Nell’essere umano è insito il desiderio di vivere in una condizione di pace, con gli altri e con sé stesso. Questo, nonostante per molti filosofi e pensatori tale desiderio non sia realmente istintivo e naturale. Homo Homini Lupus, affermava Thomas Hobbes nella prima metà del 1600: l’uomo è lupo nei confronti dell’altro. Di conseguenza, il desiderio di raggiungere una condizione di pace sarebbe solo successivo e costruito dal pensiero, nel momento stesso in cui l’uomo si accorge che nello stato di natura la propria sopravvivenza è in pericolo. Su questo presupposto si fonda dunque la creazione dei gruppi sociali e della società tutta, che – secondo questo punto di vista – non sarebbe altro che un organo garante della sopravvivenza dei singoli.
Una visione maggiormente olistica della questione la potremmo basare sul pensiero del filosofo greco Eraclito. Eraclito difendeva l’idea che tutto esista in funzione di un proprio contrario e che dunque nulla possa esistere senza il proprio opposto. Se applichiamo questo presupposto al concetto di pace, si potrebbe dire che questa non potrebbe esistere senza il proprio contrario, dunque il conflitto o, più nello specifico, la guerra.
Questi sono solo due esempi possibili che tentano di spiegare fondamentalmente il perché esistano conflitti e guerre. Ma tutto ciò potrebbe essere ancora più semplice di quello che sembra, senza comunque scadere nella superficialità. Nella maggior parte dei casi, il conflitto non ha che motivazioni materiali, come denaro e potere. Oppure si tratta di motivazioni ideologiche, ma di ideologie plasmate con lo scopo di fare da maschera a motivazioni materiali. Come altre esperienze umane, anche diverse espressioni artistiche hanno a loro modo tentato di fornire spiegazioni per quanto concerne le tematiche di pace e conflitto.
La raffigurazione storica dei conflitti: dall’idealismo al realismo
Noi esseri umani, per quanto tutti diversi, siamo vittime come intera specie di un peculiare bias: siamo disgustati dalla violenza e dal conflitto, eppure la mostruosità ci affascina. Accade ad esempio quando si assiste ad un incidente e non si è in grado di distogliere lo sguardo. Oppure è il caso della fascinazione per la cronaca nera – prodotti audiovisivi e podcast su efferati crimini ne sono la prova lampante. Questo interesse è sempre esistito ed è stato oggetto di raffigurazione anche nell’arte. Inizialmente, tali raffigurazioni avevano una loro utilità, basti pensare già ai graffiti rupestri che raffiguravano i conflitti tra i primi raggruppamenti di individui. In quel caso si trattava di un ottimo mezzo di comunicazione utile ad illustrare ciò che si sarebbe dovuto fare all’occorrenza.
La raffigurazione della guerra e del conflitto nel corso delle epoche successive si è quasi sempre rivelato estremamente idealistico. Questo perché, solitamente, si trattava di quadri e raffigurazioni di battaglie che avevano lo scopo di divenire utili strumenti di propaganda. Le battaglie venivano dipinte come eventi ideali, lo stesso utilizzo dei colori e della luce, all’occorrenza caldi o freddi, accoglienti o solenni, era strumento per comunicare al popolo che le proprie posizioni erano quelle giuste.
Le eccezioni a questa regola ci sono sempre state, anche se sono diventate più consistenti con il periodo dell’arte moderna. Per fare un esempio, prendiamo il pittore spagnolo Francisco Goya. Goya è estremamente noto per la sua raffigurazione della guerra. In particolare, nel 1814 dipinse uno dei suoi quadri più famosi, La fucilazione del 3 maggio 1808, raffigurante un evento avvenuto durante la resistenza spagnola all’occupazione dell’armata francese. Questo quadro segna un punto di svolta per questo tipo di raffigurazioni. Si passa infatti da un idealismo legato allo stile neoclassico ad un crudo realismo. Questo, nonostante siano chiare le influenze neoclassiche nell’uso del chiaroscuro e nella composizione della tela.
Contemporaneità: dall’arte per il conflitto all’arte per la pace
Nell’epoca dell’arte contemporanea il ribaltamento apportato da Goya ha creato un’eco che attraversa epoche, stili e correnti diverse. Nella contemporaneità si continua a dare estremo rilievo alla tematica della guerra, con la differenza che ora l’obiettivo non è più rappresentare il conflitto, ma a proprio modo superarlo. L’arte contemporanea che tratta la guerra, tratta anche il suo contrario e si batte per esso. Si tratta di istanze pacifiste, veicolate da opere sempre più crude e orrorifiche. Per quanto sembri dissonante, questa è forse una delle modalità più d’impatto per lanciare un grido di richiesta di pace.
Nel 2023 l’Italia ha accolto numerosi artisti internazionali per parlare della guerra e del suo superamento attraverso l’arte, accogliendo le loro opere nella cornice del Castello di Rivoli, in provincia di Torino, sede di uno dei più importanti poli italiani per l’arte contemporanea. La mostra, intitolata Artisti in Guerra, si è tenuta dal 15 marzo al 19 novembre 2023, sotto la gestione delle curatrici Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio. Oltre a prestiti provenienti da istituzioni italiane e internazionali, la collettiva comprendeva due committenze: The Shelter II e New Scenario, rispettivamente dell’artista ucraino Nikita Kadan e dell’artista e accademico afghano Rahraw Omarzad.
Parafrasando il comunicato stampa della mostra, The Shelter II si configura come il naturale proseguo dell’opera The Shelter, presentata nel 2015 alla 14a edizione della Biennale di Istanbul e dedicata al Donbass. Questa seconda installazione è riferita alla più estesa guerra in Ucraina, iniziata due anni fa. L’opera si basa sul concetto di trasformare quello che dovrebbe essere un rifugio in un ambiente di solitudine, sofferenza e tragedia. Sempre partendo dal comunicato stampa, possiamo dire di New Scenario che si tratta di un video girato dall’artista durante una residenza al Castello di Rivoli, all’interno di un rifugio antiaereo di Torino. L’opera mostra personaggi allegorici guidati da movimenti e gesti lenti e ripetitivi, in un’ambientazione teatrale. I protagonisti includono un talebano, un soldato americano, un uomo d’affari e figure mitologiche avvolte in drappi. I ruoli dei personaggi si rovesciano più volte, come fossero pupazzi manipolati dalla storia stessa.
di Dorian Leva