Strange World – L’Ambientalismo Tradotto

Mi sono appena imbattuto in Strange World, il nuovo lungometraggio della Disney Animation Studios (non Pixar). Ha dei contenuti di cui vale la pena parlare, ma per farlo fioccheranno spoiler.

Partiamo dalle questioni ovvie, Strange World è stato un flop al botteghino ed è stato subito dirottato su Disney+. Non è un film perfetto, è lontano dal genio emotivo di alcuni capolavori Pixar e non è una rivoluzione visiva come alcuni classici del colosso di Hollywood. Ma è il film di animazione di cui questa generazione ha un bisogno immediato.

Il motivo di questa importanza resta nascosto per buona parte del film. Tutti i trailer, la campagna di marketing e il primo atto del film stesso, sembrano presentare la classica avventura esplorativa padre/figlio. Ma proprio come lo strano mondo in cui è ambientato, il vero valore del film si cela sotto la sua superficie. 

L’intrepido esploratore Jaeger Clade (non a caso il suo nome significa “cacciatore”) e suo figlio adolescente Searcher, classica spalla imbranata dalla mente scientifica, sono in viaggio per scalare le invalicabili montagne che circondano la terra di Avalonia e scoprire cosa ci sia dall’altra parte. Fin qui, tutto già visto.

Ma la spedizione si ferma quando il figlio Searcher trova una pianta dalle proprietà bioelettriche che potrebbe cambiare il loro mondo e decide di portarla a casa. Jaeger e Searcher hanno uno scontro generazionale, “esploratore ottocentesco” contro “scienziato novecentesco”, per così dire. Il padre continua da solo, il figlio torna a casa. Venticinque anni dopo, la pianta di Searcher, chiamata Pando, è coltivata ovunque e i suoi frutti alimentano ogni tipo di tecnologia. In pratica, Avalonia è diventata un mondo moderno, con radio, macchine, tostapane e luce elettrica. Già più interessante, ma il bello deve arrivare.

Perché allo scontro generazionale si aggiunge un terzo membro. Searcher ha avuto un figlio, un adolescente di nome Ethan. È il primo protagonista Disney apertamente gay, odia coltivare il Pando e adora l’idea di esplorare la natura. Come il suo nonno scomparso? Non proprio. E vedremo perché.15

Un giorno, i leader di Avalonia scoprono che il Pando sta morendo, come se fosse attaccato da un parassita. Essendo la pianta un singolo organismo vegetale che parte da una sola radice nelle profondità del sottosuolo, Searcher e Ethan vengono reclutati per una spedizione sotterranea al fine di scoprire la malattia e salvare il Pando. Si parte a bordo della nave fluttuante che si infila nel cratere naturale. A questo punto siamo in territorio Jules Verne, Viaggio al Centro della Terra con un pizzico di Ventimila Leghe Sotto i Mari. Figo, giusto? Ma anche questo già visto.

Dopo una serie di peripezie, il gruppo si ritrova in un mondo sotterraneo popolato da strane creature e da una vegetazione altrettanto aliena, ma stranamente familiare. A quel punto, ovviamente, il leggendario esploratore Jaeger, che era rimasto bloccato nel sottosuolo, spunta di nuovo fuori e il trio padre-figlio-nipote prosegue verso la radice del Pando.

Ed ecco che arriva lo scontro generazionale triplo. In viaggio, Nathan fa giocare padre e nonno al suo gioco da tavolo preferito, Primal Outpost. È un gioco collaborativo win-to-win dove lo scopo è creare un equilibrio con l’ambiente circostante (“cosa che voi umani non fate”, direbbe l’Agente Smith). Il nonno, esploratore colonialista che crede nel trattare la natura come un mostro da domare e sconfiggere non capisce: come può esserci un gioco senza antagonisti? Il padre, invece, scienziato e agricoltore, pensa solo a coltivare le risorse disponibili per sfruttarle il più possibile. In modi diversi, nonno e padre falliscono nel capire il senso del gioco. Solo Nathan comprende la logica del win-to-win, dell’equilibrio, della simbiosi.

Ed è proprio grazie a quella logica che Nathan riesce a ribaltare la visione comune delle cose, a vedere oltre il paradigma culturale ereditato dal nonno e dal padre, giungendo così alla scoperta del colpo di scena. Non stanno viaggiando nel sottosuolo, stanno viaggiando nel corpo di un essere gigantesco. La flora e la fauna aliene non sono che le cellule, i globuli e gli anticorpi di un immenso sistema biologico di cui loro hanno sempre fatto parte.

Il che porta Ethan ad una naturale conclusione. Il Pando non sta subendo l’attacco di un parassita, il Pando è il parassita, una malattia che sta soffocando il cuore della creatura sulla cui schiena poggia l’intera civiltà umana. Tenere in vita il Pando significa salvare la loro risorsa primaria, ma significa anche uccidere la creatura e, per estensione, l’umanità sulla sua schiena.

La scelta dell’umanità, qui rappresentata da nonno padre e figlio, si palesa in maniera così limpida da essere chiara perfino a un bambino: essere parassiti o essere simbionti, distruggere la creatura che ci ospita, o fare la nostra parte per salvarla.

In questo ritroviamo l’influenza, anche visiva, di Avatar, dove il pianeta Pandora (che il Pando sia una citazione?) è del tutto senziente. Ma in questo caso, la cosa è ancora più palese, al fine di rendere il film uno strumento educativo per l’infanzia, e, si spera, anche per chi infantile non dovrebbe esserlo più.

Ma c’è anche un rimando al film Salto nel Buio [Innerspace] (1987), dove Dennis Quaid, che qui da la voce a Jaeger, si miniaturizzava e navigava dentro al corpo umano a bordo di una navicella. In pratica, Strange World fa la stessa cosa, ma senza annunciarlo.

Al contrario ci fa credere di essere in una storia di Verne alla scoperta dell’ignoto, come vorrebbe Jaeger, o almeno di essere quelli che salveranno il nostro stile di vita corrente, come vorrebbe Searcher. Solo alla fine, il film ci rivela la verità: la mentalità colonialista dell’ottocento era un’illusione, così come lo era la mentalità industriale del novecento. La realtà del nuovo secolo e millennio non sarà facile da digerire, ma si è ormai palesata oltre ogni ragionevole dubbio: siamo le pulci sulla schiena di un cane, e il cane sta morendo.

Ora, questa immagine evoca subito un senso di fatalismo, ma anche questa, il film ci spiega, è un’illusione. Perché nell’umiltà disarmante dello scoprirsi microbi si cela il potere di essere anticorpi, nella realtà di essere un virus si cela la scelta di essere la cura. 

Negli ultimi round di questo gioco collaborativo, non c’è più tempo per essere ciechi e non ha alcun senso pratico essere fatalisti. La sola cosa che conta, al di là di ogni retorica, è il gioco di squadra e la rapidità d’azione. Tutte le generazioni viventi devono scegliere di debellare il parassita che abbiamo alimentato finora, e per farlo dobbiamo vedere l’immagine d’insieme e capire la simbiosi.

Veneriamo da secoli divinità di ogni genere e sistemi finanziari fatti di numeri quando, sotto la superficie di tutti questi sistemi, c’è una palese, immensa, biologica entità da cui dipendiamo nella vita e nella morte, un’entità che nell’antichità veniva rappresentata con la stessa immagine che conclude il film: una gigantesca Tartaruga che ci porta sulle spalle.

È un’immagine che sconvolge, una metafora più vera della realtà che riusciamo a vedere in superficie. È confortante, spaventosa, necessaria. Perché non c’è niente oltre la Tartaruga, nessun nemico e nessuna salvezza. In un mondo fatto di un singolo organismo vivente, siamo un virus che ha, forse appena in tempo, preso coscienza di se stesso. Adesso, dobbiamo diventare la cura.

di Lorenzo Pelosini “Riverrunner”

Lorenzo Pelosini
Lorenzo Pelosini
Articoli: 14