Sarebbe stato molto facile scrivere l’articolo di questo mese utilizzando banalmente canzoni che hanno nel titolo o nel testo la parola “sogno” o “dream”.
La discografia internazionale ne è piena: Sweet Dreams degli Eurythmics (riportata in auge recentemente – se mai ce ne fosse stato bisogno – dalla celebre scena col Quicksilver di Evan Peters in X-Men Apocalypse), Dream On degli Aerosmith (ma anche l’omonimo brano dei Depeche Mode), Dream a little dream of me (la mia versione preferita è quella di Ella Fitzgerald con Louis Armstrong, che peraltro compare anche nella soundtrack di Stranger Things 4), Dream dei Fleetwood Mac, Boulevard of broken dreams dei Green Day, Don’t dream it’s over dei Crowded House (conosciuta anche con la cover in italiano di Antonello Venditti intitolata Alta Marea) o I dreamed a dream dal musical Les Misérables (di cui si ricorda l’interpretazione che è valsa l’Oscar ad Anne Hathaway) sono solo alcuni esempi di tracce che ho preso in considerazione prima di rendermi conto che personalmente preferisco di gran lunga concentrarmi sulle atmosfere e gli arrangiamenti piuttosto che sui meri titoli.
Per definire una canzone “sognante” non mi basta che contenga semplicemente la parola “sogno” tra le sue lyrics, ma deve trasmettermi delle sensazioni e delle immagini che proverò a raccontarvi in queste righe. Ho dunque scelto per voi cinque brani che, per motivi diversi, ritengo possano essere definiti “onirici”.
Abbandoniamoci tra le braccia di Morfeo e iniziamo questo sogno musicale ad occhi (e orecchie) aperti!
1. Caribbean Blue (Enya, 1991)
“If all you told was turned to gold
If all you dreamed was new
Imagine sky high above
In Caribbean blue”
Chi non ha mai sognato almeno una volta nella vita di volare? Questo brano di Enya è la perfetta colonna sonora per un giretto tra le nuvole e l’azzurro sopra le nostre teste. Il timbro etereo della cantautrice irlandese svolazza leggero tra i vocalizzi in cui invoca i nomi di alcune divinità dei venti, come a voler accompagnare la nostra onirica planata, e ci invita a immaginare il cielo dello stesso colore del limpido mare dei Caraibi, quasi per farci immergere dentro.
L’arrangiamento sperimentale rivisita le peculiari atmosfere celtiche care alla cantante, ma senza l’utilizzo di strumenti tradizionali, facendo invece largo uso di sintetizzatori e programmazione elettronica, che tuttavia non snaturano lo stile di Enya, a metà strada tra il medioevo e la new age.
2. The Prophet’s song (Queen, 1975)
“I dreamed I saw on a moonlit stair
Spreading his hand on the multitude there
A man who cried for a love gone stale
And ice-cold hearts of charity bare”
Spesso definita la “gemella cattiva” di Bohemian Rhapsody (con cui concorre in lunghezza, con i suoi otto minuti e venti secondi di durata), The Prophet’s song racconta di scenari apocalittici e di un pianeta Terra destinato a una triste fine: un destino di morte e disperazione causato dagli esseri umani stessi. La sezione vocale a canone, dove la voce di Freddie Mercury ripete ossessivamente frasi angoscianti, è tra le parti più caratteristiche della traccia hard rock del gruppo inglese.
Il profeta immaginato dal chitarrista Brian May, autore della canzone, concede però un messaggio di salvezza e speranza prima che il protagonista si svegli da quello che, alla fine del brano, si rivela essere stato un incubo.
“L’amore è ancora la risposta” sono le parole che al risveglio il narratore ricorda, rimanendo tuttavia terrorizzato dal brutto sogno e non osando ridere degli oscuri presagi pronunciati dal “mad man” .
Illustrazione di Alessio Pedoni (@jayped_yt)
3. Sailing (Christopher Cross, 1980)
“Just a dream and the wind to carry me
Soon I will be free”
Tratto dal disco di esordio di Christopher Cross, questo brano soft-rock parla di un uomo che cerca la pace da solo, in barca a vela, circondato dal vento e dalle acque. Il musicista statunitense, premio Oscar nel 1982 per Arthur’s Theme dal film Arturo, ha di recente dichiarato, dopo la sua esibizione al concerto di Natale in Vaticano di dicembre 2023, che la genesi di Sailing è stata travagliata.
Gli arrangiamenti della canzone non sono stati semplici da elaborare, proprio a causa della particolare atmosfera raffinata e rilassante che il cantautore voleva ottenere. Se chiudo gli occhi, Sailing mi trasporta nella città che rappresenta il “viaggio dei sogni” di molti.
In un attimo mi ritrovo tra le luci dei grattacieli di Manhattan, ma non in mezzo alla sua movida notturna dove invece mi porterebbe Arthur’s Theme. Sailing mi fa sognare New York come se la stessi osservando da una barca a vela sull’Hudson, lontana dal caos e cullata dal fiume.
4. Mystères (René Aubry, 1991)
Il compositore e polistrumentista René Aubry è, insieme al collega Yann Tiersen (noto per la colonna sonora del film del 2001 Il favoloso mondo di Amélie), uno dei maggiori esponenti della corrente musicale del minimalismo francese. I suoi brani strumentali hanno un fortissimo potere evocativo e, personalmente, li trovo perfetti come sottofondo per una partita di Dixit, il gioco da tavolo edito da Asmodee, in cui l’immaginazione ha un ruolo fondamentale.
Mystères in particolare traduce in musica ciò che le illustrazioni delle carte di Dixit fanno con le immagini: i cupi archi digitali che caratterizzano il brano suscitano quel senso di lieve inquietudine e di spaesamento che possiamo provare di fronte a una visione surreale, come spesso sono quelle che ci appaiono in sogno o, appunto, tra le carte di Dixit che giocano sull’assurdo.
Gli interventi del pianoforte, alternato al flauto sintetico sul concludere della traccia, con il loro incedere frenetico richiamano la sensazione, ricorrente negli incubi, di non riuscire a correre o di inciampare sui propri passi.
5. Le vie dei colori (Claudio Baglioni, 1995)
“C’era un cavaliere
Bianco e nero, prigioniero
Senza un sogno né un mistero
Senza fede né eresia”
Quasi sempre le mie scelte musicali peccano di carenza di selezioni dalla musica italiana, perciò ci tenevo a pescare dal repertorio cantautorale nostrano almeno un brano dei cinque di questo mese. Le vie dei colori, tratto dal disco Io sono qui, era uno dei miei pezzi preferiti da bambina, molto probabilmente per via del testo sognante dai richiami fiabeschi e dell’arrangiamento vagamente “medievaleggiante”.
Claudio Baglioni, con la sua tipica ricercatezza lessicale e le scelte linguistiche piene di giochi di parole e metafore, crea un contrasto tra sensazioni spiccatamente umane e figure dell’immaginario fantasy. Il brano si apre con la conclusione di una storia d’amore, laddove le fiabe si chiudono con un lieto fine: il cantante narra infatti la necessità di ritrovare sé stesso da solo e nel farlo si paragona ad un cavaliere che affronta imprese paradossali e oniriche.
Come avviene nei sogni, il cantautore romano fonde realtà e immaginazione, mescolando elementi quotidiani e “metropolitani” con oggetti magici e creature fantastiche.
Morfeo ci libera dal suo abbraccio e così termina il viaggio di questo mese tra cinque canzoni di generi diversi, che evocano il concetto di sogno ognuna in modo differente.
Se volete sognare ancora un po’, potete ascoltare tutti i brani di cui ho parlato finora sulla playlist Minako’s Jukebox al link qui. Perché dai sogni ci si sveglia, ma il bello della musica è che si può premere play all’infinito per ricominciare a sognare da capo.
di Marta “Minako” Pedoni