Black myth: Wukong, 2 aspetti poco discussi

Il classico della letteratura cinese “Viaggio in occidente” ha da sempre costituito un raccoglitore di miti e leggende al pari di ciò che i testi di Omero hanno sempre fatto per noi Europei. Negli anni ci sono state innumerevoli ispirazioni a esso e riprese di elementi nell’iconografia o rivisitazioni da tantissimi artisti orientali e non (vedi tra tutti Dragon Ball di Akira Toriyama).

Pochi anni fa un trailer ha scosso il mondo dei videogiocatori. Il breve video riportava il titolo “Black myth: Wukong”.
La software house cinese, Game Science, non diceva nulla ai più navigati, eppure quelle immagini lasciarono di stucco molti per la loro ispirazione e il comparto tecnico che faceva trasparire “next gen” da tutti i frame.

Ad oggi ormai il titolo è stato pubblicato, recensito, giocato e premiato Miglior Action ai The Game Awards 2024.
Eppure sul web poco vengono analizzati alcuni dei più grandi pregi, difetti e dettagli che probabilmente hanno influito nei successi e nei fallimenti di questo videogioco. Proviamo a notarne un paio insieme.

Una scimmia che non parla

Blach Mith Espressione

La narrazione prende il via ben oltre il tempo di Sun Wukong e del suo fantomatico viaggio. Esatto, il giocatore veste i panni del “Predestinato“, un semplice e anonimo erede della razza dell’eroe che tutti conosciamo. Questo di per sé non implica necessariamente nulla di male se non fosse per un unico, invisibile, ma ingombrante dettaglio: il nostro personaggio non parla.

E per di più pare non possedere alcuna espressione facciale. Ora, se ci trovassimo di fronte a un RPG, in cui a dare voce al personaggio fossimo noi con le classiche scelte multiple nei dialoghi o nelle azioni compiute, l’assenza di una personalità nel nostro avatar verrebbe perfettamente digerita. Ma in un action lineare stona alquanto.

I vari antagonisti e comprimari, che durante l’avventura si rivolgono a noi, pongono quesiti, incitano all’azione, chiedono supporto. Ma lo fanno rivolgendosi al vuoto. La nostra scimmietta, bocca chiusa e sguardo fisso nel nulla, sta zitta. Una narrazione con pochi dialoghi e pretesti, una lore frammentata, distillata a gocce e l’assenza di elementi ruolistici abbassano drasticamente l’immedesimazione, il coinvolgimento del videogiocatore.

Risultato: nessuno si ricorderà con nostalgia di eventi e personaggi.

Love, Death & Robots… Ma meglio

Black Mith Cutscene

Black Myth: Wukong è diviso in 6 atti, uniti tra loro da cut scene di “transizione”.

Il problema è che definirle “cutscene” risulta riduttivo, dato che qui si sta parlando decisamente di un prodotto di tutt’altro livello. Come la celebre serie Netflix “Love, Death & Robots”, i ragazzi di Game Science hanno praticamente creato una miniserie con ogni episodio appartenente a uno stile di animazione differente.

Le emozioni e persino la commozione che queste scene e musiche possono suscitare nello spettatore toccano vette non trascurabili. È in questo elemento, forse, più che in tutti gli altri della produzione (nel gioco è presente un compendio con illustrazioni originali che vanno ad approfondire storie, usi e costumi e demoni della mitologia cinese in cui è stata riposta una cura maniacale), che emerge una caratteristica che da troppo tempo ormai scarseggia tra gli sviluppatori di videogiochi: la passione.

Passione e amore verso ciò che si ha tra le mani e voglia di arrivare al cuore di chi, con il proprio portafogli e tempo, decide di dare una chance a questo titolo.

La buccia di banana

Predestinato Black Mith

In una celebre canzone si ascolta la frase “la scimmia nuda balla”. La scimmia in questione qui balla, eccome! E quando lo fa lascia facilmente senza parole. Non è più nuda, certo. Si copre con un comparto tecnico grandioso e una cura dei dettagli che ha del prodigioso.

Il paradosso, però, è che proprio lei che ha alle spalle una storia e tanto materiale che le assicurerebbero l’equilibrio, scivola su una banale buccia di banana.

In un periodo in cui viene forzatamente data una direzione a personaggi e storie che non ne avrebbero alcun bisogno, gli sviluppatori cinesi hanno scelto di fare l’esatto contrario pur essendo tra i pochi a poterselo invece permettere.

Shen

Redazione
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