“Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli. Rischi di scoprire che le grandi opere che ti hanno fatto sognare tanto le hanno pensate stando seduti sul cesso, aspettando una scarica di diarrea!” (Gerard Depardieu – Una Pura Formalità)
Iniziare con questa frase molto cinica e schietta potrebbe far storcere il naso a coloro che hanno il tempo e la voglia di leggere i miei articoli. Novizi e Novizie d’ogni età che inseguono un sogno e che ammirano i personaggi e gli eroi che lo popolano. Dei veri e propri miti, che ci affascinano e che ci ispirano da lontano, facendoci pregustare il giorno in cui potremmo finalmente conoscerli dal vivo e poter scambiare con loro una foto, un autografo e, se si è fortunati, anche una bella conversazione stimolante che lascerà un ricordo indelebile nei nostri cuori.
Per esempio, per rimanere in tema natalizio visto il periodo, per un bambino è un emozione fortissima poter incontrare il grande Babbo Natale di persona, poterci parlare e magari mangiare con lui qualche biscotto immerso nel latte caldo. V’immaginate che emozione?
Eppure, non sempre le cose vanno come si crede. Certe volte si scopre che il suddetto Babbo Natale è soltanto un uomo di mezz’età stanco e permaloso che s’infila il vestito rosso e una barba finta solo per poter guadagnare qualche soldo, per nulla preoccupato della felicità dei bambini. Tutto il contrario di quello che vi siete sempre immaginati. E a questo punto che la frase che avete letto qui sopra si avvera, inesorabile. La proferite voi stessi, quando rimanete scottati dalla realtà: Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti.
E’ successo anche a me, un mese fa, al Lucca Comics & Games di quest’anno. Ho incontrato uno dei miei miti teatrali e non è stato un bell’incontro…ma lì ho scoperto qualcos’altro, qualcosa di molto più importante.
Due tavoli in là
È successo tutto il terzo giorno di Lucca Comics, in cui io ero lì come giornalista e moderatore assieme alla splendida redazione di Niente Da Dire. Stanchi e affamati, ma felici dell’ottima riuscita della giornata ci siamo ritrovati a cenare in uno splendido ristorante del centro e riempirci la pancia con del buon cibo e godere dell’ottima compagnia che il nostro gruppo ha sempre portato l’un con l’altro.
Io rivenivo dalla Cena con Delitto fatta per Hasbro il giorno prima, un momento importante nella mia piccola e scalcinata carriera attoriale che ha portato una gioia immensa a me e ai miei compagni di teatro giunti fin lì per aiutarmi a mettere in scena il tutto. Non mi potevo proprio lamentare di nulla. Nel mentre aspettiamo che ci vengano portate le nostre ordinazioni, il mio amico e solerte direttore, Il Rinoceronte, attira la mia attenzione assieme al neo-direttore posto al suo fianco, il buon Mr Rob, fresco di nomina a co-direttore della Redazione. Cercando di non alzare troppo la voce per non attirare l’attenzione dei commensali lì intorno, il Rino mi rivolge una semplice frase: “Guarda alla tua destra, due tavoli in là”.
Ovviamente non perdo tempo e mi giro curioso verso la direzione indicatami dal direttore e, all’improvviso, mi manca il fiato: proprio lì, a due tavoli di distanza da dove ci troviamo noi, intenti a consumare amabilmente la propria cena, ci sono gli attori Franco Nero e Giancarlo Giannini.
Due mostri sacri del cinema e del teatro italiano, famosi in tutto il mondo e veri e propri maestri della recitazione moderna. Dei due, Giancarlo Giannini è uno dei miei miti attoriali, un eroe che seguo assiduamente nei film e negli spettacoli teatrali, ma anche nei meravigliosi doppiaggi che ha realizzato lungo la sua carriera, tra cui Jack Nicholson in Shining e Batman e Al Pacino in Carlito’s Way e Heat – La Sfida, giusto per dirne alcuni. Potete ben capire come, in quel momento, io fossi totalmente assalito da una girandola di emozioni e sensazioni tutte fuse tra di loro, che m’impedivano anche di proferire la più semplice delle frasi. Uno dei miei eroi attoriali era lì a pochi passi da me, ed ero completamente paralizzato dall’incertezza.
Travolto da un insolito destino
Ero lì, con lo stomaco che ballava la capoeira e il cuore che suonava i tamburi per dargli il ritmo, mentre ogni tre minuti gettavo lo sguardo verso quello che era diventato il tavolo più sacro e imponente che avessi mai visto in un ristorante. Mentre guardavo Giannini e Nero che conversavano amabilmente e proseguivano nella loro cena, i miei compagni di Niente Da Dire si divertivano a punzecchiarmi con battutine dispettose, con il Rinoceronte, Mr Rob e Furibionda in prima linea a ridere come matti a vedermi friggere lì in quella graticola in cui ero inchiodato.
Si fa tra amici, non pensate male: risate innocenti e scherzi leggeri giusto per far rilassare un poco un tizio che si stava letteralmente mangiando il fegato, perché sapevano perfettamente il conflitto che lo stava dilaniando. Insomma, non potevo mica piombare lì in quel tavolo in cerca di una misera stretta di mano e di un saluto all’eroe, non mentre stavano mangiando in santa pace. Un minimo di decoro, non volevo fare la figura del fan assillante e invadente e di sicuro non quella dello stupido. Non davanti a due grandi attori come Nero e Giannini…non davanti a un mito come Giancarlo.
Ero come il titolo di uno dei suoi film più famosi, Travolto da un insolito destino: avere lì l’uomo che ti ha dato tantissime motivazioni per recitare e non poter nemmeno ringraziarlo di tutto ciò che ha fatto negli anni. Ero già rassegnato a vederlo andare via e perdere quella che poteva essere l’unica occasione per conoscerlo, ma i miei compagni furono di tutt’altro avviso: non appena i due ebbero finito di mangiare e si alzarono per uscire, il Rino e Rob mi prendono di peso e mi dicono una sola frase: “Andiamo. Ora o mai più”.
E io li seguo.
D’istinto, senza fare né pormi domande. Li seguo, come se alla fine non m’importasse di nulla. Non m’importava di fare figure stupide o di dire cose inutili. Volevo solo incontrarlo e rivolgergli la parola, anche solo per cinque secondi. Intercettiamo prima il grande Franco Nero, che gentilmente (e parecchio intimorito dalla presenza festante di tutti questi giovani fan) concede una foto a noi e alla nostra capo-redattrice Miriam, bella e radiosa di fianco al famoso Django. Ma Rob e Rino mi trascinano di nuovo fuori dal ristorante, proprio davanti al sommo Giancarlo. Al Maestro, come lo chiama Rob per richiamare la sua attenzione. Gli chiediamo una foto assieme, con garbo e un pizzico di riverenza, mentre io divampo di un fuoco gioioso che cresce d’intensità nel vederlo lì davanti ai miei occhi…
…un fuoco che viene spento dal ghiaccio della sua freddezza. Gli basta una frase per farmi capire quanto tutto ciò che avete sognato e immaginato era soltanto nella mia testa e nulla più: “Facciamo in fretta, ragazzi, dai.”
Io rispondo che saremmo stati un lampo, scherzando come faccio sempre ma morendo dentro poco a poco. Scattiamo la foto, tutti sorridenti tranne lui. Lo ringraziamo e lui si allontana fumando in silenzio. Io però gli dico una frase che mi tenevo dentro da diciannove anni, da quando lo avevo conosciuto ed amato. Perché sapevo che non avrei mai avuto più l’occasione di dirlo: “Grazie per tutto quello che ha fatto per la recitazione italiana!”. E lui, senza nemmeno girarsi, come in un film noir, mi rivolge un semplice “Prego!”
Quel “prego” mi risuona nella testa, diventa la ciliegina su una perfetta torta che ha il sapore della delusione e dell’ennesima figura da stupido che ho fatto nella mia lunga vita. Esattamente come mi ero immaginato quando ero seduto sulla mia sedia mentre volavo con la fantasia e mille ansie. Dandomi dell’asino per aver potuto pensare che potesse andare bene. E mi ricordai di quella frase cosi schietta e cinica, che mi dice di nuovo e senza mezzi termini che non bisogna mai incontrare i propri miti.
Ma quel suono, quella torta così poco appetitosa e dura da digerire, sparisce non appena mi giro…e vedo loro.
Il Rino, Mr Rob e Miriam, che son lì al freddo della pioggia con me. Che poco prima mi avevano tirato su da quella sedia fatta di incertezze e dubbi per potermi dare l’opportunità di scattare quella foto, di udire quel “Prego” che nonostante tutto serberò con felicità nel mio cuore, per tutta la vita, come un bellissimo ricordo. Scoppio a ridere come uno scemo e loro mi seguono nella risata, scherziamo assieme di quel momento mentre torniamo al nostro tavolo imitando l’ultima frase da attore consumato che il Maestro Giannini ci ha rivolto. Sento le pacche amichevoli del direttore e del suo vice, i sorrisi della mia fantastica direttrice Furibionda mentre condividiamo con lei quello che è appena avvenuto.
Vedo i volti soddisfatti e felici di Marta, Giulia, Lorenzo e Sarah, i miei bellissimi amici e colleghi di Niente Da Dire, che mi guardano come per dire “Ce l’hai fatta!”. Non solo in riferimento al mio incontro con Giannini, lo so. Ma per molte, moltissime cose in cui ho provato e sono riuscito, nel mio piccolo.
E lì mi rendo conto di aver già incontrato i miei eroi, ci sono seduto a tavola.
Ho mangiato con loro, riso con loro, pianto copiosamente e gioito di mille vittorie con loro, in questi quattro anni insieme. E molti altri che ho incontrato a casa, sul palcoscenico e nella vita in generale, sono altresì eroi che ho avuto la grande fortuna di incontrare, di conoscere e di amare. In quel momento ne ho avuto la certezza. E mi sentii senza rimpianti. Felice, rivolgo lo sguardo a quel grosso Rinoceronte violaceo che non perde occasione per punzecchiarmi e prendermi amabilmente in giro, che ha creduto in me e che continua a farlo da quel giorno di Marzo in cui mi disse che ero dei loro.
Quel Daniele Daccò che in un giorno di un Lucca Comics di parecchi anni fa, quando io ero ancora un suo fan e mi avvicinai per salutarlo, un attore novizio stanco e un poco depresso per colpa dei dubbi, delle incertezze e anche di una serata orribile passata a lavorare senza neanche avere la possibilità di poter dormire, mi rivolse un gigantesco sorriso e mi fece scoppiare a ridere con una battuta ad effetto delle sue. Una testimonianza che gli eroi bisogna incontrarli, perché poi possiamo conoscere le persone che vi sono dietro. Gli dico la stessa parola che gli rivolsi quel giorno: “Grazie.”
Lui mi sorride esattamente come quel giorno, rispondendomi con una particolare voce da attore consumato: “Prego!”
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