Era Destino.

Odio chi abusa di questa affermazione senza sapere cosa stia dicendo.
È una di quelle affermazioni che mi fanno proprio salire il sangue al cervello. Non perché non creda nel destino, anzi sono whovianamente convinta dell’esistenza di punti fissi nell’universo che in qualche modo debbano essere rispettati.
È l’utilizzo di questa frase in maniera impropria che mi fa infuriare.
Cos’è? Una giustificazione? Un modo per spiegare come certe cose succedano e non prendersi la responsabilità? Perché subito accanto a Destino sta seduto Karma, l’altrettanto abusato termine evocato per scaricare i propri doveri e mancanze, come se uno non c’entrasse nulla con ciò che compie.
Ma torniamo al Destino.

Una potenza incredibile racchiusa in una semplice espressione: “Era Destino”. Come se si sapesse a cosa si va incontro o di cosa si tratti. Per carità, neanche le mie parole sono magiche o inneggianti a una presupposta conoscenza di me stessa e dell’universo. Come si fanno a comprendere i moti universali? Il Destino e tutto il resto?

I concetti di Destino e predestinazione sono strettamente connessi

Eppure sono percepiti in maniera così differente dalle persone, soprattutto tra Occidente e Oriente.
Ultimamente mi sono ritrovata a riflettere su questo concetto attraverso il metodo contemporaneo con cui si ottengono rivelazioni e ispirazioni filosofiche: le serie tv. In particolare, attraverso un k-drama (in realtà più di uno, ma vi parlo di uno soltanto oggi) che ha come centro il Destino.

Che si tratti di abbracciarlo o di respingerlo, questo è un tipo scelta estremamente personale che, secondo me, trascende la cultura in cui si pone. Invece un’enorme differenza del concetto di Destino tra Occidente e Oriente è che noi occidentali abbiamo sviluppato un pensiero di destino che rientra nell’ottica di “uomo contro tutto”, contro gli altri uomini, contro la natura, contro il destino stesso. E da qui si sviluppa una cultura di sopraffazione senza limiti, dove anche il Destino può, anzi, deve essere piegato alla volontà umana.

Questa secondo me è la differenza più grande: nelle culture dell’Estremo Oriente, il limite c’è ancora. Sebbene recentemente il capitalismo efferato sembra aver sradicato molti dei principi atavici del pensiero orientale, mi pare che in questo specifico caso invece permanga ancora questo senso di “limite” dell’uomo nei confronti dell’universo e delle sue emanazioni più alte. Tra cui il nostro amico Destino di cui stiamo parlando.
Ebbene, molto recentemente mi sono imbattuta in un k-drama (“Come posso aiutarla?”) che ha strettamente a che vedere con il concetto qui in esame e quello di predestinazione.

un ragazzo e una ragazza coreana camminano su strada seguiti da un prete

Come posso aiutarla?

Senza spoiler, è una serie che racconta di una ragazza che inizia a vedere i morti. O meglio, lavorando in un’impresa funebre, è come se i defunti tornassero in vita per qualche attimo e lei deve “garantire” loro un ultimo desiderio. Ovviamente reagisce come qualsiasi venticinquenne reagirebbe: lascia il lavoro e cerca di dimenticare. Tuttavia, tra incubi e “casualità”, si ritrova a dover riprendere il percorso di impresaria funebre fino allo “scioglimento” del suo compito.
Compito che fino all’ultimo episodio non è ben chiaro, e nel momento in cui si comprende, oltre a spezzare il cuore e far finire tutti i fazzoletti in casa, dà bene idea del concetto del “seguire il proprio destino”.

Non essere passive pedine di una malvagia entità, ma persone attive che confidano nella comprensione delle cose a tempo debito. E nel percorrere tale strada predestinata in ogni caso vi saranno scelte di avvicinarsi o allontanarsi appunto dalla propria via. Durante il percorso ci si chiede “perché io?” – “perché a me?” – “ma non potevo avere una vita normale?”.

È a fine stagione, non a fine “vita” della protagonista, ma solo alla fine di quel percorso, che tutte queste domande ottengono una risposta.
Ed è proprio questo che mi è piaciuto molto come insegnamento.
L’idea che la nostra vita sia composta da vari momenti, che si aprono e chiudono, che a volte non sembrano aver senso, ma all’improvviso ci si ritrova alla fine di un ciclo e si comprende che quel loop è finito e si passa al momentum successivo. Non è semplice, spesso impossibile anzi, capirne l’inizio e la fine, le cause e le conseguenze, i motivi e i risultati. Ma alla fine ci si guarda indietro e qualcosa, non tutto, non sempre, diventa più chiaro.

L’idea che la nostra vita sia fatta di “pezzi di destino”, che come un puzzle crittografato si dipanano per comporre il quadro della nostra esistenza.

di Alessandra Furibionda Zanetti

Alessandra Zanetti
Alessandra Zanetti
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