Editoriale: sogni a giudizio dell’inconscio

Sogno o son desta? Le mani davanti agli occhi hanno il contorno delle luci che punteggiano la tapparella, così sfocate. Fa freddo. Mi ha svegliata quel sentimento tanto familiare di angoscia, eppure questa stanza non è la stessa in cui ho poggiato la testa sul cuscino, ieri sera.

Il sogno, come lastra di vetro che cristallizza la realtà, mi restituisce una visione distorta di quella che dovrebbe essere la mia camera e altri mille luoghi contemporaneamente. Tanti livelli diversi dello stesso tempo, multiversi Marvelliani, da cui nessun Dottor Strange riuscirebbe a portarmi via.

Quando è sera, desideriamo chiudere alle spalle tutto ciò che riguarda il mondo esterno, bandirlo per qualche ora fuori dalla nostra vita per concederci sonni tranquilli, come quelli delle fiabe Disney. Ma già lo sappiamo che, sotto le lenzuola, ci attende il nostro inconscio, famelico di libertà.

Ho sentito di persone che viaggiano per campi in fiore meravigliosi, mentre dormono. Solcano mari infiniti e arrivano sulle cime più alte e impervie della loro fantasia. Altri, invece, devono fare i conti con i propri traumi diurni.

Sogno e inconscio, esiste via di fuga?

il settimo sigillo partita a scacchi con la morte Bergman

Se la nostra parte razionale ci aiuta a codificare il presente, portando avanti le nostre normali attività nel tentativo di allontanare i pensieri negativi. Di notte, al riparo dagli stimoli esterni, il contraccolpo arriva senza attese e pochi filtri. Il dialogo col nostro inconscio, a tavolino come la famosa partita a scacchi con la Morte di Bergman, ci porta immagini difficili da decifrare, emozioni mascherate, esperienze che odorano a volte di melanconia.

Un filo collega il passato, il presente e il probabile futuro, in un cerchio come bimbi che giocano nel cortile della propria scuola. E di quel gioco innocente, solo noi siamo arbitri e giudici. In quell'”innocua esperienza allucinatoria”, come la definirebbe Freud, accade che le funi che costringono l’inconscio a reprimersi in stato di coscienza si allentino.

E ci interroghiamo su quanto ci accade intorno, sulle discussioni andate male, sui disastri che accadono tra colleghi o amici, di quell’amore che poteva essere e non è stato, su quel torneo andato perso per una mossa sbagliata. La nostra mente diventa il salone di Eyes Wide Shut, con mantelli e maschere veneziane, corpi indistinti, archi in sottofondo.
Eppure c’è sempre quel dettaglio che ci fa capire dove si trova il trucco. Il déjà-vu che tranquillizza la nostra mente: è tutta un’illusione. Il gatto nero che compare due volte sulle scale e ci ricorda il sorriso di Neo.

Poi ancora lui, l’inconscio sull’alto scranno a decidere se la nostra notte sarà tranquilla o movimentata, se elargire pietà riguardo le esperienze diurne o far tremare anche il pavimento, vanificando il lavoro onirico e portando incubi sui nostri cuscini. Che via di fuga, poi, non esiste, a meno che non costruiamo noi stessi ponti più felici quando siamo fuori dalla bolla dei nostri sogni.

Sogno e desiderio, la soglia della speranza


I sogni, poi, non sono tutti relegati a ciò che di reale influisce nel nostro cammino di vita. Perché si nutrono, anche, di desideri e speranze. Ciò che potrebbe essere, What if, se di colpo cambiassimo direzione al nostro futuro possibile. Di notte, ancora nella nostra stanza, preghiamo sotto le coperte per un amore che sta nascendo, uno sguardo che potrebbe far battere il cuore, la conquista di una nuova meta o l’uscita dell’ultima espansione di Marvel Champions.

Solo il sogno è in grado di fronteggiare persino l’antimateria, come ben insegna Sandman, o plasmare un abito principesco da vecchi stracci per conquistare il cuore di un principe irraggiungibile.

Sì, i sogni son desideri, una marea di sensazioni che scivolano giù per il collo, percorrendo lenti solchi sulla spina dorsale. Che poi, se ci si pensa bene, è proprio la speranza ad avere quel fascino che neanche il reale può eguagliare.

Lasciatemi, ora, dormire.

Miriam My Caruso

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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