Da piccoli, nel buio della nostra cameretta, spesso vi era la paura che una mano adunca potesse artigliarci i piedi per trascinarci nel freddo della notte. Sensazioni che precedono l’ignoto, che gli occhi di un bimbo possono vedere come incubi reali e tangibili. Al contempo, però, sono talmente tanto magnetici da spingere verso la ricerca di quegli stessi brividi oltre la propria immaginazione, così oscuri e a volte proibiti dai propri genitori.
R. L. Stine è la mano dietro i più iconici incubi infantili, descritti tra le inconfondibili pagine bordate di verde acido de “I piccoli brividi”.
La nostra redazione, temeraria e coraggiosa, ha voluto incontrarlo. Eravamo là, in una delle sale stampa del Lucca Comics and Games, io, Il Rinoceronte, Bonco e Corviskiddo.
Con un po’ di timidezza e l’aiuto di Giada Guerreschi, Digital PR per Mondadori e nostra interprete per quel giorno e che ringrazio per la pazienza, abbiamo ascoltato rapiti la voce di Stine. Pronunciavo le domande con profondo rispetto e ammirazione, davanti a un newyorkese dal sorriso gentile e dalle mille storie sulle spalle.
Ci ha raccontato le sue esperienze nel mondo editoriale e della sua inaspettata paura.
Chi è Robert Lawrence Stine?
Non sono mai stato costretto a pensarci, è imbarazzante. Principalmente uno scrittore, un genitore, un nonno (quest’ultimo è un bellissimo lavoro) e… Sono un newyorkese!
La paura è una delle emozioni umane più arcaiche dell’animo umano. In quale momento hai deciso di raccontare la paura e con quale intento comunicativo?
Non ho mai pianificato di scrivere sulla paura. Mi piaceva l’horror. Ma non avevo previsto che sarei diventato uno scrittore di horror. Mi interessava solo essere divertente.
Ho scritto un sacco di libri divertenti per bambini, il mio primo libro si intitolava “How to be funny” (“Come essere divertente”). I genitori lo odiarono!
Ho scritto in un magazine umoristico per bambini per 10 anni, era ciò che mi interessava fare, poi però il progetto finì. Un giorno, mentre ero a pranzo con una mia amica che è anche editore, lei si sfogò con me dicendo di essere arrabbiata con uno dei suoi scrittori di libri horror per ragazzi: diceva che non avrebbe più voluto lavorare con lui.
Quindi, mi disse di tornare a casa e scrivere un libro horror per adolescenti. Mi ha anche dato il titolo: Blind Date.
Blind Date, il primo romanzo horror di Stine
Io non sapevo cosa fosse un “romanzo per ragazzi”.
“Non ho idea di cosa tu stia parlando” le avrei voluto dire, ma dissi di sì a tutto, che è anche uno dei miei più grandi problemi nella vita! Una volta a casa scrissi quel libro, “Blind Date”. Ed è imbarazzante perché fu una sua idea, non mia. Blind Date uscì e fu un successo, un best-seller numero uno in classifica.
Pensai “aspetta un attimo, che succede?”. Allora ne scrissi un altro un anno dopo intitolato “Twisted”: di nuovo numero uno in classifica.
Quindi, mi sono detto “lascio perdere le cose divertenti, sarò uno scrittore spaventoso”. Ma comunque io penso che l’horror sia divertente, l’horror mi fa ridere! In effetti ci metto dentro un sacco di cose divertenti.
Hai spaventato tante generazioni di lettori, evolvendo il tuo modo di raccontare insieme alla società. Inizialmente le storie erano ambientate in una dimensione temporale meno specifica, adesso contengono elementi più attuali, che rispecchiano la nostra società. Cosa è cambiato?
I bambini non sono cambiati, la tecnologia certamente gli permette di fare cose diverse, ma sia loro che le loro paure non cambieranno mai.
La paura del buio, che ci sia qualcosa sotto il letto, di scendere in cantina, perdersi. Ho cambiato solo una cosa, mi sono sbarazzato dei cellulari, perché quelli rovinano tutto, non solo le storie. Se avessi scritto i miei libri negli anni ‘50, quando ero piccolo io, penso che sarebbero stati gli stessi.
La più grande paura di Robert Lawrence Stine
Hai trattato tantissimi argomenti horror. Esiste un argomento che ti spaventa tanto da lasciarti senza Niente da Dire?
Ti posso dire che la scena più spaventosa che io abbia scritto si trova in “A night in Terror Tower”. Due bambini si perdono e vanno in un hotel. Vogliono trovare i loro genitori, quindi si recano alla reception e chiedono aiuto al ragazzo al bancone. Quest’ultimo gli chiede i loro nomi. I bambini non se li ricordano. Allora gli chiede i nomi dei genitori e non riescono a ricordare nemmeno quelli.
Questa è la scena più spaventosa che io abbia mai scritto.
Poi si scopre che erano un principe e una principessa dal passato, dall’antica Inghilterra, che avevano viaggiato nel tempo e non se lo ricordavano.
Dimenticare sé stessi, questo è davvero spaventoso.
Inoltre, ho appena finito un libro per il prossimo anno, intitolato “The last summer party”. È una storia di fantasmi, racconta di un ragazzo che si ritrova davanti al fantasma di sé stesso, e penso sia piuttosto buona come scena spaventosa.
Ma se lo vuoi proprio sapere, sono ancora spaventato dalla tua prima domanda!
Miriam My Caruso
Traduzione Marta Minako Pedoni