Canzoni malinconiche: cinque generi musicali per un bel Piantino™

Quante volte ci è capitato di sentirci tristi e non riuscire a sfogarci con un bel Piantino? Indovinate un po’ che cosa può venirci in soccorso in questi casi? Ma il Minako’s Jukebox, ovviamente! Ascoltare musica allegra in casi come il suddetto? Totalmente inutile. Noi abbiamo bisogno di canzoni malinconiche. Abbiamo bisogno di ridurci come Giovanni Storti di Aldo, Giovanni e Giacomo quando dice “Non ce la faccio, troppi ricordi”.

Buttate fuori l’anima dai vostri occhi in forma liquida e salata con questi generi musicali specializzati in canzoni tristi, scelti apposta per farvi crogiolare nel vostro sconforto quando ne avete bisogno. Vi assicuro che dopo starete meglio. Fidatevi di un’esperta di Piantini™. In ogni caso, avrete ascoltato un po’ di buona musica. Tranquilli, ce n’è per tutti i gusti!

1. Blues

Il blues come genere musicale affonda le sue radici nei canti tradizionali e spirituali della comunità afroamericana.

Si ritiene che il termine “blues” nasca da due espressioni della lingua inglese: “to be blue”, che significa “essere malinconico” e “to have the blue devils”, che oltre ad essere utilizzato per indicare lo stesso stato di tristezza della frase precedente, era anche un modo per chiamare le crisi di delirium tremens causate dall’astinenza di alcool. Il collegamento alle bevande alcoliche persiste anche nel nome delle “Blue Laws”, le leggi che vietavano la vendita delle stesse nei giorni festivi tra il 1600 e il 1800. Con questo non voglio dire che il ritratto tipico del musicista blues sia quello di un alcolizzato depresso, non mi fraintendete.

Una delle caratteristiche peculiari di questo genere musicale è la presenza nelle sue melodie della “blue note”, detta anche “worried note” (nota preoccupata). La blue note è una nota che, all’interno della scala di riferimento, viene alterata generalmente di un semitono, creando una dissonanza e un “senso di nostalgia” tipici delle sonorità dello stile.

La regina delle canzoni malinconiche blues, secondo me? Senza dubbio Tears in heaven di Eric Clapton, dedicata al figlio Conor (avuto con Lory Del Santo), scomparso a soli 4 anni per una tragica caduta dal terrazzo di un palazzo a New York.

2. Sadcore

Il  sadcore (o slowcore) deriva intorno agli anni ‘90 da alcuni sottogeneri del rock alternativo e da una certa costola del punk. Lo slowcore reagiva ponendosi agli antipodi rispetto al post-rock e al grunge, caratterizzati da suoni “arrabbiati”, voci graffiate, batterie martellanti e volumi distorti.

Infatti, le peculiarità del genere sono totalmente all’opposto: i tempi si fanno estremamente lenti, i suoni cupi e le atmosfere rarefatte. Gli arrangiamenti sono scarni e minimalisti, mentre i testi, deprimenti e pessimisti, sono cantati con voci sofferenti e quasi sussurrate. I brani, neanche a dirlo, sono scritti in tonalità minori, che suonano, per semplificare, “più tristi” laddove le tonalità maggiori vengono percepite come “più allegre”.

Il sadcore, soprattutto nell’ultimo decennio, ha assunto connotazioni assimilabili molto di più al pop, infiltrandosi anche nelle correnti mainstream. Un esempio di questo fenomeno è la cantautrice Lana Del Rey che definisce il suo genere musicale “Hollywood Sadcore”, incarnando lo stereotipo della diva triste. Esemplicativi di questa definizione sono i brani Summertime Sadness e Young and beautiful (quest’ultima fa parte della colonna sonora de Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann).

Pur non rientrando dichiaratamente in questo genere, molte canzoni malinconiche di Billie Eilish sono inquadrabili nelle caratteristiche che definiscono il sadcore: due su tutte When the party’s over e, dalla soundtrack di Barbie di Greta Gerwig, What was I made for?.

3. Power ballad

Una power ballad è tipicamente un brano rock, caratterizzato da un tempo lento e dalla presenza di synth pad, pianoforte e/o chitarre arpeggiate che esplodono in poderosi assoli elettrici nel climax. Spesso sono presenti anche sezioni corali e orchestrali a conferire maggiore pathos al tutto.

Le tematiche affrontate nei testi sono solitamente sofferenze sentimentali, nostalgia, tradimenti, dubbi esistenziali, perdite e abbandoni ma anche dichiarazioni di amore eterno e incondizionato. Insomma, tutto ciò che serve per toccare il nostro cuoricino sensibile.

Una power ballad, per essere definita tale, deve certamente avere l’atmosfera delle canzoni malinconiche e romantiche, ma deve anche essere vigorosa, con delle dinamiche e dei crescendo che passano dal delicato al travolgente. Un po’ come gli alti e bassi della vita di tutti noi.

Un tipico esempio di power ballad è I don’t wanna miss a thing degli Aerosmith, ma se dovessi eleggere la più bella di tutti i tempi non avrei alcun dubbio:

Who wants to live forever, dei Queen, è la mia canzone preferita in assoluto. Il brano fa parte, insieme al resto del disco A kind of magic, della colonna sonora del film Highlander. Scritto da Brian May durante un viaggio in taxi, nasce da una riflessione del chitarrista sulla condizione del protagonista del film: chi vive per sempre è costretto a vedere le persone che ama morire. È stato inoltre utilizzato nel biopic Bohemian Rhapsody per accompagnare la scena in cui Freddie Mercury riceve la diagnosi di AIDS. Mi fermo qui, perché rischio di non vedere più lo schermo del laptop per colpa degli occhi lucidi.

4. Piano pop

Le ballad del piano pop sono parenti strette delle succitate power ballad e del soft rock. Le tematiche trattate sono le stesse e anch’esse sono caratterizzate da tempi lenti, ma gli arrangiamenti ricercano meno l’”epicità” e la “grandezza” del suono. L’accento è posto, come si deduce dal nome, sugli 88 tasti bianchi e neri.

Protagonisti assoluti di questi brani sono infatti il suono del pianoforte, su cui si reggono interamente, e la voce. L’atmosfera che ne deriva è ancora più intimista rispetto alle power ballad e questo permette alle parole dei testi di acquisire ulteriore drammaticità e enfasi.

Il re indiscusso del piano pop è, a mio parere, Elton John. Se penso alla ballad più triste che mi possa venire in mente, il mio pensiero va dritto dritto alla sua Sorry seems to be the hardest word, del 1976. Probabilmente, alcuni se la ricordano per la cover realizzata dai Blue nel 2002 con la partecipazione dello stesso Elton John sia al piano che alla voce. Ironicamente, il nome della boy band può significare anche “tristezza” in inglese.

Il piano pop – e le canzoni malinconiche – vanno fortissimo anche tra le cantautrici. Vale la pena di menzionare la validissima Gravity di Sara Bareilles, nello specifico la versione tratta dall’album d’esordio Careful Confessions, passato un po’ in sordina rispetto al disco che l’ha fatta conoscere al grande pubblico, Little Voice.

Sarah McLachlan, oltre che con la “mematissima” I will remember you, ci fa piangere anche l’acqua del battesimo con Angel, dedicata al suo amico Jonathan Melvoin (che ha fatto parte degli Smashing Pumpkins), deceduto per overdose in una camera d’albergo.

Dal panorama cantautorale femminile italiano, invece, suggerisco Yashal di Elisa. La cantante friulana è sempre stata un po’ restia a spiegarne il significato, ma è chiaramente una canzone che parla di assenza, di qualcuno che non c’è.

5. Opera lirica

C’è purtroppo una diffusa convinzione che l’opera lirica sia una forma di teatro appannaggio di una determinata élite di persone. O peggio, che sia noiosa. A parte il costo dei biglietti spesso proibitivo imposto da alcuni teatri che portano in scena produzioni dispendiose, in realtà il melodramma non è prerogativa di classi sociali altolocate come si può pensare. L’opera, in origine, è nata come equivalente di ciò che oggi potrebbero essere le fiction televisive: intrattenimento puro, per il popolo, per tutti.

Parlo di fiction nello specifico perché le trame delle opere liriche sono spesso a sfondo romantico e tragico. Amori che finiscono male, tubercolosi, storie di tradimenti, di intrighi e ancora tubercolosi.

Inoltre, per esperienza, anche quando pensate di non saperne nulla di musica classica, vi posso garantire che una volta seduti su quella poltroncina a teatro scoprirete che molte arie vi suoneranno familiari.

Sfido chiunque a non versare una lacrimuccia su Che gelida manina (La Bohème), Un bel dì vedremo (Madama Butterfly) o Nessun dorma (Turandot). Cito tutte composizioni di Giacomo Puccini perché personalmente trovo che sia uno dei compositori più “accessibili” con cui iniziare, se si è neofiti del melodramma.

Intanto andate a teatro, e poi ne riparliamo.

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.
Quando non è su un palcoscenico a cantare, recitare e ballare o non viaggia su un aereo, parla di musica su Niente Da Dire e conduce con Daniele Daccò Il Cornetto Del Mattino sul canale Twitch de Il Rinoceronte Viola.

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