La razionalità della guerra

Per tutta la lunga storia dell’uomo non è mai esistito, almeno non che sia documentabile in modo oggettivo, un singolo anno privo di conflitti. Significa sostanzialmente che, in tutta la storia umana che siamo oggi in grado di documentare (e credetemi, è tanta) non sapremmo indicare un singolo anno in cui, in qualche parte del pianeta, non fosse in corso una guerra. Così, se è vero che la pax romana augustea pacificò il cuore dell’Impero Romano, è altrettanto vero che i confini sul Reno erano infiammati dai conflitti con i Germanici.

E se è vero che, nel 1945, si concludeva la Seconda guerra mondiale, è altrettanto vero che il 17 agosto di quello stesso anno scoppiava la guerra d’indipendenza in Indonesia. E ancora oggi di conflitti sembrano esploderne in continuazione: dall’Ucraina a Gaza, quelli che sicuramente accendono maggiormente il dibattito pubblico, ma senza dimenticare questioni forse anche più aspre, come quella dello Yemen.

Se, però, la guerra è sempre esistita nella storia degli esseri umani, negli ultimi anni questa ha vissuto un’importante e, al tempo stesso, preoccupante evoluzione. È ormai da tempo, infatti, che l’opinione pubblica ha iniziato ad avvicinarsi a una ricerca della pace: se i governi hanno ancora, in molte occasioni, il desiderio di muovere conflitti per le ragioni più disparate, i popoli che dovrebbero rappresentare sono sempre più vicini, almeno nella maggioranza, al desiderio di vedere la fine della guerra e, soprattutto, si dimostrano desiderosi di esprimersi in questo senso con tutti gli strumenti a loro disposizione, soprattutto nelle società democratiche.

È per questa ragione che abbiamo assistito a una razionalizzazione della guerra, presentata come unica possibile soluzione ai disaccordi internazionali.

La pace e il dialogo non sono più un’opzione

guerra in ucraina

Prendiamo il recente conflitto in Ucraina come esempio. Premesso che non ci sia, da questa parte, nessuna intenzione di giustificare l’invasione operata dalla Russia, è comunque interessante osservare la risposta arrivata dai paesi generalmente ricondotti a un generico Occidente. L’invasione dell’Ucraina ha prodotto un importante investimento in campo militare, dovuto al fatto che l’invio di armi e rifornimenti al paese aggredito sia stato dipinto come l’unico scenario possibile.

Non si vuole, in questa sede, mettere in discussione il fatto che l’Ucraina sia stata vittima di un’invasione, quanto piuttosto discutere della situazione alla quale si è arrivati. Nel momento in cui i vari governi occidentali decidevano di sovvenzionare la difesa ucraina, infatti, erano ben consapevoli del fatto che, nonostante tutti i finanziamenti immaginabili, difficilmente l’Ucraina quella guerra l’avrebbe vinta o la vincerà in futuro, non senza un intervento militare diretto dai suoi alleati, almeno.

Intervento che, neanche a dirlo, non è stato neanche proposto, sebbene in segreto, come notizie recenti confermano, alcuni paesi abbiano deciso di inviare personale militare. Per poter aggirare lo scoglio della reticenza delle popolazioni occidentali a spendere soldi pubblici in guerra, si è costruito un complesso impianto di comunicazione che ha ottenuto il risultato di ridicolizzare e mettere all’angolo chiunque parlasse di pace, sia che lo facesse con alle spalle un discorso razionale che senza.

Si è dipinto Vladimir Putin come un folle con manie imperialiste, dimenticandosi che, sebbene non sia ragione per un’invasione armata, Putin non mente quando parla di nazismo in Ucraina. E d’altronde, non è nemmeno una gran sorpresa che movimenti neonazisti esistano in un paese che vide gli invasori tedeschi come una speranza di liberazione dall’oppressione comunista.

Ci si è dimenticati delle vicende degli anni passati relative al Donbass, che abbiamo raccontato come una regione dell’Ucraina invasa e sottoposta a un referendum farsa per l’annessione alla Russia. Probabilmente il referendum fu davvero una farsa, però è anche vero che è fin dall’epoca dei bolscevichi che il Donbass esprime un desiderio di annessione alla Russia, che finora la Russia stessa gli ha sempre rifiutato.

Abbiamo raccontato, insomma, le cose a metà, in modo da portare avanti una narrazione che consentisse di giustificare una scelta di strategia politica, perché di questo si tratta. Una strategia che però, purtroppo, pesa sulle spalle di chi vive, o forse sarebbe meglio dire viveva, in Ucraina.

Dato che la storia, alle volte, si rivela profondamente ironica, abbiamo assistito a uno schema simile quando il conflitto di Gaza è esploso nuovamente. Ci siamo allora affrettati a raccontare come Hamas sia un’organizzazione terroristica da debellare il che, allo stato attuale delle cose, è probabilmente vero. Però ci siamo anche dimenticati che, nel 2006, Hamas partecipò e vinse le elezioni palestinesi, risultato che evidentemente non andava bene né all’organizzazione, altrettanto militare, di Fatah né a quelle istituzioni occidentali che bloccarono ogni sorta di finanziamento al governo palestinese, scelta che condusse poi a una guerra civile che a sua volta portò alla situazione attuale.

Anche qui, il dibattito si limita a un fastidioso presentismo, mirato allo stabilire chi ha ragione e chi no, come se fosse possibile in generale trovare una sola parte nel torto e come se questo dovesse servire a decidere chi sia a dover essere annichilito dalle armi.

Così assistiamo a surreali discussioni fra persone che sostengono, a ragione, che da anni Israele occupa abusivamente la Cisgiordania e altri che sostengono, altrettanto a ragione, che Israele è stata vittima di un crudele attacco terroristico. Ma soprattutto che questo atto terroristico vada vendicato, come fossimo bambini che si rubano la merenda.

La “guerra” come motore del dibattito

pandori ferragni

Il conflitto incentrato sulla non disponibilità al dialogo è diventato così tanto razionale da trasformarsi nel motore che fa muovere qualsiasi argomento riguardi il dibattito pubblico. In altre parole, potremmo renderci conto, in modo abbastanza traumatico, che lo stesso discorso appena fatto su conflitti internazionali finisce per essere al centro di qualsiasi discussione vi possiate trovare ad affrontare nella vostra quotidianità.

Anche qui, alcuni esempi sono d’obbligo, anche se su piani e rilevanze ben differenti.

Se Chiara Ferragni viene attenzionata dalla Procura per una questione pubblicitaria, di cui sicuramente abbiamo tutti sentito parlare, non esiste alcuna possibilità di considerare l’ipotesi che la Procura stia semplicemente svolgendo un’indagine che deve, quindi, maturare attraverso degli accertamenti. Quello che ci raccontiamo, da una parte, è che finalmente la Ferragni è stata smascherata per la furba truffatrice che è, mentre un secondo schieramento si esprimerà con profonda indignazione su come i giudici italiani non abbiano modo migliore di spendere il proprio tempo e difenderanno la loro beniamina a spada tratta.

Anche un discorso legato a un’influencer, insomma, si trasforma in un dibattito infuocato di berlusconiana memoria e tutti hanno già deciso di sapere come davvero siano andate le cose.

Nessuno con il beneficio del dubbio, nessuno disposto ad ammettere che, in fondo, di questa storia non ne sappia una mazza visto che non lavora né per la Ferragni né per Balocco. Così siamo costretti ad ascoltare complessi discorsi che ricordano vagamente le supercazzole di un famoso film italiano ma che, alla fine dei conti, nulla aggiungono alla questione, se non il trasformarla nell’ennesimo argomento di cui non si può parlare sennò succede un casino. Come se la giustizia italiana fosse nota per la sua puntualità e infallibilità o i ricchi imprenditori italiani mai si fossero macchiati del peccato di furbizia.

Nemmeno Sanremo, ormai, lo si può guardare con tranquillità perché, alla fine, dovrai decidere se Geolier ha quasi vinto solo perché vergognosamente votato da un’orda di napoletani che ha dato all’accento la sua preferenza o meno. E quindi dovrai dire se è una vergogna che la critica si sia opposta così nettamente al voto popolare o se sia meglio che l’abbiano fatto perché altrimenti sarebbe stato, quello sì, vergognoso.

Come se, nell’arte, non ci fosse mai stata una netta discordanza fra l’opinione della critica, legata a regole, tecniche e messaggi tematici, e l’opinione di un pubblico, trasportato più da un’intimità personale del messaggio.

Niente: anche questo è un conflitto irrazionale, dal quale nessuno può uscire vincitore se non eliminando l’opinione avversa. Ogni cosa che interessa l’opinione pubblica è trasformata in guerra e trattato alla stregua dei conflitti militari: io ho ragione, tu no. Pertanto, non c’è altro da dirci, il dialogo non serve, la pace arriverà quando, finalmente, il tempo dimostrerà che avevi torto e chiuderai la bocca.

Quindi cos’è la pace?

coppia ucraina

Il discorso potrebbe proseguire all’infinito e tirare in ballo molteplici eventi storici o di attualità, sempre riconducibili a uno squadrismo da stadio che poco si addice a questioni che hanno a che fare con le vite umane. Ma finiremmo per avere un articolo infinito.

Se però, oggi, come società vogliamo davvero perseguire la pace, senza poi dover inviare soldati in gran segreto finché una telefonata intercettata non rovina tutti i nostri piani, dovremmo cercare di uscire da una visione bidimensionale del mondo che ci circonda.

Dovremmo renderci conto che ogni avvenimento che infiamma gli equilibri della politica internazionale non avviene nel vuoto, così come non avvengono nel vuoto le piccole cose della nostra attualità. Ogni paese e ogni persona di cui parliamo ha una sua storia ed è questa storia, solo se raccontata con oggettività, a spiegarci perché determinate cose accadono. Il mondo non è composto da folli che attaccano e invadono altri paesi per il capriccio di farlo ma, in molti casi, sono le scelte di chi a quelle guerre non prende parte a determinarne l’andamento.

Perseguire la pace, dunque, significa smettere di fare il tifo e iniziare a comprendere le cose, se proprio si sente l’esigenza di parlarne, ma iniziare a farlo in ogni aspetto della nostra vita.

Ascoltare anche l’altra campana, per quanto irrazionale possa sembrarci, e ricordare che pace significa concordia, accordo di intenti, e non certo eradicazione di chi la pensa come noi. Ricordarci, soprattutto, che il racconto dell’avversario cattivo, da eliminare, ci ha in passato condotto su strade che vorremmo evitare di ripercorrere. O almeno, così ci raccontiamo.

Emmanuele Ettore Vercillo

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