Editoriale: tradizioni natalizie senza fissa dimora

Solo gli esseri umani compiono rituali. Essi hanno il raziocinio che li distingue dagli altri animali e, sovente, lo utilizzano per ricreare determinate azioni che hanno un luogo, un tempo e sono socialmente accettate.

I riti tradizionali di Natale, ad esempio, sono tutti quei gesti che ci mettono nell’umore giusto per accogliere la notte tra il 24 e il 25 di dicembre con uno spirito diverso dal solito. Si sente un tepore particolare nel petto, quando l’albero si illumina di lucine e sfere scintillanti. Il profumo della cannella e del miele scioglie i pensieri. Ancora, l’odore dell’olio caldo ricorda che qualche zia o nonna si sta preparando ad accoglierci a braccia aperte e piatti stracolmi di leccornie.

Ma un risvolto scomodo e disarmante può accadere nel momento in cui queste tradizioni devono forzatamente cambiare, perché la vita anch’essa cambia e si evolve. Lontani da casa, lontani da quei profumi familiari, in una cucina estranea la notte della vigilia con alle spalle un lavoro forse troppo ingombrante. Ecco, là ci ritroviamo stranamente smarriti, come se fossimo nel posto sbagliato del mondo.

“Ma che diamine ci faccio qui?”. 

Contemplare l’assenza sotto il vischio

Decorando l’albero di Natale, seconda metà del XIX sec.

L’assenza delle persone care sedute alla sedia accanto alla propria, di quei volti che vedevi da bambino sbucare oltre castelli di regali. Da un’altra città, un’altra casa, un’altra vita: cerchi di ricordarli come se quegli stessi volti volessero nascondersi oltre un finestrino appannato per il freddo.

“I treni costavano troppo, il capo mi ha trattenuto fino all’ultimo momento in ufficio, ho perso l’autobus nonostante abbia corso più velocemente possibile.”

Le scelte e i cambiamenti che sembrano non essere troppo influenti ci lasciano con quell’amaro in bocca al gusto fiele, mentre assaporiamo un pezzo di panettone da quella che tutto sommato non è propriamente definibile “casa”.

Nuove tradizioni per vecchie storie

Karl Reichert (1836–1918), Natale

Il rinnovamento, quindi, è dovuto. Come la corsa di un predatore, che se non fila veloce sulle proprie zampe per artigliare la preda finisce per morire di stenti.

Quindi, il primo di dicembre compriamo un abete di plastica e degli addobbi, proprio come quando da piccoli si andava al “negozio grande di cose per la casa” a scegliere le palline nuove per l’albero di Natale. Si compra un panettone da riporre accanto ai piedi di metallo e delle scintille da far brillare la notte del 24. Ancora, si scorre il menù per le feste e si radunano quei “reduci di guerra” che concorrono nello stesso destino, lontani dalla propria culla natìa.

In un’altra famiglia che non è la propria ci si stringe e si rinnova una tradizione, che ora ha il gusto dell’inaspettato. Il fiele si avverte ancora, come pesa ugualmente non poter abbracciare quella famiglia che ci ha plasmati in pensieri e desideri.

A salvarci sono i rituali, come sempre. Compiono la loro magia sotto al vischio, accanto all’albero dalle mille stelle, e ci fanno sentire meno soli.

Buon Natale, quindi, anche a chi si sente perduto oltre il proprio nido, perché possa godere delle proprie nuove tradizioni.

Miriam My Caruso

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

Articoli: 42