Quando l’appuntamento diventa dating

So che sembra il titolo dell’articolo scritto da un borioso predicatore contrario alla modernità, ma seguitemi: giuro che arriveremo da qualche parte. Dove non lo so, ma ci arriviamo.

Partiamo dagli albori: una volta, uscivamo con la gente conosciuta per caso nel timido tentativo d’instaurare una relazione: se ci pensate, tutto sommato andava così. Amici di amici, approcci in metropolitana, sconosciuti che ti offrono da bere al bar o persone contro cui abbiamo sbattuto svoltando un angolo mentre prestavamo ben poca attenzione a cosa ci accadeva intorno. Insomma, andava proprio a culo ed era una questione di massa critica: più persone conoscevi e più facevi cose nel mondo reale, più erano le probabilità d’incontrare qualcuno e instaurarci una relazione. Quindi diciamo pure che non è che si trattasse di un sistema meraviglioso: la fregatura stava sempre dietro l’angolo.

L’appuntamento diventa dating

Poi, a un certo punto delle nostre esistenze, è arrivato Facebook. Questo passaggio me lo ricordo bene perché avevo diciott’anni, all’apice dell’età adolescenziale, in cui l’ormone impazzisce eccetera eccetera. Mi ricordo anche che, in quegli anni, s’iniziava a sviluppare un nuovo talento: quella persona che hai visto di sfuggita e sembrava carina, la puoi anche cercare. E pure se non conosci il suo nome, ma magari sai di avere qualche conoscenza in comune, hai buone probabilità di trovarla. Oggi potremmo dire che questa ricerca rasentava un po’ i limiti dello stalking, ma tant’è. Immagino che allora non ci si ponesse ancora il problema dell’invasività del digitale nella vita quotidiana.

Questo passaggio, però, si è rivelato essenziale per passare dall’approccio dal vivo a quello online: l’appuntamento diventa dating. Non si tratta di una mera questione linguistica, ma del fatto che, con dating, intendiamo proprio l’uso dei social e, in generale, delle tecnologie digitali per conoscere persone nuove. E qualcuno c’ha visto giusto su questo aspetto e ha cavalcato l’onda: me li immagino riuniti nel loro consiglio d’amministrazione a dire qualcosa tipo: “Ma perché non creiamo un Facebook che serve solo per sco**re?”.

Il resto, come si dice, è storia, una storia che conosciamo tutti. La vera domanda è: c’è qualche conseguenza reale in questo cambiamento? E se sì, quale?

Rapidità d’esecuzione ed efficienza progettuale

Il mondo del dating online e, in particolare, quello delle applicazioni dedicate, mostra una tendenza che può o meno apparire preoccupante, a seconda delle predisposizioni di ognuno, ma che sicuramente bisogna osservare: abbiamo tutti fretta di fare tutto.

Se costruire una relazione era, almeno prima dell’approccio online, una questione di pazienza e scoperta dell’altro, adesso si trasforma in una questione da risolvere subito, senza perderci troppo tempo. La scoperta dell’altro è prevalentemente, almeno nella sua parte iniziale, affidata alle bio: scriviamo lì quello che ci piace e quello che ci sta sul culo, così non dobbiamo perdere tempo a scoprirlo di persona. Questo, sicuramente, ci permette di bypassare imbarazzanti situazioni nella quali possiamo trovarci incastrati se non conosciamo bene le preferenze dell’altro, ma, d’altra parte, finisce per incastrarci in un piccolo orticello. L’algoritmo sa quello che cerchiamo, sa cosa ci piace fare nel tempo libero e sa pure cosa odiamo: le speranze di uscire dal nostro recintato orticello si riducono all’osso e noi accettiamo d’intrappolarci in una bizzarra comfort zone che ci siamo costruiti con le nostre mani.

Nasce così una certa ansia da prestazione. Insomma, è un po’ come andare al primo giorno del nostro nuovo lavoro senza avere una grande idea su come dovremmo farlo: facciamo il nostro e aspettiamo dei risultati, che non sempre arrivano, e allora iniziamo a chiederci se stiamo sbagliando qualcosa, revisioniamo il nostro profilo svariate centinaia di volte e ci chiediamo quale sia il modo migliore di costruirlo perché funzioni. Diventiamo degli influencer, insomma: influencer delle relazioni, che devono colpire la maggioranza degli utenti possibili.

Il gioco del match

Diciamocelo onestamente: la meccanica dei match è un po’ come un gioco più o meno divertente. Stiamo lì a ripetere quest’azione meccanica, nella speranza che prima o poi sbuchi fuori una scritta colorata che ci dice che quella persona ci ha concesso uno swipe a sinistra pure lei. Poi le scriviamo e non ci risponderà mai, come un’antica divinità con troppe cose da fare per dedicarci due minuti.

Il ghosting, che ha la crudele caratteristica di essere del tutto immotivato online, ci provoca una frustrazione anche peggiore, mentre il match ci spinge a ritentare visto che, magari, la scelta giusta potrebbe nascondersi dietro l’angolo. In parole povere, siamo diventati giocatori d’azzardo delle relazioni: lanciamo i dadi e vediamo cosa esce e, ad ogni swipe, un nuovo tiro ci dice se siamo stati abbastanza fortunati.

Molte persone si trovano a navigare tra aspettative deluse, poche corrispondenze significative e conversazioni che spesso si interrompono prima di trasformarsi in incontri reali, alimentando un senso di frustrazione crescente. Questo ciclo continuo di speranze e delusioni può alla lunga portare a un burnout emotivo.

Quindi buttiamo via tutto?

Non necessariamente. Chi scrive, ha conosciuto la sua compagna su Tinder e, al di là del raccogliere un incredibile numero di storie da raccontarsi al bar con gli amici, le app di dating possono produrre qualcosa.

Parlando del loro impiego, forse, ci si dovrebbe concentrare meno sui problemi che possono produrre e un po’ di più sul perché le utilizziamo. È vero, rendono tutto più rapido e meno dispendioso di energie per noi (almeno sulla carta) e ci danno la possibilità d’instaurare relazioni che non avremmo altrimenti il tempo di costruire. Ma forse, a ben guardare, il problema non sta proprio lì?

L’appuntamento diventa dating quando abbiamo poco tempo per le relazioni umane e, poco alla volta, ci affidiamo al lavoro di un algoritmo per occuparsene al posto nostro. Forse, a pensarci bene, esistono un paio di metodi migliori per spendere il nostro tempo, ma per oggi non posso pensarci, mi tocca tornare a lavoro.

di Emmanuele Ettore Vercillo

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