Il fatalismo del campeggio

Estate.
Tempo di vacanze.
Non so voi, ma io ne sento un disperato bisogno.
E allora, in attesa che arrivino anche per me, parliamo di vacanze.

Penso che tutte le persone adulte siano passate attraverso tre distinti stadi della propria vita vacanziera. Prima da bambini, in vacanza con i genitori, poi da ragazzi in vacanza con gli amici e poi da adulti in vacanza con la famiglia che ci siamo fatti.

Una specie di “cerchio della villeggiatura” dove non solo siamo destinati a ripetere quello che facevano i nostri genitori, errori compresi, ma in cui ci dobbiamo scontrare con la dura realtà: che le cose sono cambiate. Lo sono così tanto e così in peggio che anche con tutta la buona volontà non ci riesco davvero a trovare conforto nelle parole di De Gregori.

 “Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria.” *

Quest’anno campeggio (evviva)

Ho molti ricordi delle vacanze fatte da bambino con la mia famiglia, ma quando ci penso resto sempre un po’ atterrito dalla principale differenza tra “quelle” ferie e le vacanze che ho fatto con moglie e figlio quando lui era piccolo.
Prima tra tutte, la durata.

All’epoca, davanti a noi si prospettava come minimo un mese di mare. Rigorosamente ad agosto, perché in paese tutti i negozi che vendevano beni di prima necessità erano a loro volta chiusi per ferie. Così mio padre, armato di un carrello tenda e di una Simca color bronzo, caricava bagagli e famiglia e partiva per l’Isola d’Elba dove ci aspettavano 30 giorni di campeggio.

Tempo due ore dall’arrivo e ci eravamo fatti amici tutti i ragazzini del campeggio, organizzato bande e iniziata l’avventurosa esplorazione dei dintorni in piena libertà e autonomia.

Quest’anno campeggio (non possiamo permetterci altro)

Da ragazzi, quando fai parte di una compagnia di amici, scegli il campeggio, perché è la soluzione più economica. Così carichiamo tutto sul portapacchi di una Austin Metro, chiamata così perché era lunga un metro (cercate le foto in rete se non ci credete) e partiamo all’avventura.

Ci si strizza dentro in quattro, e io ho la fortuna di condividere il sedile posteriore con il mio amico Carlo di 120 kg. Poi si parte (a spinta) con lo stereo a batteria in grembo e l’angolo di uno zaino conficcato nella nuca. L’indicatore della benzina è rotto rendendo il viaggio ancora più avventuroso. Chissà se finiremo la benzina in mezzo al nulla.

Benché esistessero già da qualche anno le tende a cupola, erano purtroppo oggetti alla portata di chi se li poteva permettere. Così finisco in una tenda canadese con Big Carl che, come scopro la prima notte, russa, soffre di apnee notturne e fa degli incubi che ci si sarebbe potuta scrivere la sceneggiatura di un film horror.

Quest’anno, campeggio (meglio di niente)

Quando diventi un genitore, tutto che quello che vuoi è il meglio per i tuoi figli. Vacanze fighe comprese. Sfortunatamente il lavoro precario, l’inflazione che ha preso le vitamine e gli stipendi anemici finiscono con il portarti a scegliere il campeggio, perché sì insomma… Sempre meglio di niente.

Due settimane, compreso il viaggio, è tutto quello che riesci ad ottenere dal tuo datore di lavoro. Appena fai due conti di quella che sarà la spesa ti chiedi come sia possibile che con un quarto della cifra una volta potevi fare il doppio dei giorni. Poi ti rendi conto che sono già passati 25 anni. Cerchi di fare buon viso a cattivo gioco e di non pensare al magro Natale che ne conseguirà.

In conclusione

Io non so se questo sia un volere del fato, ma è difficile pensare che in qualche modo non fossi destinato a entrare in quel circolo vizioso in cui cadiamo un po’ tutti e che si chiama campeggio.

di Alessandro Felisi

*Viaggi & Miraggi, dall’album Canzoni d’amore del 1992

Alessandro Felisi
Alessandro Felisi

Attore, drammaturgo e scrittore di romanzi per ragazzi: è la mente dietro le mappe della redazione.

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