Qualche settimana fa ho portato la mia macchina all’autolavaggio (lo so che non ve ne frega una mazza, ma datemi due minuti e arrivo al punto) e, nell’attesa che mi venisse riconsegnata, ho deciso di fare quello che mi ritrovo sempre a fare in queste situazioni: un giro in libreria.
Fortuna ha voluto che m’imbattessi in un’edizione italiana di Arancia meccanica di Anthony Burgess, eventualità che è fortunata per ragioni che non è il caso di spiegare in questa sede. Il punto è che, dopo averlo acquistato e iniziato a rileggere, ho fatto caso dopo qualche giorno nella quarta di copertina. Lì c’era un breve paragrafo scritto dall’autore di cui una parte, che riporto, mi ha colpito particolarmente:
“Il libro rivela una battaglia interiore con quest’idea: quella del male. Non solo il male, ma il pericolo di provare a correggerlo”.
Il pericolo di provare a correggere il male: una lettura alla quale non avevo mai fatto troppo caso ma che, in effetti, è parte integrante della storia di Alexander DeLarge. Quindi mi sono chiesto: si corre un pericolo nel provare a correggere il male, di estirparlo, nel tentativo di, banalmente, mettere ordine nel caos?
La dicotomia per eccellenza
Diciamo la verità: ognuno di noi ha sempre pensato a ordine e caos come facce opposte di una stessa medaglia, se non concetti totalmente opposti e privi di punti comuni. La cosa non deve sorprendere più di tanto, perché è figlia della filosofia occidentale: nella mitologia greca, per esempio, dal caos primordiale nacquero le prime divinità che, in seguito, usarono il loro potere per plasmare il mondo o, per dirla in altri termini, per mettere in ordine.
Quella greca non è un’unica iterazione di quest’idea: miti simili si ritrovano nella mitologia egizia o in quelle cinesi e indiane; sembra che questa separazione netta, insomma, faccia parte dell’essere umano e ci accompagni da sempre. Non è un caso se è l’uomo l’unico animale avvezzo alla scienza, un mezzo costruito per permetterci di capire l’ordine naturale delle cose, come siamo spesso soliti dire.
Questo nostro spasmodico bisogno di ordine si riflette in ogni aspetto della nostra vita: la regolarità dello stipendio, l’orologio o la scansione numerico di anni, mesi e giorni; e poi cerchiamo forme familiari fra le nuvole e uniamo linee immaginarie fra le stelle che chiamiamo costellazioni perché ogni aspetto della nostra vita non può essere lasciato al caso: dobbiamo controllarlo. Un po’ come i tutori di Alex, lottiamo contro la continua ricerca di un sistema che funzioni con la precisione di un pendolo, regolare e prevedibile, e fatichiamo anni perché sia così ritrovandoci, il più delle volte, a fallire. Perché?
Ordine e caos come compagni inseparabili
Se avete letto fin qui nella speranza di una risposta certa, sappiate che non la ho. Posso solo darvi una mia impressione: il mondo non è ordinato, non ha nessuna voglia di esserlo e, per quanto noi vorremmo imbrigliarlo, probabilmente non riusciremo mai.
Il fatto è che l’esistenza stessa del caos permette al mondo di cambiare e, soprattutto, all’universo di adattarsi e riordinarsi al meglio. E lo stesso vale per noi, che ci affanniamo a seguire schemi che hanno funzionato per i nostri genitori, quando potremmo, per una volta, accettare un po’ di caos e riordinarlo strada facendo.
Tornando ad Alex, dopotutto, lui sostiene che il bene esiste solo perché esiste il male, perché ci sono quelli come lui che fanno vedere come gli altri siano “buoni”. Allo stesso modo, possiamo portare ordine solo dove c’era caos e, se questa idea esiste per noi, vuol dire che è il caos l’ordine naturale delle cose. Parafrasando Burgess, potremmo dire che, fra duemila anni, il mondo non sarà più ordinato o caotico, perché questo conflitto non finisce mai. A noi sta solo decidere come abbracciarlo.
di Emmanuele Ettore Vercillo