Cardoselli e Perillo, il cuore dietro “Love Me”: l’intervista

Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata online con due autori che seguo e stimo profondamente: Stefano Cardoselli e Francesca Perillo, i creatori di Love Me – Una storia d’amore edito da Mirage Comics  Un’opera che mi ha colpito nel profondo per la sua forza visiva, la delicatezza del racconto e ciò che trasmette in ogni pagina.

Anche se non ci siamo incontrati di persona, la nostra conversazione è stata ricca, calorosa e piena di spunti interessanti. Parlando con loro ho percepito tutta la passione che mettono nel proprio lavoro, ma anche quel lato umano che spesso rimane nascosto dietro una tavola o una sceneggiatura.

Ho approfittato dell’occasione per farmi raccontare qualcosa in più sul progetto, sulla loro visione creativa e sul legame che unisce parole e disegni in una storia d’amore così unica e sincera.

Ecco la mia intervista.

Chi sono Stefano Cardoselli e Francesca Perillo?

Francesca – Io e Stefano siamo una coppia anche nella vita, e ci consideriamo molto fortunati: siamo riusciti a trasformare le nostre passioni nel nostro lavoro. Nel mio caso specifico, faccio tante cose. Sono un’insegnante di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado, lavoro con studenti con disabilità, ma il mio percorso è iniziato nel mondo dell’arte.

Prima ancora di dedicarmi all’insegnamento, sono stata un’insegnante di storia dell’arte, un’operatrice museale, e ho avuto l’opportunità di collaborare con artisti nell’ambito della curatela.
La vita, però, ha una strana capacità di riportarci sempre verso ciò che ci appartiene davvero. È stato così anche per me, soprattutto dopo aver conosciuto Stefano.

È stato lui a propormi di scrivere storie. Diceva che avevo “una marcia in più” e che avrei potuto appassionarmi alla scrittura. Non me lo sono fatta ripetere due volte. Ho provato… E devo dire che mi è piaciuto tantissimo.

Il mio sogno? Riuscire un giorno a rispondere con sicurezza alla domanda: “Chi è Francesca?”.
E poter dire: “Una sceneggiatrice di fumetti”.

Stefano – Disegnare è sempre stata la mia passione. Fin da piccolo, scarabocchiavo storie sui quaderni a righe delle elementari: era il mio modo di esprimermi, di immaginare mondi e personaggi.
La mia strada non è stata sempre lineare, ci sono state varie peripezie lungo il percorso, ma alla fine sono riuscito a restare fedele a ciò che amavo davvero.

Dal 1999 disegno fumetti e illustrazioni in modo continuativo, ed è questo che ho sempre voluto fare. È una parte fondamentale di me, qualcosa che non ho mai abbandonato.

C’è stato un evento canonico che vi ha fatto appassionare alle vostre due tipologie di forma espressiva? Oppure un quadro, un libro, fumetto, film o canzone?

Stefano – Mi ricordo perfettamente una copertina di un album dei Black Sabbath che aveva mio cugino. È stato uno di quegli episodi che innescano una catena di eventi: quell’immagine, quella musica, mi hanno portato a scoprire il film d’animazione Heavy Metal, che aveva proprio quella colonna sonora.

Da lì è partita una vera e propria ricerca. Ho iniziato ad appassionarmi ai fumetti americani, in particolare a quelli Marvel. Quello che ho sempre amato di più è lo Spider-Man di Steve Ditko, ci tengo a specificarlo, perché ci tengo moltissimo.

È proprio da lì che è cominciato tutto: quel mix di musica, animazione e fumetto ha acceso una scintilla che non si è mai spenta.

Francesca – Nel mio caso è un po’ più difficile individuare un’opera precisa, qualcosa di visivo o testuale che abbia segnato un punto di svolta. Però posso dirti quando è nato dentro di me il desiderio di far sì che l’arte come linguaggio espressivo universale diventasse parte integrante della mia vita.

C’è stato un momento in cui ho capito che mi avrebbe sempre accompagnata.
Credo fermamente che serva una grande sensibilità in tutto ciò che entra in contatto con un pubblico, che sia composto da una sola persona o da milioni. Bisogna entrare sempre in punta di piedi. Quella sensibilità, per me, è nata grazie alla mia maestra delle elementari, Maddalena.
Per cinque anni, ogni sabato mattina, portava in classe i cataloghi delle mostre in giro per il mondo. E dalle 8:00 alle 13:00 si disegnava.

Era come se si aprisse un mondo nuovo, ed è in quel mondo che ho capito di voler restare. Non potrei immaginare la mia vita senza questo tipo di sensibilità.

Parliamo di Love Me: una storia d’amore. Come è nata l’idea di raccontare questa storia? Quali sono state le fonti di ispirazione per la creazione del mondo narrativo e per il character design dei personaggi?

Stefano – Le idee ormai ti bussano alla porta in continuazione. Nel mio lato creativo e di progettazione ho pensato subito a New York, per molte ragioni, anche per una certa iconografia cinematografica. Adoro, ad esempio, la New York sporca e decadente di Taxi Driver. Questo è stato il punto di partenza per lo sfondo della storia. Jojo è nato in modo del tutto naturale. Volevo un robot che non avesse nulla delle solite caratteristiche dei robot classici, come Robocop, un androide perfetto o Terminator. Volevo qualcosa di goffo, quasi improbabile dal punto di vista tecnico, con gambe sottilissime e un corpo enorme , un po’ come me, in fondo.

Francesca si è tuffata nel progetto e insieme abbiamo sviluppato un plot che, una volta inviato all’editore, ha subito conquistato tutti.

Francesca –
È stato un processo intimo e lento, quasi una gestazione. È arrivata una proposta da MadCave, dove Stefano già lavorava, e avevano bisogno di una storia d’amore. All’inizio sembrava facile, ma in realtà è stata una sfida complessa. Da una mia idea Stefano ha immaginato un’immagine che sembrava una danza. Ci sono momenti in cui senti che qualcosa funziona davvero, e ognuno mette il proprio pezzo nel mosaico.

Ho fatto ascoltare a Stefano Nina Simone, che non conosceva, in particolare Love Me or Leave Me. Oltre a ispirarci il titolo dell’opera, quella canzone ha dato vita a un amore intenso: una donna che sale su un taxi con quella musica in sottofondo. Da quel momento ci siamo resi conto che Jojo, mentre prendeva forma la storia, non ci sembrava più un robot. Aveva perso completamente la sua armatura.

Stefano – Esatto. Il contrasto naturale è che, in una società distratta, Jojo è estremamente attento, si prende cura delle piante, del suo gatto Frida. Pian piano perde quell’aspetto freddo e robotico. In una città fredda, caotica e disinteressata, lui diventa un faro, una luce.

Parliamo un po’ del tema Intelligenza Artificiale, cosa ne pensate? Credete che l’amore fra un robot ed una persona sia possibile in una prospettiva sociale?

Stefano – È una bella domanda. Jojo, in realtà, non è da considerare letteralmente un robot. Il suo aspetto è frutto di una scelta puramente estetica: abbiamo eliminato qualsiasi riferimento a componenti elettrici o elettronici. Non c’era l’intenzione di costruire un discorso sull’intelligenza artificiale alla Skynet, per intenderci. Se una cosa del genere possa essere davvero possibile non saprei dirlo. Di certo, l’idea di macchine intelligenti ha ormai invaso tantissimi ambiti. Ma nell’arte, secondo me, non è la strada giusta.

Ci tengo a sottolinearlo: mi piace vedere fumetti e illustrazioni realizzati da esseri umani, non da un programma. Oggi c’è troppa fretta di arrivare al risultato finale, e così si perde il gusto del processo, il divertimento stesso della creazione.

Francesca – Se l’amore tra due entità così diverse sia possibile oppure no, non lo so. Però, se penso a quello che ho provato guardando nascere la relazione in Love Me, ti dico che è stato tutto molto naturale. Mentre osservavo la storia prendere forma, mi sembrava perfettamente plausibile che potesse esprimere emozioni vere. Non ho trovato nulla di forzato.

Proprio perché portatore di valori profondi, l’aspetto esteriore diventava irrilevante. A un certo punto, ho dimenticato che fosse fatto di metallo e circuiti: questo per me dimostra che il contenuto ha prevalso sulla forma. Jojo rappresenta un amore libero da ogni etichetta, da ogni genere. È un uomo? Una donna? Non si sa.

Io sono aperta ai nuovi linguaggi, anche nella scuola. Nel mio ambito possono diventare strumenti utili, talvolta capaci di migliorare certi aspetti. Ma sempre sotto la supervisione dell’essere umano.

Che cosa vi lascia senza Niente da dire?

Francesca – Il mare. È l’unico luogo in cui ci ritroviamo d’accordo senza bisogno di dire nulla, senza dover aggiungere parole. Si sta bene in quel silenzio che ha qualcosa di profetico. Il mare mette tutti d’accordo, senza sforzo. È una questione intima, profonda. Se dovessi fare un esempio concreto di ciò che per me significa armonia, pace, accordo senza sforzo… Sarebbe proprio lui.

Stefano – Per me, invece, sono tante le cose che mi fanno sentire in sintonia, che mi riportano a quel senso di accordo profondo con me stesso e con ciò che mi circonda. Una cosa su tutte: i film di Quentin Tarantino. C’è qualcosa nel suo modo di raccontare, nei dialoghi, nei personaggi così sopra le righe eppure così umani, che mi appassiona.

E poi la musica, lei è forse il linguaggio più diretto che conosco.

di Federica Curcio

Federica Curcio
Federica Curcio
Articoli: 29