Una giovane principessa, bellissima quanto algida e dall’intelligenza sopraffina. È Turandot, l’enigmatica protagonista dell’omonima opera di Giacomo Puccini, ambientata a “Pechino, al tempo delle favole” e che prende ispirazione dalla commedia di Carlo Gozzi del 1762 che porta lo stesso titolo.
Turandot: l’opera incompiuta
Tutto ciò che riguarda Turandot opera e Turandot personaggio incarna perfettamente, a mio avviso, la definizione di enigmaticità.
L’opera lirica, in tre atti e cinque quadri, è stata composta dal maestro lucchese (con libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni) tra il 1920 e il 1924, anno in cui Giacomo Puccini morì per un tumore alla gola, lasciando interrotta la storia della principessa cinese.
Questa incompiutezza contribuisce a dare a Turandot un’aura di ulteriore fascino e mistero. È stata avanzata la speculazione che l’opera non sia stata conclusa dal Maestro tanto per le sue condizioni di salute, che sicuramente hanno influito sull’ultima parte della sua vita e della sua carriera. L’ipotesi è che per Puccini fosse un vero e proprio enigma trovare la strada per sviluppare musicalmente il punto cruciale della trama, vale a dire la trasformazione di Turandot da principessa glaciale a donna innamorata.
È un enigma anche il fatto che la carriera di Puccini si concluda con la scelta di questa “svolta fiabesca”, inusuale per un compositore verista che ha dedicato tutta la sua produzione artistica a soggetti e tematiche estremamente umane, passionali e realistiche.
Fu affidato a Franco Alfano l’arduo compito di interpretare le idee e la volontà di Giacomo Puccini, in base agli appunti da lui lasciati, per concludere la composizione di Turandot. Il finale ottenuto è quello che viene normalmente proposto negli allestimenti attuali. Non venne però eseguito durante la prima rappresentazione, avvenuta al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile del 1926. Il direttore d’orchestra Arturo Toscanini interruppe infatti l’esecuzione sull’ultima nota scritta dal compositore toscano, pronunciando la frase:
«Qui termina la rappresentazione, perché a questo punto il Maestro è morto».
Nel 2001, Luciano Berio dà una sua ulteriore interpretazione delle ultime annotazioni del Maestro Puccini e compone un nuovo finale, che viene anch’esso ufficializzato dalla Casa Ricordi.
“Principessa di morte”
Il personaggio di Turandot è caratterizzato da una freddezza disumana. Questo suo cuore di ghiaccio deriva da un episodio fortemente traumatico risalente al passato della sua famiglia: una sua antenata, la principessa Lou-Ling, venne infatti uccisa da un principe straniero. Allora Turandot, determinata a non farsi sottomettere da nessuno, decide che mai concederà a nessun uomo di avvicinarsi a lei, per non patire lo stesso triste destino di Lou-Ling.
Lo stratagemma che escogita per attuare questo suo proposito è ingegnoso e, apparentemente, infallibile. Grazie alla sua acuta intelligenza, propone a chiunque voglia tentare di chiedere la sua mano tre complessi enigmi. La principessa accetterà di sposare solo chi riuscirà a sciogliere il nodo delle tre matasse; per chi fallirà, la pena sarà la morte. I quesiti di Turandot sono però impossibili da risolvere e i pretendenti sono stati tutti giustiziati in pubblica piazza. Non si contano le teste che la principessa Turandot ha fatto volare, sia in senso figurato che letterale: la sua bellezza è descritta come ultraterrena, pari solo alla sua spietatezza nel calare le lame del boia.
“Il nome mio nessun saprà”: Calaf, il principe ignoto
Il Principe Calaf è il protagonista maschile. Figlio del re spodestato Timur, è costretto a vivere in incognito per timore dei regnanti cinesi che hanno usurpato il trono della sua famiglia. Calaf assiste all’esecuzione del giovane Principe di Persia, inveendo contro la sanguinaria principessa finché essa non si mostra alla folla. Qui viene abbagliato dall’avvenenza di Turandot: se ne innamora a prima vista e decide così di sottoporsi anch’egli al rito degli enigmi, contro il parere dell’anziano genitore.
I tre enigmi di Turandot
Il primo enigma che Turandot propone a Calaf è il seguente:
“Nella cupa notte
vola un fantasma iridescente.
Sale e dispiega l’ale
sulla nera infinita umanità!
Tutto il mondo l’invoca
e tutto il mondo l’implora!
Ma il fantasma sparisce coll’aurora
per rinascere nel cuore!
Ed ogni notte nasce
ed ogni giorno muore!”
Il Principe ignoto risolve questo primo quesito con facilità: la risposta è infatti la speranza.
Di seguito, invece, le liriche del secondo enigma:
“Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma!
È talvolta delirio! È febbre
d’impeto e ardore!
L’inerzia lo tramuta in un languore!
Se ti perdi o trapassi, si raffredda!
Se sogni la conquista, avvampa!…
Ha una voce che trepido tu ascolti,
e del tramonto il vivido baglior!”
Con sicurezza, Calaf risponde lasciando interdetta la principessa: si tratta del sangue.
Infine, il testo del terzo e ultimo enigma:
“Gelo che ti dà foco e dal tuo foco
più gelo prende! Candida ed oscura!
Se libero ti vuol, ti fa più servo!
Se per servo t’accetta, ti fa Re!”
L’enigmatica principessa si trasforma essa stessa in un enigma. La soluzione infatti è proprio il suo nome, Turandot.
Un enigma per un enigma
Calaf ha dunque risolto i tre enigmi, battendo la principessa al suo stesso gioco. Turandot implora suo padre, l’Imperatore Altoum, di non lasciarle sposare il principe straniero. Calaf allora, consapevole che il matrimonio condannerà la principessa a un’infelicità eterna, le propone un ulteriore enigma. Se Turandot riuscirà a scoprire il suo nome entro l’alba, ella sarà allora libera di ucciderlo. Tutta Pechino subisce l’ordine di stare sveglia l’intera notte per aiutare ad ogni costo la principessa a trovare il nome del principe ignoto. È proprio a questo punto che Calaf intona la celeberrima aria Nessun Dorma.
Turandot, intanto, fa torturare Liù – serva di Timur segretamente innamorata di Calaf – al fine di farsi rivelare il nome del principe. Sapendo di non poter resistere a lungo, nonostante la forza datale dall’amore per Calaf, Liù si toglie la vita. È qui, sulla morte di Liù, che Giacomo Puccini ha composto le ultime note scritte di suo pugno per la Turandot.
“Il suo nome è Amore”
Le ultime scene sono l’enigma su cui il compositore lucchese si è arrovellato nell’ultima parte della sua vita. Il duetto tra Calaf e Turandot – quello in cui la principessa scioglie il suo cuore di ghiaccio e si lascia travolgere dalla passione, arrendendosi ai sentimenti – il Maestro Giacomo Puccini non è mai arrivato a scriverlo.
Come nelle migliori fiabe, il lieto fine trionfa: Calaf non riesce a liberarsi dell’amore per Turandot nonostante la rabbia per il sacrificio di Liù. La principessa ha perso la sfida, non ha scoperto in tempo il nome dell’uomo. Alla fine, glielo svela egli stesso mettendo nelle mani di lei la propria vita. Tra squilli di trombe e popolo in giubilo, i due protagonisti annunciano infine il loro matrimonio.
Nelle intenzioni del compositore c’era quella di rendere questo duetto il momento clou di tutta l’opera: nei suoi appunti si legge «deve avere dentro a sé qualcosa di grande, di audace, di imprevisto, di vivamente teatrale. Il travaso d’amore deve giungere come un bolide luminoso in mezzo al clangore del popolo che estatico lo assorbe attraverso i nervi tesi come corde di violoncelli frementi».
Una musica che, purtroppo, nessuno avrà la possibilità di ascoltare mai.
Questo è l’ultimo enigma che ci lascia Turandot, l’unico destinato a restare per sempre insoluto.
di Marta “Minako” Pedoni