Intervista a Samantha Shannon, la regina del fantasy distopico

Scorrendo le dita sull’elenco degli ospiti di Lucca Comics & Games, il mio sguardo è caduto sul nome di una scrittrice molto giovane, ma che ha fatto della sua penna un fenomeno mondiale. Sto parlando di Samantha Shannon, autrice fantasy che, tramite le sue storie ambientate in atmosfere magiche e distopiche, soppianta la disparità di genere e racconta l’amore in qualsiasi forma e desiderio di libertà.

Ho avuto il piacere e l’onore di moderare il suo evento in Sala Stampa a Lucca, grazie allo staff di Lucca Crea e Mondadori. Ne è venuta fuori una chiacchierata costruttiva, con una donna elegante dall’infinita fantasia dietro agli occhi.

Un momento intimo, in cui i giornalisti e i content creator hanno potuto conoscere più in profondità una scrittrice che ha ancora tantissimo da raccontare. Ecco la mia intervista a Samantha Shannon.

Chi è Samantha Shannon?

evento samantha shannon

Io sono Samantha Shannon. È terribile dover descrivere sé stessi, perché non mi riesce totalmente naturale. Posso dirti che ho iniziato a scrivere presto, infatti il mio primo libro è stato pubblicato quando avevo circa 22 anni: The Bone Season. Poi, ho studiato letteratura e lingua inglese a Oxford. Vorrei avere qualcosa di più avvincente ed emozionante da raccontarti, ma ho realizzato il mio sogno molto presto.

Qual è stata la prima opera che ti ha introdotta nel mondo del fantasy?

Ho iniziato a leggere fantasy e sci-fi quando ero molto giovane. Mi piaceva immergermi in questo mondo non solo tramite i libri, ma anche attraverso i videogiochi. Quando ero ancora una bambina lessi i libri di Isaac Asimov e mi innamorai de Lo Hobbit.

Non so quanto è conosciuto in Italia, ma un altro autore che ritengo molto brillante è Garth Nix. Quest’ultimo ha scritto un romanzo intitolato Sabriel, che è uno dei miei libri preferiti in assoluto perché racconta la storia di una donna che finalmente è il personaggio principale delle sue vicende.
Poi, non posso non citare anche Dragonrider, scritto da Cornelia Funker.

La donna è la figura centrale nella tua narrazione, dove la parità di genere diventa normalità

Nelle storie fantasy, in genere, vi sono modelli che tendono a essere misogini. Anche nella prima stesura del mio libro, The Bone Season, c’erano esempi di sessismo che non dovevano appartenere alla mia penna, ma istintivamente ho sentito che nel fantasy dovevano esserci. Poi, ho realizzato che non doveva essere per forza così, quindi ho costruito un mondo in cui le donne hanno il loro spazio egualitario.

Qui le donne possono ricoprire i ruoli che solitamente sono associati agli uomini. È un fantasy, qualunque cosa è possibile e solo la nostra immaginazione ne è il limite.

Ricordo un piccolo aneddoto a riguardo: ho scritto una scena nel sequel di The Bone Season, The Mime Order, dove il personaggio principale, che è una donna, combatte come un agente di polizia distopico contro un altro agente di polizia, che è anch’essa una donna. L’editore, su questa scena, mi aveva lasciato una nota a margine chiedendomi se fossi sicura di quanto scritto. Ciò mi ha sorpresa… e non avrebbe dovuto sorprendermi in effetti.

Spesso tendiamo a immaginare i personaggi descritti nei racconti come di sesso maschile. Per questo motivo cerco di assicurarmi che le donne siano distribuite equamente nelle mie storie, mostrando diversi tipi di forze e ruoli e raccontando un punto di vista diverso. Trovo interessante che nel 2024 venga considerato ancora un concetto originale.

In “A Day of Fallen Night” tratti un tema molto delicato: la maternità. La donna, nella società odierna, è considerata a scadenza, sia che voglia avere figli che il contrario

Sì, in A Day of Fallen Night ho trattato il tema della maternità e del rapporto tra madri e figlie, delle relazioni tra donne e anche del desiderio di non avere figli per sentirsi complete.

In particolare, ho raccontato la storia di Tunuva Melim, una donna di 50 anni che aveva avuto un figlio molti anni prima. Volevo che la storia iniziasse il suo corso molto più avanti rispetto al classico lieto fine, che solitamente vede la sua conclusione nel matrimonio. In questo caso, ho raccontato il lieto fine 30 anni dopo, descrivendo il rapporto tra due personaggi, Esbar e la sua compagna Tunuva.

Affronto il tema della scadenza, però, anche dalla prospettiva di chi non vuole avere figli, perché è un elemento che mi coinvolge in prima persona, visto che sin da molto giovane ho realizzato che non ne avrei voluti.

Penso che nella nostra società è ancora forte l’idea che se una donna non ha figli significa che è incompleta. Un sottinteso che mi dice che io da sola non basto e che dovrei ottemperare a quello specifico ruolo. Ruolo che non volevo e che tutt’oggi non voglio.

E quindi sì, è un libro che celebra la maternità, ma che celebra anche la libertà di scelta nel rapporto tra donna e riproduzione sotto ogni possibile prospettiva, anche attraverso altri personaggi presenti nella narrazione. Un libro che in realtà parla dell’autonomia personale e della gestione del proprio corpo.

Hai scritto una saga fantasy basata su luoghi reali, com’è stato costruire il tuo mondo immaginario in luoghi esistenti?

samantha shannon intervistata da Miriam Caruso di Niente da Dire

The Bone Season è ambientato tra Londra e Oxford, due città che hanno avuto una grande influenza nella mia vita. Londra è la mia città natale, da cui mi sono spostata per proseguire gli studi a Oxford. Quest’ultima, a detta di molti, viene vista come una città magica e meravigliosa, in cui tutti dovrebbero trasferirsi. Io, invece, non mi sono trovata molto bene, sentivo che era un posto a cui non appartenevo.

C’è un aneddoto piuttosto divertente a riguardo: ricordo di essere stata contattata da uno dei miei vecchi insegnanti di Oxford a cui – dalla lettura di The Bone Season – non era passata inosservata questa mia impressione “negativa” della città:

“Samantha, non sei stata bene qui da noi?”. E io, in maniera evasiva, ho risposto: “no comment!”.

Voglio raccontare come il genere “distopico” possa essere visto differentemente in base all’influenza culturale e l’ho fatto anche tramite questi luoghi, rendendoli all’occorrenza più claustrofobici, bui, spaventosi, oppure sfruttandoli in altri modi in base alle necessità. La prossima città protagonista di un mio libro, dopo Manchester e Parigi, sarà Venezia.

Nel prossimo libro, infatti, la mia protagonista Page andrà in Italia e riuscirà a provare finalmente un cappuccino. Io amo il cappuccino, quindi mi piace questo libro! – sorride – Indosserà, inoltre, il suo primo paio di jeans.

Non ha mai sentito parlare di jeans, perché sono americani e nella sua versione di Londra tutto ciò che è americano è bannato.
Questo particolare mi ha dato un sacco di opportunità divertenti da sperimentare.

So che apprezzi il mondo esoterico, parlami di come hai inserito questo aspetto nei tuoi libri

A Londra c’è un quartiere particolare chiamato Seven Dials, che fa parte di Covent Garden. È una sorta di area commerciale, ma che custodisce una storia davvero interessante. In epoca vittoriana era una baraccopoli e sono abbastanza sicura che Dickens lo abbia menzionato in Oliver Twist.

È un posto che mi affascina molto: lì puoi trovare negozi esoterici che vendono sfere di cristallo e tarocchi. Oppure puoi trovare sensitivi che si offrono per letture della mano e cose simili. Nel 2011 mi trovavo a passarci spesso per via del mio lavoro e ogni volta che lo attraversavo pensavo che sarebbe stato interessante creare per i miei libri un sistema magico basato sulla chiaroveggenza e diverse tipologie di divinazione con cui entrare contatto con gli spiriti.

Ciò poteva accadere tramite qualsiasi cosa: dai tarocchi fino ai medium posseduti dagli spiriti stessi.

E poi il mio personaggio principale, Paige, può effettivamente spingere il suo spirito fuori dal corpo come una proiezione astrale. Quindi sì, ecco da dove viene, da Seven Dials.
Ed era, immagino, un espediente per trattare la figura della strega e l’esoterismo in un modo che spero sembri un po’ unico e diverso.

Nel cassetto nascondi un libro che hai scritto intorno ai 15 anni

intervista a samantha shannon a lucca comics

Ok, sì. Non avrei mai voluto parlare di questo argomento – ride divertita – Sì, esiste questo libro intitolato Aurora, che ho scritto quando avevo circa 15 anni. Il libro racconta la storia di nove alieni molto sexy che sbarcano sul nostro pianeta.

Uno di loro in particolare, Gordon, atterra nel giardino di una ragazza, che ha un aspetto stranamente molto simile al mio. La protagonista si pone come obiettivo quello di aiutarlo a ritrovare i suoi amici sexy in giro per la terra.

Ci ho messo circa due anni per scriverlo, dedicandogli 200.000 parole, che è una lunghezza infinita per un libro che non ha nessun motivo di esistere perché è terribile e io non lo voglio far leggere a nessuno! – ride divertita –

Recentemente ho ricevuto una cospicua offerta economica per la pubblicazione di Aurora, totalmente a scatola chiusa ovvero senza che il cliente ne avesse potuto leggere neanche una sola parola. La mia risposta è stata che fondamentalmente non mi pagheranno mai abbastanza per permettere che il grande pubblico ci possa mettere gli occhi sopra.

Ho ripreso, però, alcuni elementi che funzionavano abbastanza bene da quel libro e li ho inseriti all’interno di The Bone Season. Per esempio, in Aurora ho inventato il Dreamscape, che è parte del sistema magico su cui si basa The Bone Season.

Recentemente i miei genitori hanno ritrovato il manoscritto e me l’hanno restituito. Sto pensando seriamente di assicurarmi che venga seppellito assieme a me, così siamo tranquilli che nessuno ci metterà mai le mani sopra! Magari lo farò bruciare o qualcosa del genere. Nessuno si fida quando dico che è terribile, ma giuro che lo è!

Samantha, cosa ti lascia senza Niente da Dire?

Molte delle cose che mi lasciano senza Niente da Dire e di cui sento fortemente il bisogno di parlare sono già presenti nei miei libri, come i concetti di misoginia e autonomia corporea.

Ci sono sicuramente tante altre cose di cui voglio parlare. Ad esempio, mi piacerebbe scrivere un libro su Iris, la dea greca, che coprirà il periodo della guerra di Troia e in particolare di come le donne vengono trattate durante la guerra.

È uno dei temi che tratterò nel prossimo futuro, per il resto mi sono già largamente espressa nei miei libri e continuerò a farlo.

Miriam My Caruso

 

 

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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