanno trattati”. Ecco, in questo caso è vero. Gli sfondi sono vivi.

La prima cosa che bisogna chiedersi quando si deve progettare uno sfondo è: “cosa sta raccontando questo background nella la storia?”. Lo sfondo deve aggiungere qualcosa in più, altrimenti probabilmente non stai facendo un buon lavoro ed è meglio non disegnarlo proprio, perché non sarebbe necessario. Gli sfondi di House of X devono riflettere la complessa situazione morale degli X-Men, che non si preoccupano più di salvare gli umani che “li odiano”, né di sentirsi in colpa per essere “diversi” dal loro punto di vista.

Non è una situazione di “bianco o nero”, “buoni o cattivi”, ma un conflitto costante. Un senso di estraneità e, allo stesso tempo, di comfort zone creatosi nella comunità dei mutanti. Ecco, questo è il concetto che ho cercato di trasferire nelle ambientazioni di House of X.

Millarworld: quanto è difficile gestire personaggi così controversi tutti insieme?

È stato molto difficile e allo stesso tempo altrettanto facile, perché Mark Millar è fantastico! È estremamente devoto all’arte e mi piace molto come persona. Non pensa solo al lato “business” del lavoro, ma gli importa davvero di produrre buone storie a fumetti e prendersi cura delle sue creazioni.

Mi ha spiegato molto bene cosa aveva in mente, fornendomi tutto il materiale, le reference e la sceneggiatura con largo anticipo. Si è preoccupato, soprattutto, di incoraggiarmi nei momenti di debolezza, assicurandosi che io avessi tutto ciò di cui avevo bisogno.

Gli albi di Millar sono firmati dai nomi più grandi del mondo del fumetto e farne parte è stato veramente un grande onore.

Blood Hunt: quanto ti sei divertito?

blood hunt marvel larraz

È stato molto divertente e interessante al contempo, perché ho potuto esplorare i limiti dell’horror. La Marvel si è aperta un po’ di più a questo genere, ma dovevo capire fino a che punto potevo spingermi.

Non voglio fare spoiler, ma nella storia vi è una scena in cui il cattivo di turno vuole nutrire i vampiri con un bambino.

Volevo disegnare delle scene davvero spaventose, ma nei fumetti è più difficile impostare un ritmo che possa restituire questo effetto: si lavora spesso per sottintesi, scegliendo cosa mostrare. Nei film, invece, è più facile fare horror perché lo guardi tutto insieme e ha un suo ritmo. Nei fumetti non puoi decidere quante pagine alla volta leggerà il lettore: devi fare in modo che continui a leggere per mantenerlo incollato alla storia.

I vampiri illustrati sono molto indefiniti, sono più delle maschere. Alla Marvel volevano un design specifico, un po’ parodistico, ma io sono andato in una direzione diversa e fortunatamente la mia proposta è piaciuta. Volevo che i vampiri fossero un’orda, uno sciame, come degli zombie. In fondo i vampiri, per me, sono una sorta di metafora del feudalesimo. C’è il “capo” ricco e tutti gli altri, la “massa”, “numeri” da dissanguare. Non hanno un’individualità.

Trovo che questo concetto sia molto spaventoso e che abbia dei riferimenti politici anche attuali.

Pepe, cosa ti lascia senza Niente da Dire?

Da quando son diventato padre penso molto di più al contesto attuale. Il mondo è un posto strano: i genocidi, Gaza, i giochi di potere, il cambiamento climatico, la tragedia a Valencia… Non vorrei buttarla troppo sul politico, ma sono molto spaventato da ciò che sta accadendo e mi chiedo in che mondo stiamo vivendo e cosa sto lasciando a mia figlia.

Questo è il vero horror, altro che i vampiri!

Miriam My Caruso
Traduzione: Marta Pedoni

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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