Cantare l’amore senza catene

Mi capita spesso di pensare al mio cervello come a una sorta di archivio musicale, un gigantesco jukebox in cui sono ammucchiate, anche nei cassettini più angusti e nascosti anche alla mia stessa consapevolezza, parole e melodie delle canzoni più varie e dei generi più disparati. Ed ecco che basta anche una sola parola per premere play in qualche angolo della mia testa e liberare dalle catene della mia memoria un testo che forse nemmeno ero consapevole di ricordare.

A questo proposito, mi piacerebbe invitarvi ad ascoltare due brani che in qualche modo fanno parte della mia vita e del mio bagaglio di esperienze (e che spero possano farvi compagnia mentre leggete Niente Da Dire), come se fossimo seduti in un vecchio locale a bere un bicchiere di qualcosa insieme, mentre vi racconto alcuni aneddoti sulle canzoni scelte. Un posto in stile diner americano, di quelli con i divanetti rossi e un Jukebox vintage, dal quale posso selezionare qualcosa da farvi sentire.

Non indugiamo oltre e inseriamo subito la prima monetina nel Jukebox del nostro immaginario locale!

“E non abbiam bisogno di parole,
per spiegare quello che è
nascosto in fondo al nostro cuore,
ma ti solleverò tutte le volte che cadrai,
raccoglierò i tuoi fiori
che per strada perderai
e seguirò il tuo volo senza interferire mai.
Perché quello che voglio è stare insieme a te.
Senza catene, stare insieme a te”

La canzone in questione è Non abbiam bisogno di parole, scritta, composta e interpretata da Ron (al secolo Rosalino Cellamare) e contenuta nell’album Le foglie e il vento, uscito nel 1992.
Allora ero molto piccola, avevo solo due anni, ma ricordo che il brano era molto apprezzato dai miei genitori che lo ascoltavano spesso, anche negli anni a seguire. Una delle classiche circostanze dove avevo modo di ascoltare le selezioni musicali dei miei erano i tipici viaggi in macchina, dove la musica di sottofondo accompagnava il paesaggio che correva fuori dal finestrino. Evidentemente, molte di quelle canzoni che si ascoltavano in quegli anni non si sono limitate a fare da semplice sottofondo, ma hanno messo radici nella mia memoria. In effetti, molti dei miei gusti musicali sono stati influenzati da ciò che sentivo in casa e che poi da adulta ho potuto approfondire autonomamente.

Non abbiam bisogno di parole ha ritrovato una certa popolarità a distanza di 19 anni dalla sua pubblicazione, dopo essere stato incluso nella colonna sonora della serie animata di Zerocalcare Strappare lungo i bordi, prodotta da Netflix nel 2021.

La canzone era stata già rivisitata da Ornella Vanoni nel 2009 nel suo album di cover Più di te, in duetto con lo stesso Ron. Recentemente, il cantautore ne ha pubblicato un’ulteriore nuova versione, interpretata insieme al collega Claudio Baglioni, nell’antologia che porta lo stesso nome del brano, in occasione dei suoi 50 anni di carriera che ricorrono proprio nel 2022. Il testo della canzone parla di un amore intenso ma libero dai concetti tossici di possesso o di simbiosi. L’autore interpreta un innamorato presente, pronto a sostenere, a confortare e ad aiutare la persona amata, ma allo stesso tempo attento a rispettare sempre lo spazio dell’altr*, senza morbosità, soffocamenti e gelosie malsane. La relazione non viene vista come una catena, come una privazione della libertà dei soggetti coinvolti, ma come un valore aggiunto, una condivisione, una scelta da compiere ogni giorno, con la consapevolezza di poter contare sempre l’un* sull’altr*, nel rispetto, nella complicità, nella sincerità e nella fiducia reciproca.

ron cantautore italiano non abbiam bisogno di parole

Il locale sta per chiudere, ma ho ancora tempo per frugare nelle mie tasche e trovare un’altra moneta per un’ultima canzone:

“I try to run
I try to hide
I try to tell you what I’m feelin’ inside
Should I stay
Should I go
You know I wanna touch you
But there’s nothing left to hold”

“Provo a scappare
Provo a nascondermi
Provo a dirti come mi sento dentro
Dovrei restare?
Dovrei andarmene?
Sai che vorrei toccarti
Ma non è rimasto niente da stringere”

Rimaniamo nel 1992, ma ci spostiamo dall’altra parte del mondo: esce Kingdom of Desire, l’ottavo album in studio della band statunitense Toto (che prende il nome dal cagnolino di Dorothy de Il Mago di Oz) contenente il brano Don’t chain my heart.

Il disco vede Steve Lukather, chitarrista della band, assumere il ruolo di cantante principale in seguito a numerosi cambi di frontman. Dopo Bobby Kimball, presenza altalenante lungo la carriera dei Toto dalla fondazione fino ai giorni nostri, fino ad allora si erano passati il testimone Fergie Frederiksen e Joseph Williams, figlio del celebre compositore di colonne sonore John Williams e noto ai fans disneyani per essere stato la voce cantata di Simba adulto ne Il re leone. Lukather, stufo dei continui stravolgimenti dell’organico, decide quindi di passare lui stesso al microfono e di rimanerci anche negli album successivi fino al 1999, anno che vede il ritorno di Bobby Kimball alla voce principale. L’album è anche l’ultimo ad essere stato registrato col batterista storico del gruppo, Jeff Porcaro, deceduto poco prima della pubblicazione. La prospettiva di portare avanti il tour promozionale di Kingdom of Desire senza Jeff ha fatto considerare alla band l’idea di uno scioglimento. Fu la famiglia di Porcaro a incoraggiare i Toto a trovare un sostituto, così i musicisti contattarono Simon Phillips, che già aveva collaborato con Lukather e con David Paich, tastierista del gruppo, e che godeva della stima di Jeff Porcaro stesso.

Di Don’t chain my heart mi piace ascoltare una versione in particolare, che è quella dal vivo tratta da Falling in Between Live, registrato durante la data parigina del tour dell’omonimo disco del 2007. Quando è uscito questo live ero già abbastanza grande e avevo già approfondito autonomamente la mia conoscenza dei Toto (che era tra i gruppi che ho scoperto “in casa” ma che tutt’oggi è ancora tra i miei preferiti), tanto che fui io a farlo scoprire al mio papà, regalandogli il DVD del concerto. Il tema di questa canzone risulta essere fortemente in contrasto col brano di Ron, dove la relazione ci appariva serena ed equilibrata. In questo caso invece il protagonista del brano si sente vittima della gelosia e prigioniero della sua partner, che viene vista come una carceriera, custode della chiave e del lucchetto. La sua libertà viene descritta nel testo come una porticina aperta, in una stanza dove nessuno entra e nessuno esce e in cui i muri si restringono sempre di più facendola diventare sempre più piccola.

toto band live don't chain my heart

I due brani che ho selezionato non sono lontani tra di loro solo da un punto di vista “geografico”: come già sottolineato affrontano lo stesso tema da due prospettive diametralmente opposte, ma anche a livello puramente musicale presentano alcune differenze, sebbene appartengano entrambi al macrogenere della musica leggera pop/rock e siano stati pubblicati nello stesso anno. Il brano di Ron è molto legato a una tradizione musicale spiccatamente italiana, che fa della melodia la protagonista assoluta. La linea vocale è orecchiabile ma articolata, ed è accompagnata da un arrangiamento molto soft, basato sulla chitarra acustica, che alterna un gran numero di accordi. Una particolarità da segnalare è la strofa che si sviluppa in tonalità minore, lasciando poi spazio al ritornello che si apre diventando invece in tonalità maggiore e sottolineando il messaggio di libertà e leggerezza nel vivere l’amore.

La canzone dei Toto è invece accostabile al mondo tipicamente americano del blues. L’arrangiamento è più “elettrico” e lineare, con pochi accordi che si ripetono in maniera quasi ossessiva e una melodia molto più semplice che si muove su poche note, trasmettendo in modo chiaro e diretto le sensazioni di oppressione e soffocamento del protagonista. La stessa tematica viene dunque affrontata da due punti di vista opposti, non solo per mezzo del testo ma anche grazie alle atmosfere musicali, che pur essendo contrapposte sono un esempio di come sia possibile creare brani meravigliosi utilizzando linguaggi artistici anche molto diversi tra loro.

Sfumano le ultime note, le luci si spengono, è ora di andare.

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.
Quando non è su un palcoscenico a cantare, recitare e ballare o non viaggia su un aereo, parla di musica su Niente Da Dire e conduce con Daniele Daccò Il Cornetto Del Mattino sul canale Twitch de Il Rinoceronte Viola.

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