Quando si diventa genitori, insieme ad un piccolo essere umano urlante, vi recapitano anche la domanda.
Non mi riferisco a: “Mio Dio cosa ho fatto?”
L’altra domanda, e cioè: “Saremo dei bravi genitori?”
Crescere un figlio sperando che non diventi una pessima persona è per l’appunto una speranza, perché potete metterla come volete, ma la cosa dipende sempre dai genitori. Porsi la domanda almeno è un buon inizio. I genitori sono il primo e più importante modello di riferimento per tutti i bambini. Ne imitano il comportamento, il linguaggio e perfino i gusti e le preferenze. Ad alcune di queste cose teniamo più che ad altre e tramandarle ci viene naturale.
Ma se ci facciamo un breve esame di coscienza, capiamo che ci sono aspetti del nostro carattere che sarebbe meglio non trasmettere. Salto a piè pari la faccenda del linguaggio che alcuni imprudenti genitori usano davanti ai propri figli. Ci vorrebbe un articolo a sé solo per questo.
Passiamo direttamente al piano.
Ogni padre e madre del pianeta pensa di avere un piano per educare i propri figli. O almeno un canovaccio da seguire, ecco. All’inizio la rotta è abbastanza chiara, poi con il tempo si procede sempre più spesso navigando a vista. Eppure, qualche volta, invece di svanire in una nuvola di borotalco, il piano si delinea con strabiliante chiarezza.
Io e mia moglie abbiamo sempre giocato con nostro figlio. Insieme o a turno, a seconda di quello che c’era da fare in casa. Prima con i giochi rumorosi e pieni di luci, poi con le costruzioni, i pupazzi le macchinine e i robot. I modellini del Gundam hanno segnato il passo per un bel pezzo.
Infine sono arrivati i videogiochi. Sebbene io non sia un giocatore particolarmente accanito, ho sempre sostenuto che i videogiochi abbiano un enorme valore pedagogico. Favoriscono la coordinazione mano, occhio. Insegnano che con la pratica si può migliorare. Divertono e istruiscono, con tutti i “ma” del caso (anche per questo servirà un altro articolo)
La prima volta che mio figlio ha usato un videogioco aveva solo quattro anni. Non fu premeditato, ma piuttosto il frutto di una bizzarra epifania. Accadde quando mi imbattei nel titolo: Star Wars Lego, il videogioco. Lo provai per vedere com’era e quando scopri che esistevano anche altri titoli, il piano prese immediatamente forma.
L’idea era semplice. Fargli conoscere attraverso quei titoli le trame di film quali Star Wars, Indiana Jones, Il Signore degli Anelli, Harry Potter, Jurassic Park e poi passare a Batman, Pirati dei caraibi, Marvel Avengers, e alla via così. Di seguito, a mano a mano che l’età lo permetteva, gli feci vedere i film su cui quei giochi erano modellati, permettendogli di cogliere meglio i riferimenti e le citazioni continue.
Ci sono molti elementi e regole di cui tenere conto.
Al fine di evitare un abuso, o peggio una dipendenza, si poteva giocare solo un paio d’ore alla volta e solo nei week-end. Il gioco era installato sul mio pc e senza di me non si poteva usare, questo per mantenere un senso della disciplina. Si giocava sempre insieme, così da renderlo uno dei tanti giochi che già facevamo insieme, ma mai l’unico.
Anche se si può distruggere di tutto, i titoli del Lego ovviamente non sono violenti. Tutto può essere riscostruito, e questo ebbe l’effetto di stimolare la sua creatività. Quello che il gioco non gli dava, lui se lo inventava con il Lego vero. Entrava e usciva da un mondo di tridimensionalità tattile, che il videogame non poteva dargli. Inventava nuove storie, cross over, avventure.
Piano, piano crebbe in lui la curiosità per il cinema e l’animazione, non come prodotti fini a sé stessi, ma come strumento per raccontare delle storie. Un punto piuttosto significativo del piano era stato raggiunto nel Luglio del 2013 quando ci recammo a Londra per una vacanza. Scoprimmo che in un piccolo museo del cinema c’era una mostra dedicata a Ray Harryhausen, scomparso il maggio dello stesso anno.
Gli spiegai chi era stato e delle meraviglie che aveva realizzato con l’animazione a passo uno. Al rientro a casa iniziò a sperimentare animazioni in stop motion. Centinaia di foto che poi mi chiedeva di montare finché non imparò a farlo da solo. Diede vita ai suoi Gundam impegnandoli in epici combattimenti, passando ai personaggi del Lego con cui creava video musicali, amalgame tra Dc e Marvel, e ancora epici combattimenti. Aveva solo dieci anni.
Non ha mai abbandonato il disegno e lo testimoniamo gli speed draw che per un po’ di tempo si è dilettato a pubblicare. Studia il cinema e lo pratica con dei piccoli cortometraggi. Ascolta Bowie, I Beatles, Rolling Stone e Arita Franklin rigorosamente in vinile. Realizza i trailer e le locandine per i miei spettacoli, oltre ad essere diventato un diabolico tecnico luci.
Chissà che farà domani.
Insomma strada da fare ne ha ancora parecchia, ma tutto è iniziato da quei videogiochi del Lego su cui abbiamo passato tante ore divertenti insieme. Adesso frequenta l’università e ormai ne sa più di me su un sacco cose. Di conseguenza la mia domanda è cambiata e ironicamente mi chiedo se io non abbia creato un mostro.
Sulla mia faccia compare un sorriso a fetta d’anguria e mi rispondo sempre la stessa cosa: “Diamine, certo che sì!”
di Alessandro Felisi