Il destino nefasto degli ultimi dinosauri

Gli ultimi dinosauri sono andati incontro ad un destino a dir poco nefasto.

Come mai potremmo definire in maniera diversa quello che successe loro? Un clade (= gruppo) di animali che ebbe un successo evolutivo enorme, per quasi 160 milioni di anni, destinato a gloriosi futuri… evaporato in un istante.

Un istante geologico, eh. Quasi un milione di anni. Ma un istante, ciononostante.

Un istante tremendo, veloce, luminoso, devastante. Arrivato dal cielo.

I dinosauri si estinsero, alla fine del Cretaceo, 66 milioni di anni fa, non per “colpe” loro, ma per un sasso fluttuante nel vuoto cosmico.

Non di soli meteoriti i dinosauri si estinsero?

Sfatiamo un mito. Anzi, molti miti. I dinosauri non si estinsero perché erano troppo stupidi. Né perché i mammiferi mangiarono le loro uova.

Queste sono solo alcune delle svariate ipotesi che gli scienziati hanno tirato fuori dal camice per spiegare la scomparsa improvvisa dei dinosauri. E ci sono persino speculazioni veramente molto bizzarre: qualcuno (non di certo io…) le definirebbe come figlie di qualche serata brava al bar a trangugiare i peggiori cocktail di Caracas. Un esempio? I dinosauri sono stati rapiti dagli alieni e portati su una riserva cosmica.

Sono stati chiamati in causa ormoni fuori controllo, scarse pulsioni sessuali, malattie, cataratte e persino la semplice stupidità cerebrale. Nel 1962, un entomologo ipotizzò addirittura che la Terra del Cretaceo fosse stata invasa dai bruchi che divorarono tutte le piante, facendo morire di fame i dinosauri erbivori (potete leggerne di più qui).

Vabbè, lasciamo stare. Avete capito l’antifona.

In realtà, almeno fino al 1980, i paleontologi pensavano che i nostri animali del passato preferiti scomparvero a causa di devastanti cambiamenti climatici, che li trovarono inadatti alla sopravvivenza. Cambiamenti probabilmente legati a eventi planetari vulcanici e tettonici.

Ma tutto questo cambiò nel 1980. E sapete dove?

In Italia.

Don Matteo? No, Luis Alvarez!

Ci troviamo a Gubbio, un paese in Umbria, sperduto tra gli Appennini. I più lo conosceranno per le avventure in bicicletta dell’amato Don Matteo, ma per noi paleontologi Gubbio ha un’importanza mondiale.

Nel 1980, un team di studio, condotto dal fisico premio Nobel Luis Alvarez e dal figlio Walter Alvarez, scopre, tra gli strati sedimentari della zona di Gubbio, un sottile livello di colore scuro, che si interpone tra le rocce datate Paleocene (dopo i 65 milioni di anni fa) e quelle sotto, indicate come Cretaceo (prima di 65 milioni di anni fa). Essenzialmente, i due Alvarez stavano osservano il momento geologico di transizione tra un’era e un’altra, ma quel livello scuro era anomalo.

Il team lo studiò, rilevando un’enorme concentrazione di iridio.

L’iridio è un minerale molto raro sulla Terra, ma molto comune nelle meteoriti.

Ergo – bingo! – quello strato di iridio fu causato dall’impatto di un corpo celeste sulla superficie terrestre!

La prima prova del nefasto meteorite era stata trovata!

Probabilmente si trattava di un asteroide di tipo C di quasi 10 km di diametro, che provocò un cratere di 200 km di diametro e 20 km di profondità. Il bolide extraterrestre impattò sulla Terra ad una velocità di 20 km/s, con una forza stimata pari a 72 teratonnellate di esplosivo. Il 76% delle specie viventi scomparve, ponendo fine all’impero dei dinosauri (e di molti altri animali, non dimentichiamolo!).

Alvarez a Gubbio

Walter Alvarez (al centro) con Mark Anders e David Bice di fronte al livello di iridio a Gubbio

Il delitto è messicano…

Dalla scoperta degli Alvarez in quel di Gubbio, numerosi livelli ad iridio furono ritrovati in tutto il mondo, sempre nella transizione tra Cretaceo e Paleocene, adesso datato a 66 milioni di anni fa (e non più di 65 – capito, Adam Driver?).

Ma dove cadde il meteorite?

Studi e analisi successive hanno indicato il luogo del delitto: il Golfo del Messico, più precisamente tra la penisola dello Yucatàn e il lembo di mare di fronte ad esso. Il cratere, chiamato Chicxulub, scoperto già negli anni ’70, ora non è più visibile a causa dell’erosione della crosta terrestre, ma recenti analisi di carotaggi del fondo marino alla base del cratere hanno identificato perfettamente le tracce del “dinosauricidio”.

Nel 2013, il dott. Paul Renne è riuscito a stabilire quasi con esattezza quando cadde: 66.038.000 anni fa, con un errore di 11mila anni (letteralmente meno di un battito di ciglia nella storia della Terra), basandosi su datazioni dell’Argon.

Cratere dello Yucatan

…e cadde allo sbocciare dei fiori

66.038.000 più o meno 11.000.

È difficile immaginare un periodo così antico.

Difficilmente riusciamo ad immaginare la vita dei nostri bisnonni quasi 100 anni fa, ma nemmeno eventi come la Presa della Bastiglia, l’omicidio di Giulio Cesare, la costruzione delle Piramidi, le incisioni rupestri francesi… Figuriamoci centinaia di migliaia, persino milioni di anni!

Questo “alienamento” nei confronti della vita preistorica è anche quello che la rende tanto affascinante, quasi dovessimo dare una forma realistica alle nostre ambientazioni di Dungeons & Dragons. Ma rimane il problema principale, che emerge specialmente quando noi paleontologi e divulgatori cerchiamo di veicolare i complicati concetti del cosiddetto “Tempo Profondo“: manca un collegamento tangibile, familiare, che faccia da ponte tra l’immaginario e la realtà.

Da qualche anno a questa parte, ce l’abbiamo.

Pensate a dov’eravate a fine maggio di quest’anno. Io ero a Bruxelles, dove risiedo tutt’ora. Caldo e freddo altalenanti, a lavorare a ricerche scientifiche e progetti di ricerca, mentre mi diverto a streammare Far Cry: Primal (tanto per cambiare) su Twitch. Fuori dalla finestra, i fiori sbocciano. Gli uccelli migratori tornano. I bambini tornano dalla scuola, mentre dipendenti pubblici riassestano il cemento delle strade.

Bene. Immaginate ora un lampo, un bagliore.

Un’esplosione. Come di mille bombe atomiche.

E tutto finisce. Nello sbocciare di quella rosa.

Nel 2022, Melanie During e il suo team di ricerca internazionale sono riusciti ad identificare quando l’asteroide cadde sulla Terra, basandosi su analisi di pesci fossili. L’asteroide arrivò nella Primavera dell’emisfero boreale.

Forse, a fine maggio.

E questa informazione è l’appiglio divulgativo che stavamo cercando! Non so voi, ma sapere che l’asteroide si abbatté alla fine di una Primavera a me lo rende più… “vicino”.

Spaventosamente più vicino.

La Primavera dei Dinosauri

Illustrazione di Joschua Knüppe

di Filippo Bertozzo

Filippo Bertozzo
Filippo Bertozzo
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