Guardando un bambino di 6 anni divertirsi col pallone è facile per i suoi genitori immaginarlo con la maglia della Nazionale. Un artista trentenne può ripercorrere la sua infanzia, ricordandosi di quando pasticciava coi pennarelli da piccolo, e trovare lì la scintilla del destino.
Quando si parla di pornostar, invece? Esiste un destino, dei segnali premonitori? Magari si può intuire dalla fase adolescenziale un talento inespresso? Insomma, pornostar si nasce o si diventa?
L’opinione pubblica: percezioni e stereotipi
Come società, ci sono due stereotipi principali con cui raccontiamo la figura della pornostar:
- La donna scappata di casa, con un disperato bisogno di soldi, zero qualifiche e quindi incapace di trovare un qualsiasi altro tipo di lavoro. Magari aggiungendoci storie di dipendenze di vario tipo;
- La prostituta dello schermo, una mangiauomini con una libido così alta ed esibizionistica che solo l’industria del porno può soddisfare.
Questi due stereotipi sono sicuramente sbagliati e poco rappresentativi, ma comunque ci raccontano qualcosa. Nel primo caso, infatti, abbiamo una donna che diventa pornostar per necessità. Nel secondo intravediamo la mano del destino, un destino che si compie nel lavoro dei sogni.
Pornostar si nasce
Tra le pornostar baciate dal destino possiamo trovare Angela White. In un’intervista ha dichiarato che già al liceo pensava di fare la pornostar. Angela ha capito molto presto di essere bisessuale, e la sua voglia di esplorare la propria sessualità l’ha portata ad essere bullizzata. Per questo aveva intuito che il porno potesse essere l’unico modo per essere sé stessa senza sentirsi giudicata. Per lei il porno è liberatorio, le permette di sperimentare ed essere autentica. Praticamente, in una società che non giudica le donne per la loro sessualità, Angela White avrebbe potuto essere sé stessa mentre faceva la commessa da Sephora.
Un esempio nostrano di predestinata è quello di Moana Pozzi. Una donna di cultura che, avendo davanti a sé un ventaglio di possibilità di carriera, sceglie quella nel porno. Cerca di combattere lo stigma secondo cui il porno è l’ultima spiaggia di chi ha già provato tutto e lo presenta come un’alternativa di lavoro come qualsiasi altra.
Pornostar si diventa
Con l’avvento di OnlyFans il porno si è democratizzato. Non serve più far parte di grandi produzioni, o cambiare città per andare a girare sui set. Per anni, il porno amatoriale è stato sinonimo di quello di scarsa qualità, girato in casa con inquadrature terribili da coppie esibizioniste.
Durante la pandemia la piattaforma biancoblu ha attirato a sé diverse persone che erano costrette a casa e avevano perso il lavoro. Tra loro troviamo ShinraTensei98, che ha iniziato a postare video di coppia proprio durante il lockdown. Potremmo definirla una “Pornostar per caso”, visto che non aveva mai considerato una carriera nel porno prima di quel momento, e quando si è presentata l’occasione l’ha colta.
OnlyFans (e piattaforme affini) è stata aiutata anche dal profondo cambiamento dell’estetica della pornostar nel porno mainstream. Negli anni ‘80/‘90 la pornostar era una Top Model, incarnava l’ideale di bellezza irraggiungibile. Con l’arrivo del porno su internet, la figura della pornostar si è avvicinata sempre di più a quella della “ragazza della porta accanto”, per dare l’illusione allo spettatore di poterla avere.
Sempre tra le pornostar per caso troviamo casi come quello di Stoya, che ha iniziato per gioco “perché le sembrava divertente” o Miku Kojima, atleta di nuoto che ha iniziato per caso a postare foto di nudo, e da lì ha iniziato una carriera nel porno.
Pornostar per scelta
Nel porno indipendente ci sono tantissime performer che usano il porno come linguaggio per fare attivismo politico. Tra di loro, c’è persino qualcuna che per anni ha militato nell’industria, come nel caso di Nina Hartley. Nina è una delle tante che fanno attivismo attraverso la pornografia, una delle più famose grazie alla sua serie di video educativi come “The Ultimate guide to anal sex for Women”. Nina ha ben chiaro cosa vuole raccontare attraverso il suo lavoro, e soprattutto come vuole cambiare la percezione del lavoro nel porno nella società. Nina sottolinea il pregiudizio sul lavoro nel mondo dell’hard paragonandolo a quello militare:
“Se un ragazzo a 18 anni vuole arruolarsi nell’esercito, nessuno gli dice che è pericoloso, che potrebbe morire o perdere un arto. Viene acclamato come un eroe della patria. Se una ragazza a 18 anni vuole fare porno, sono tutti pronti a darle consigli per dissuaderla, spiegandole che si rovinerà la vita. L’idea che le donne dovrebbero essere tutelate (da un uomo o dalla legge) e non possano scegliere liberamente fa parte del sistema patriarcale in cui siamo immersi”.
Si può fare porno per vocazione, per caso o per lotta politica. L’importante è che se ne continui a fare tanto, per raccontare la varietà delle voci che ne fanno parte.
di Antonella Liverano Moscoviti