Nel mese del Pride, celebriamo l’identità in tutte le sue forme. Ma cosa succede se guardiamo al genere non solo con gli occhi del presente, ma anche attraverso quelli della fantascienza? Cosa ci dicono i robot, i cyborg e le intelligenze artificiali sulle identità fluide?
Uno dei testi più visionari per affrontare questo tema è il Manifesto Cyborg di Donna Haraway, pubblicato nel 1985. Un saggio fondamentale del pensiero femminista e queer, in cui l’autrice immagina il cyborg – metà umano, metà macchina – come una figura rivoluzionaria, che rompe le barriere tra maschile e femminile, tra naturale e artificiale, tra corpo e identità.
Nel Manifesto, Haraway scrive una frase che è diventata iconica:
“Preferisco essere un cyborg che una dea.”
Con queste parole, rifiuta l’idea di una “natura femminile” pura e immutabile, e propone invece una nuova identità: ibrida, fluida, non binaria. Il cyborg non ha un genere prestabilito, non ha bisogno di corrispondere a norme biologiche o sociali. È una figura che sfida le categorie rigide e immagina una realtà dove possiamo costruire la nostra identità senza confini.
Identità postumane: il corpo che cambia
Nel mondo del transumanesimo e della fantascienza queer, il corpo diventa uno spazio trasformabile, in cui la distinzione tra maschile e femminile perde importanza. La scienza e la tecnologia diventano strumenti di affermazione, di transizione, di libertà. Qui, l’identità di genere non è più vincolata alla dicotomia maschile/femminile, ma si apre a possibilità molteplici, fluide e personalizzabili.
Molti autori e autrici di fantascienza come Octavia Butler, Samuel R. Delany, Ursula K. Le Guin e Janelle Monáe, hanno immaginato mondi in cui il genere non è fisso, dove gli esseri umani si trasformano, si fondono con macchine, attraversano mutazioni. In questi universi narrativi, le norme crollano e si aprono spazi di resistenza e di creatività.
Ursula Le Guin, ad esempio, nel romanzo La mano sinistra delle tenebre, ci presenta un pianeta abitato da esseri umani che non hanno un genere stabile, ma entrano ciclicamente in fasi di femminilità o mascolinità. Questo esperimento letterario ci invita a pensare: e se il genere non fosse qualcosa che “si è”, ma qualcosa che “si attraversa”?
O ancora, nel romanzo Imago di Octavia Butler, la protagonista appartiene a una specie aliena che modifica geneticamente se stessa per adattarsi e creare connessioni simbiotiche con altre forme di vita. Questo processo è metafora potente della transizione, non solo di genere, ma anche di appartenenza, di affinità, di alleanza. Il corpo, in questa visione, non è un limite, ma un mezzo plastico di relazione e trasformazione.
Haraway introduce il cyborg come una figura che trascende le tradizionali categorie di genere. In un mondo dove le identità sono sempre più fluide e costruite, rappresenta una possibilità di liberazione dalle strutture oppressive del patriarcato e del capitalismo. Non è né uomo né donna, ma un essere che sfida le dicotomie e abbraccia la complessità dell’esistenza.
“Il cyborg non riconoscerebbe il giardino dell’Eden: non è nato dal fango e non può pensare di ritornare polvere.”
Questa affermazione sottolinea l’idea che il cyborg non è vincolato alle origini naturali o mitiche dell’umanità, ma è una creazione culturale e politica. La sua esistenza mette in discussione la pretesa di una “natura femminile” immutabile e propone una nuova visione dell’identità come qualcosa di fluido e in continua evoluzione.
Una proposta politica concreta: un invito a immaginare identità che resistano alla normalizzazione, che si affermino nella molteplicità e nel cambiamento.
Fantascienza, tecnologia e verità personali
La fantascienza è sempre stata una palestra per immaginare altri mondi, ma soprattutto altri modi di essere. E in tempi in cui le transizioni di genere vengono messe in discussione, controllate, ridicolizzate, quei mondi immaginari parlano di noi più di quanto crediamo.
In un’epoca in cui le identità si moltiplicano e si trasformano, guardare al futuro attraverso la lente della fantascienza ci permette di liberare il pensiero dalle gabbie del presente. I cyborg, le intelligenze artificiali e i corpi postumani non sono solo figure immaginarie, ma simboli potenti di una realtà in divenire, in cui il genere si dissolve nelle infinite possibilità della creatività umana e tecnologica.
Celebrare questa fluidità significa abbracciare la complessità, superare le barriere del binarismo e costruire una società in cui ogni identità possa esistere senza dover rispondere a definizioni rigide o predeterminate. Così come il cyborg di Haraway, anche noi possiamo scegliere di essere ibridi, liberi e in continuo mutamento, protagonisti di una nuova narrazione dell’essere, che mette al centro l’autenticità di ogni persona.
di Federica Curcio