Cos’è la paleontologia
La paleontologia è la scienza che studia la vita antica tramite la scoperta e l’analisi dei fossili, ovvero qualsiasi “prodotto biologico” che è andato incontro a mineralizzazione e pietrificazione, preservandosi nel corso dei milioni di anni, appartenente ad organismi del passato.
Ossa, denti e gusci sono tra i reperti più comuni, ma la paleontologia studia una moltitudine di diversi “prodotti biologici”: dalle piume alla pelle, dalle molecole ai coproliti, dalle piante ai batteri… Insomma, la paleontologia studia tutto quello che è vissuto prima di noi.
La nascita tra i salotti aristocratici
Sebbene i reperti fossili siano conosciuti fin dagli albori delle civiltà che hanno vissuto sul nostro Pianeta, la paleontologia nasce, in maniera ufficiale, tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, tra i salotti dell’Europa con il famoso anatomista francese George Cuvier e i baronetti inglesi. Poi si è diffuso in tutto il mondo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, riscontrando un inaspettato successo anche tra i non addetti ai lavori
Fin dagli inizi della disciplina, come per altre branche scientifiche, la paleontologia è stata quasi sempre prerogativa di una classe specifica di persone, ovvero gli “aristocratici bianchi”, chiamiamoli così. Era una branca del sapere esclusiva dei grandi baronetti universitari o dei caparbi uomini d’affari.
Grazie alla posizione sociale e ai privilegi, essi dettavano quello che volevano, ostracizzando persone provenienti da differenti comunità, donne e persone di identità sessuale differente.
Uno dei più famosi primi esempi fu quello di Mary Anning, una ricercatrice di fossili nelle coste britanniche agli inizi del 1800. Mary, sebbene contribuì in maniera fondamentale alla nascita della paleontologia moderna, fu quasi completamente dimenticata dai suoi colleghi a causa delle sue umili origini e del perché fosse… donna, semplicemente.
La problematica oggi, tra denunce e sensibilizzazione
Ai giorni nostri, la paleontologia è una scienza molto più aperta e sensibile agli argomenti di diversità, inclusione e rispetto a differenza degli inizi della disciplina, ma diverse problematiche permangono. È indubbio che, ancora adesso, parte della comunità paleontologica risenta ancora del suo passato, presentando non poche difficoltà per persone provenienti da altre realtà, in particolare i membri della comunità LGBTQ+.
Fortunatamente negli ultimi anni c’è stato un -lieve- aumento della rappresentanza delle varie comunità. Nello specifico, stando alla Palaeontological Association Diversity Monitoring del 2021, circa 35% dei paleontologi membri dell’associazione rientrano nella comunità LGBTQ+: 17% gay, 10% lesbiche, 7% bisessuale; 2% pansessuale e asessuale; 2.6% non-binary; 1.9% transgender. Numeri, purtroppo, ancora troppo bassi.
Il problema della paleontologia “tradizionale”, quella dettata da una classe sociale privilegiata, rimane e troppe volte si fa sentire in maniera negativa. Recentemente, varie figure professionali della paleontologia sono state accusate dai propri studenti per comportamenti inqualificabili di molestie, bullismo e violenza psicologica, che hanno il conseguente effetto di disincentivare i più giovani nell’entrare a far parte del nostro mondo lavorativo, sia scientifico che divulgativo.
Per far fronte a queste problematiche, via via sempre più denunciate apertamente anche grazie ad una presa di coscienza maggiore, soprattutto tra le persone più giovani, negli ultimi anni varie associazioni paleontologiche come la European Association of Vertebrate Palentologists (EAVP), la Palaeontological Association (PalAss) e la Society of Vertebrate Paleontology (SVP), stanno creando delle realtà al loro interno per dare voce e importanza proprio a queste comunità, come il mentoring rivolto ai giovani paleontolog* e la programmazione di workshops e roundtable di discussione e sensibilizzazione, in particolar modo verso le difficoltà e l’ostracismo che le persone LGBTQ+ subiscono continuamente.
Due punti di vista interni
Io sono un uomo bianco, cisgender ed eterosessuale che lavora nel campo della paleontologia, il che mi ha fornito un certo punto di vista sull’argomento.
Ma ci sono molte altre prospettive e background importanti da considerare nella nostra scienza (paleontologia dei dinosauri) e nelle sue conclusioni, compresi i membri della comunità LGTBQ+. Per questo, ho invitato due stimati colleghi della comunità queer a condividere le loro esperienze, dato che il loro punto di vista è molto più intimo e personale.
Dr. Ewan Wolff (assistente professore alla New Mexico University)
La paleontologia, come molti altri campi, è stata a lungo dominata dal mito dell’eccezionalismo individuale, esemplificato dalla figura del paleontologo maschio bianco e barbuto in posa di fianco al suo nuovo, imponente reperto. Questo fatto è stato ben evidenziato dal progetto “Bearded Woman Paleontologist”, a cui hanno contribuito molti paleontologi che stimo profondamente.
Non c’è ancora molto spazio nel campo per paleontolog* queer, anche se sono rincuorato dalla presenza e attività di persone di spicco come Riley Black, che hanno portato un’elevata visibilità all’argomento nella comunità tramite anche la presenza e organizzazione di eventi LGBTQ+ alle conferenze internazionali.
Sia che si tratti di collezioni supervisionate dalle vestigia del patriarcato, sia che si tratti di attività sul campo in territori profondamente conservatori, è difficile essere queer e sentirsi al sicuro nell’esprimere la propria identità di genere e la propria sessualità. Ci troviamo in un momento in cui tutte le persone LGBTQ+, in particolare le persone transgender e non binarie, si sentono insicure anche in luoghi un tempo accoglienti.
La mia speranza è che la paleontologia continui a sviluppare una rete di supporto per le persone queer. I nostri studenti laureati della Gen Z fanno sempre più coming out e dobbiamo costruire un futuro migliore per loro.
Per ora, assicurarsi che i nostri colleghi siano al sicuro deve essere la priorità più alta. Anche se ciò significa permettere alle persone di trasferire programmi e posizioni. La semplice esistenza delle persone trans e non binarie è una sfida in gran parte degli Stati Uniti, del Regno Unito e in altri Paesi del mondo.
Spero che le persone utilizzino il Pride Month per iniziare ad aiutare attivamente le persone, anche se dietro le quinte. Tutti noi vogliamo far rivivere il passato, ma per farlo bene dobbiamo essere e stare sani e sicuri nel presente.
Riley Black (autrice e scrittrice, giornalista e divulgatrice scientifica)
Qual è la situazione attuale nella paleontologia?
La paleontologia deve ancora migliorare molto nell’ambito di diversità e inclusione. Non mentirò. Essere una paleontologa queer è una sfida.
Sono una donna transgender (she/they) ed è difficile per me pensare a un’esperienza sul campo in cui non sia stata fraintesa e persino maltrattata dai miei colleghi. Anche al di fuori del lavoro sul campo, non abbiamo molti modelli di riferimento queer nei ruoli di curatore, professore o in altre posizioni di leadership. Ciò è perché la nostra disciplina ha tradizionalmente favorito gli uomini bianchi, eterosessuali e cisgender come i più abili e capaci.
Molti paleontologi queer entrano nell’ambito paleontologico a livello di studenti e volontari per poi rimanervi bloccati, con poche possibilità di carriera, a causa dei pregiudizi impliciti che la scienza sta ancora lottando per affrontare, che includono anche problemi di razzismo, colonialismo, misoginia e abilismo.
Anche se la diversità all’interno della paleontologia sta crescendo, molti paleontologi provenienti da contesti emarginati hanno difficoltà a trovare sostegno dalla comunità e sul campo. Anche concetti di base, come assicurarsi che i pronomi di uno studente o di un membro della squadra sul campo siano rispettati, sono molto più rare di quanto dovrebbero.
Cosa vedi nel futuro?
La mia speranza risiede nei colleghi che ho imparato a conoscere e che denunciano queste disuguaglianze, dalla natura estrattiva della “parachute science” (“scienza colonialista”) al garantire che i paleontologi con disabilità possano partecipare alle conferenze accademiche.
Stiamo finalmente affrontando conversazioni sulle persone emarginate nel nostro campo e nei luoghi in cui lavoriamo, che sarebbero dovute avvenire anni fa. Può essere un lavoro frustrante. A volte sembra che il cambiamento avvenga alla velocità del ricambio generazionale, quando i paleontologi più anziani resistenti al cambiamento vanno in pensione o lasciano il campo. Ma sono felice di vedere un numero maggiore di paleontologi delle generazioni più giovani che alzano la voce e chiedono come migliorare il campo per tutti, dal rendere possibile l’organizzazione di conferenze virtuali con sottotitoli all’imposizione di codici di condotta nei siti di scavo.
L’inclusività si intreccia anche con altri ambiti, giusto?
So di aver incluso esempi che esulano dalla mia esperienza di donna trans, ma credo sia importante sottolinearlo perché tutti questi sforzi sono intrecciati tra loro. Una frase che cerco di tenere nel cuore è “quando meglio sappiamo, meglio facciamo“, e credo che ci troviamo sulla soglia di cambiamenti significativi nel nostro ambito. E questo è molto più importante di una questione demografica.
Chi siamo, la cultura da cui proveniamo e le nostre esperienze personali spesso condizionano ciò che pensiamo della natura e le conclusioni che traiamo. Avere una gamma più ampia di prospettive ci aiuta a esaminare meglio le idee nel nostro campo di ricerca e a offrire alternative che potrebbero non essere state prese in considerazione dai paleontologi che lavorano all’interno di un monolite culturale.
Dovremmo lavorare per assistere i paleontologi emarginati perché è una cosa giusta e corretta da fare, ma è anche un vantaggio per la scienza stessa. Perché se persone con background e prospettive diverse possono guardare lo stesso fossile, o ipotesi, o fenomeno, e dire “Sì, vedo la stessa cosa”, allora ci avviciniamo a una comprensione più profonda della natura e miglioriamo la nostra immagine del passato preistorico.
Cosa vorresti dire alle nuove generazioni della comunità LGBTQ+?
In questo momento è difficile incoraggiare paleontolog* queer a entrare nel settore. Spesso non abbiamo tutele o sostegno da parte del nostro settore. Per esempio, se fossi uno studente laureato che fa richiesta di ammissione di dottorato in scuole o istituzioni, ci sarebbero alcuni Stati – e persino alcuni Paesi – che non potrei visitare o frequentare a causa di leggi transfobiche e omofobiche.
Anche sul campo, gran parte degli scavi paleontologici in Nord America vengono svolti in “Stati rossi” o in aree altrimenti conservatrici che possono essere attivamente ostili all’esistenza delle persone queer, dall’ostracizzazione sociale alla minaccia di incarcerazione o peggio.
È difficile dire ad aspiranti paleontolog* queer di entrare nel campo quando la loro sicurezza dipende in gran parte da loro stessi, e i dati dimostrano che il bullismo e le molestie non vengono presi sul serio dalle istituzioni, anche quando vengono denunciati.
Abbiamo molto lavoro da fare per garantire la sicurezza di base alle persone di ogni provenienza, e parte di questo cambiamento consiste nell’avere queste difficili conversazioni su dove siamo ora e dove vogliamo andare.
Filippo DiceNDinosaur Bertozzo