Claudio Moneta, l’intervista al Bologna Nerd Show

Ho incontrato per la prima volta Claudio Moneta che entrambi assistevamo a un concerto di musica classica a Milano, nel 2019.

L’esperienza è stata surreale perché, in quel periodo, avevo giustappunto finito un rewatch di How I met your mother. La sua voce era così impressa nella mia mente che quasi mi sembrava di esserci stata anch’io seduta in quel pub a sorseggiare drink con Barney Stinson e compagni, e parlare in quel momento con il suo doppiatore italiano era quantomeno insolito.

Insomma, immaginate di chiacchierare di lirica con Barney e capirete da voi l’assurdità della situazione.

Che poi, se ci si pensa bene, la voce di Claudio Moneta ha accompagnato diversi momenti della vita di un po’ tutti noi: Claudio c’era, sotto le spoglie di Kakashi Hatake, quando seguivamo Naruto nel suo sogno di diventare hokage. Era lui che ci invitava a “fare l’amore con il sapore” nello spot di un noto marchio di yogurt. Dal 2016, inoltre, Moneta ha raccolto la pesante eredità del compianto Paolo Torrisi diventando ufficialmente la voce di Goku.

Personalmente, il primo ricordo chiaro che ho della sua voce è come narratore nel videogioco per la prima Playstation di Harry Potter e la pietra filosofale, uscito nel 2001. Lo so, sono vecchia.

È stato un piacere incontrare nuovamente Claudio Moneta al Bologna Nerd Show, svoltosi l’1 e il 2 febbraio 2025, dove era in veste di giurato per la quinta edizione di La Musa D’Oro, prestigioso premio organizzato da Voci Animate che celebra le eccellenze del doppiaggio italiano.

In esclusiva per Niente Da Dire, ecco cosa mi ha raccontato:

Oltre l’attore e il doppiatore, chi è Claudio Moneta?

Dovrebbero dirlo gli altri, quelli che si descrivono troppo non mi appaiono mai troppo credibili. Ma ricordo che un collega in ambito teatrale diceva di me che trasmettevo molta tranquillità. In realtà, tranquillo non lo sono mai. Però credo che questo aspetto che gli altri vedono di me sia riconducibile al rispetto, che è un valore che mi porto dietro fin da piccolo.

Il rispetto per me è fondamentale, sia nel lavoro che nella quotidianità, nel senso civico, nel rispetto della cosa pubblica. Ho sempre odiato cose come le macchine in seconda fila, le cartacce per terra.

E tutto ciò poi si lega alla ricerca della bellezza, che è quello che alla fine facciamo in ogni forma d’arte. L’arte dev’essere bellezza, emozione. Se è troppo cervellotica, se richiede il manuale d’istruzioni, non è più arte.

So che sei molto appassionato di lirica.

Se non avessi fatto il doppiatore, ti sarebbe piaciuto intraprendere una carriera in quell’ambito?

L’opera ce l’ho nel sangue sin da bambino. Vidi al cinema, negli anni ’70, avevo forse cinque o sei anni, Jesus Christ Superstar. E da lì chiesi a mio padre se era possibile vedere altre storie interamente cantate e non solo recitate. Lui mi disse: “ciò che tu cerchi è l’opera”. Fu una folgorazione, perché io non sapevo neanche che esistesse, l’opera. Cominciai ad ascoltarla con le raccolte di mio padre e poi iniziai a investire le mie prime paghette da bambino per comprare i dischi e i libretti d’opera.

Mi ricordo poi di un maestro di musica, Erminio Gallio, che insegnava a suonare vari strumenti musicali ai bambini in corsi organizzati dalla chiesa. Io volevo studiare il violino, ma a casa mia era stata già comprata una chitarra classica per mia sorella, e quindi alla fine studiai quella e il solfeggio. Anche se per il solfeggio forse ero troppo piccolo e tiravo un po’ a indovinare.

Tuttora, anche nel mio mestiere di attore e doppiatore, io penso in termini musicali, riconduco tutto a quella musica lì. Dentro di me risuonano quelle arie e quelle soluzioni teatrali. Per me l’opera è la forma di teatro assoluta, perfetta.

Lo studio della musica quindi mi ha sempre accompagnato, e avrei voluto proseguire all’università con Storia della musica. Tuttavia, quando si è trattato di scegliere cosa fare da grande, i miei hanno preferito indirizzarmi verso qualcosa di meno “artistico” e più “concreto”. Visto che in quel periodo abitavamo a Monza ed ero altrettanto appassionato di motori (frequentavo l’autodromo e facevo anche l’ufficiale di gara), decisi di fare ingegneria meccanica in modo da diventare in seguito commissario tecnico.

Il risultato è che poi ho fatto l’attore. Ma in me hanno sempre convissuto tutte queste anime, quella artistica e quella più pratica, “matematica”. E in realtà, sono fondamentali tutte per mantenere un equilibrio in una professione che ti mette costantemente alla prova, ti espone tanto al confronto con te stesso, con gli altri e col pubblico. Quegli elementi di razionalità ti salvano dove l’emotività rischia di trascinarti in un vortice che può essere molto bello come anche tremendo.

Facciamo un gioco, che in realtà vuole essere anche divulgazione sull’opera:

Immaginiamo tre fra i personaggi da te doppiati più amati dal pubblico come protagonisti di opere liriche. Che ruoli assegneresti a Goku, Spongebob e Barney Stinson?

Partiamo dal fondo: Barney Stinson lo vedrei nel Rigoletto, di Giuseppe Verdi, a fare il donnaiolo Duca di MantovaLa donna è mobile o Questa o quella si sposano abbastanza bene col personaggio (Claudio mi intona il finale dell’aria usando la parola “Leggendario”, tormentone di Barney, ndr).

Spongebob, col suo modo di fare un po’ credulone, ingenuo e infantile, lo vedrei come Nemorino, il protagonista de L’Elisir D’Amore di Donizetti, che secondo me è un’opera perfetta per i neofiti.

Goku è più difficile, anche lui è un puro di cuore come Spongebob, un eterno bambino, una sorta di Peter Pan. Serve qualcuno di “saltellante”, ti direi Papageno da Il flauto magico di Mozart. Anche se probabilmente bisognerebbe proprio scrivere un’opera dedicata a Goku.

La tua carriera è costellata di grandi successi.

Come artista e come uomo, hai ancora dei sogni nel cassetto da realizzare?

Una parte di me continua a sognare sempre cose che non faccio e che non ho mai fatto. Non le inseguo, nel senso che non le vado a cercare ma lascio che accadano. Però, sognando di continuo, quando poi accadono e come se in qualche modo mi trovassero pronto, perché dentro le ho sempre elaborate. Sono sempre pronto a ciò che mi aspetta, non mi faccio mai cogliere alla sprovvista dalle occasioni, perché sto sempre lì a rimuginare.

Però se vuoi che ti parli di un sogno più concreto relativo a ciò che faccio, vorrei che si ritornasse a fare il teatro classico per davvero. I teatri di prosa sono costretti a proporre al pubblico programmazioni miste. Per carità, c’è spazio per tutti a teatro, non dico di no. Però vorrei vedere nelle stagioni teatrali il ritorno della prosa, la prosa classica.

Il teatro classico purtroppo è stato rovinato prima dagli attori noiosi e parrucconi di quando ho cominciato a lavorare io, che si lamentavano della crisi del teatro senza accorgersi di esserne la causa. Poi c’è stata una ribellione a questo modo di fare teatro e si è arrivati alle regie alternative e trasgressive che stravolgono il teatro classico, questo succede spesso anche in molte regie d’opera. Registicamente non serve inventare niente, perché nel teatro classico c’è già tutto. Sarebbe bello, piuttosto, rinfrescare il modo in cui lo si recita, ricercando la verità.

Un altro sogno nel cassetto…

…Riguarda più da vicino il nostro mestiere di doppiatori: riappropriarci del nostro tempo. Il tempo ci è stato sottratto. Per fare bene quest’arte, perché il doppiaggio – checché se ne dica – è un’arte, serve tempo. Vorrei che chi ha in mano i prodotti ci dia fiducia e il tempo per fare le cose bene. Il doppiaggio fatto bene ormai lo si trova più spesso in prodotti “minori”, non destinati al grande pubblico generalista e perciò non soggetti a scadenze e accordi di segretezza folli, ne abbiamo parlato ampiamente anche qui a Bologna a La Musa D’Oro.

Claudio, cosa ti lascia senza niente da dire?

So che sono monotematico, ma proprio la pagina scritta di un melodramma. Di fronte a quella non c’è veramente altro da aggiungere. Penso che chiunque faccia il nostro mestiere dovrebbe conoscere l’opera, puntare a quella perfezione.

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.

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