Il Peccato è la Libertà – Le Mosche di J.P. Sartre

Chi mi conosce bene sa quanto sia profondo e smodato il mio amore per le tragedie greche o per il dramma antico in generale. Maschere, volti, personaggi e storie radicate fin nel profondo nell’animo della storia teatrale, divenendo pilastri fondamentali nella formazione di leggendari autori che hanno basato moltissime delle loro opere su quelle storie a volte romantiche, a volte molto tragiche.

Uno fra questi, quello che più ho nel cuore, è Jean Paul Sartre, drammaturgo e scrittore francese di fama mondiale. Di quelle storie antiche, lui scelse di volerne riscrivere una delle più violente: Le Coefore di Eschilo, parte centrale della trilogia dedicata alla vicende del figlio vendicatore di Agamennone, Oreste, che si macchierà di matricidio uccidendo Clitemnestra, rea di aver assassinato il padre.

Da questa storia, Sartre tira fuori uno dei suoi massimi capolavori, riuscendo nell’intento di renderla ancor più inquietante e dark. Perché ne Le Mosche, del 1943, l’intera vicenda si poggia sull’incrollabile pensiero che nessuno di noi possa vivere senza il peso di un peccato a gravare sulla nostra anima.

Peccato e punizione

Non starò troppo ad ammorbarvi sulla trama di questo spettacolo che già vi ho raccontato tante e tante volte, essendo uno dei miei testi teatrali preferiti in assoluto. Ho anche approfondito tutto in una live che potete recuperare su Youtube, se vi interessa (Link a Niente Da Recitare – Le Mosche di J.P. Sartre: clicca qui).

Quello su cui voglio soffermarmi principalmente è la raffigurazione del peccato da parte di Sartre. Il tema principale degli articoli di questo mese si sposa perfettamente con uno dei significati centrali dell’opera, che qui acquisisce una sfumatura più cupa e drammaticamente geniale.

In questa opera, tutti i personaggi hanno una colpa. Un peccato che grava su di loro come un pesante macigno senza alcuna possibilità di redenzione, che li rende impossibilitati ad andare avanti nelle loro vite: Clitemnestra è un’adultera e un’assassina; Elettra è una ragazza rancorosa che desidera la morte di sua madre e del suo patrigno, e nutre persino dei pensieri incestuosi verso l’adorato fratello che verrà a salvarla; Egisto è un tiranno e un manipolatore, senza contare il velato desiderio di giacere con la figliastra.

Neppure il potente Zeus sfugge alla condanna del peccato, nascondendo l’atavica necessità di voler prevalere su tutti ed essere adorato con la scusa della punizione su Argo per l’omicidio di Agamennone (peccatore anche lui, nemmeno i morti si salvano).

Ma grazie alla capacità di manipolazione di Egisto, nessuno di loro viene punito per questi peccati, perché essi vengono trasferiti al popolo di Argo, che secondo Egisto è reo di non aver fatto nulla per aiutare il suo sovrano: quindi la colpa deve ricadere su tutti loro. E con essa, la sua tremenda punizione: una pioggia di mosche diaboliche, nuova rappresentazione delle Erinni, a tormentare tutti gli abitanti di Argo afflitti non solo per questo peccato, ma anche per tuti quelli commessi ai danni di coloro che sono morti e che credono tornino dalla tomba per tormentarli.

C’è solo un ragazzo che non è, per ora, macchiato dal peccato in questa storia, ed è proprio il nostro protagonista.

Il peccato è la libertà

Quando giunge ad Argo, Oreste non è ancora il vendicatore che tutti gli appassionati conoscono. Egli è un giovane eroe che cerca solo di ritrovare la propria sorella e scoprire cosa affligge la sua città natale. Ma quando si ritrova a contatto con tutti gli altri personaggi, Elettra in primis, Oreste rimane letteralmente contaminato dai loro peccati, quasi volessero contagiarlo per rovinare la sua purezza.

E ci riescono alla perfezione: Oreste uccide sua madre ed Egisto in una maniera brutale, provocando il crollo mentale della sorella che, messa di fronte al “sogno” che tanto desiderava, non ne regge l’orrore e si assume questo nuovo peccato, concedendosi a Zeus e a un perenne lutto.

Anche Oreste, dunque, diviene un peccatore. Ma lui fa qualcosa di più, molto di più. In fondo, è pur sempre un eroe: egli si rende conto di quale sia per la gente di Argo (e per Zeus stesso) il peccato più profondo: essere liberi. Una libertà che non gli permette più di colpevolizzare qualcun altro ma loro stessi, guardandosi per ciò che sono, ovvero dei peccatori senza possibilità di perdono.

Perciò, al contrario di Egisto che lo fece per allontanare i suoi peccati da sé, Oreste se li assume tutti quanti. Prende tutti i peccati della gente di Argo, di Elettra, anche di Zeus stesso e li porta via con sé, assieme a tutte le mosche fameliche che inseguiranno solo lui. Lui diventa il Peccatore, e sceglie liberamente di esserlo, lasciando svuotati tutti coloro che avevano vissuto con la condanna della libertà e rimanendo schiavi di essa. Oreste, invece, diventa veramente libero accettando la sua anima peccatrice e spezzando le catene dell’ipocrisia. Egli sa, e sceglie di accettare piuttosto che fuggire. Un atto davvero eroico, non credete?

La scelta

Sartre ci va giù pesante con questa opera: l’uomo è impossibilitato a vivere senza peccato poiché egli è libero di poter compiere azioni criminose. La libertà è il più grave dei peccati seguendo la logica di questa storia. Ma è qui che Sartre ci vuole prendere in giro, perché la verità è ben altra. Lui ce la dona proprio con il suo Oreste: il vero peccato è non voler scegliere. Il protagonista è un peccatore e sceglie di fare la cosa giusta, di prendere tutto su di sé e accettarlo.

Scegliere di compiere una cosa del genere è davvero un’impresa e molti non si sentono di farlo, preferendo piuttosto la comodità dell’obbligo, accusare l’altro della loro situazione e nascondere i loro peccati dietro mille scuse.

Invece, se noi scegliamo di affrontare i nostri peccati, di farci strada lungo la nuvola di mosche diaboliche che offusca il nostro giudizio, di trovare il modo di perdonarci e accettare chi siamo, con i nostri pregi e difetti, allora sapremo di aver utilizzato bene la nostra libertà e di aver scelto il sentiero giusto.

Perché se davvero la Libertà è il peccato più grave, allora io scelgo di essere un peccatore.

Attore Novizio al vostro servizio!

Valerio Angelucci
Valerio Angelucci
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