“Vedi le Città: è per i nemici, non per gli amici, che hanno imparato a costruirsi sudando mura gigantesche e a procurarsi navi da guerra.”
da Gli Uccelli di Aristofane
Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo desiderato di voler evadere da un mondo pieno di pregiudizi, ignoranza e crudeltà. Tutti coloro che posseggono un briciolo di pensiero razionale e logico lo hanno pensato, non soltanto negli ultimi tempi ma anche nelle epoche precedenti, che di certo avevano i loro bei problemi.
Eppure, evadere da questo mondo oppressivo sta diventando sempre più difficile, se non addirittura impossibile. Come si può fare, allora? Come ci si può liberare dal peso di un mondo che sta andando alla deriva, moralmente parlando?
Semplice: ci si affida all’immaginazione.
Fatelo con me: immaginate di decidere di voler andare via dalla città che odiate di più e nella quale non vi riconoscete da molto tempo, e di voler costruire una vostra città, dove poter vivere senza la stupidità e i giudizi degli altri. Un luogo lontano da tutto e da tutti… Ma dove?
Beh, un luogo ottimo sarebbe su, nel cielo! Ottimo per allontanarsi totalmente da ciò che ci disturba. Ma per poter arrivare lassù c’è bisogno di qualcuno che conosca bene “il territorio” e che ci permetta di realizzare la città ideale tra le nuvole. Qualcuno che sia davvero libero e senza alcun vero legame, connesso al cielo in maniera indissolubile.
Allora perché non chiedere agli uccelli? Veri e propri dominatori del cielo. Certo, loro sono particolarmente diffidenti con gli umani, visto il comportamento ostile verso di loro. Ma se siete bravi oratori e grandi pensatori, non sarà difficile convincerli della vostra bontà d’animo e della validità del progetto che avete in mente. Così essi potranno portarvi in cielo e aiutarvi a costruire una città ideale, libera da ogni vincolo. Né troppo su né troppo giù, alla giusta altezza. Un luogo dove vivere in comunione con gli uccelli e senza il pensiero delle pene terrestri. Bello, vero?
Lo so: questo, più che un sogno, è proprio un’utopia. Ma vi dico di più:
Questa città, tuttavia, esiste davvero.
O meglio, esiste nella realtà teatrale. E ha un nome: Nubicuculia, la Città del Cielo. A crearla, usando il potere dell’immaginazione, è stato il padre della commedia mondiale sinora conosciuta: Aristofane.
Sì, perché tutta la storia che abbiamo immaginato insieme è l’incipit di una delle sue commedie più famose, nonché una delle più lunghe, scritta nel 414 a.C. e portata in scena per la prima volta alle Grandi Dionisie di Atene: Gli Uccelli.
La trama de Gli Uccelli di Aristofane
La trama è esattamente quella che vi ho descritto poc’anzi: due ateniesi, Pisetero ed Evelpide, stufi e schifati della società in cui vivono, decidono di fuggire ed allontanarsi da essa. Chiedono aiuto agli uccelli, comandati dall’Upupa, per costruire una città su nel cielo e poter vivere in pace e liberi assieme a loro.
Gli uccelli accettano e la suddetta città, Nubicuculia per l’appunto, viene edificata. Fine della storia, direte voi, ma no.
L’opera continua e gli uccelli, convinti dallo stesso Pisetero, dichiarano guerra agli Dei sfruttando la posizione favorevole della loro nuova città e bloccando i fumi dei sacrifici compiuti per l’Olimpo. Senza il loro vero e proprio cibo, gli Dei muoiono di fame. Una delegazione formata da Poseidone, Eracle e addirittura un dio barbaro per l’epoca, Triballo, scendono a Nubicuculia e richiedono la pace agli uccelli e a Pisetero, che baratterà la fine delle ostilità donando agli uccelli la sovranità dei cieli e facendoli diventare i portatori del potere divino.
Per l’ateniese, invece, arriverà un matrimonio fruttuoso con Basileia, la personificazione della sovranità greca, divenendo poi ufficialmente il successore di Zeus sul trono olimpico.
Ecco, qui è dove Aristofane fa finire davvero la sua opera. E sarò molto sincero con voi: non è un bel finale.
Le premesse de Gli uccelli: il trionfo della libertà
Voglio fare una piccola premessa prima di spiegarvi le mie motivazioni su quello che ho appena detto: io e Aristofane non andiamo proprio d’accordo. Il rispetto che nutro per lui e per le sue opere è grande, ma ciò che spesso lo ha spinto a scrivere e i significati che i suoi spettacoli nascondono cozzano pesantemente con i miei ideali. Detto questo, i miei due cent sugli Uccelli di Aristofane devono essere presi come puramente personali, poiché quello che io vi vado a spiegare potrebbe non corrispondere a ciò che voi avete assimilato dalla storia.
Ciò che Gli Uccelli dovrebbe rappresentare è il trionfo della libertà e dell’immaginazione sulle imposizioni della società odierna. La città di Nubicuculia è la dimostrazione tangibile di questo ideale che Aristofane vuole descrivere: non c’è limite nell’immaginazione. Lì risiede la vera libertà a cui ogni uomo ambisce. La libertà di poter anche costruire una città nel cielo.
Gli uccelli stessi sono sempre stati simbolo di libertà, capaci di librarsi in aria senza alcuno sforzo, giungendo dove ogni uomo non potrebbe mai arrivare.
Il sogno dell’immaginazione diventa l’incubo della realtà
Il finale dell’opera, tuttavia, stravolge completamente questa nobile simbologia. Pisetero convince gli uccelli a muovere guerra contro gli Dei, distruggendo l’obiettivo di pace e libertà che lo guidava a inizio spettacolo. Quando questa guerra volge a favore dei volatili, ecco che lui scende in campo per reclamare un “bottino di guerra”, ovvero strappando agli Dei la sovranità del cielo. Donandola agli uccelli, li rende di fatto i nuovi Dei del mondo. Poi prende per sé come moglie la Dea della sovranità, che gli permetterà di prendere il posto di Zeus nell’Olimpo e diventando letteralmente il Re degli Dei.
Come può esserci libertà ed evasione dall’opprimente società se poi ne diventi il rappresentante diretto e divino? Dov’è la pace se dichiari guerra? Dov’è la fierezza di essere liberi se la libertà la togli ad altri? Persino gli uccelli, massimi rappresentanti del pensiero libero, diventano vettori di una volontà superiore e quindi assoggettati a essa.
Il sogno tanto decantato da Aristofane cessa di esistere nell’immaginazione e diventa un incubo reale. L’incubo della realtà in cui viviamo e dal quale vogliamo tanto evadere. Ed è qui che a parer mio l’opera fallisce. Qui l’incoerenza dell’autore, che più e più volte traspare dalle sue opere, raggiunge un picco che è impossibile da nascondere.
Gli Uccelli di Aristofane: conclusioni
Con questa mia personale analisi non voglio minimamente dire che Gli Uccelli di Aristofane sia un’opera da non leggere o vedere, badate bene. Essa è un caposaldo della commedia antica, che ha gettato solide basi sulla creazione di ciò che noi definiamo satira. Un esercizio di stile recitativo davvero incredibile, degno di uno studio approfondito e necessario a migliorare la propria tecnica attoriale.
Ciò su cui, ahimè, pecca pesantemente è il suo messaggio, incoerente ed errato. Se si persegue un ideale di pace e libertà, fuori dalle catene di una crudele società, dobbiamo evitare di far gravare quelle stesse catene agli altri, causando al prossimo ciò che noi diciamo di odiare.
Combattere gli Dei per poi divenire uno di loro non può che essere un fallimento dei nostri intenti, non una vittoria. Dobbiamo guardare il volo degli uccelli e immaginare di essere lì nel cielo con loro, non catturarli e fare in modo che volino per noi. Lì vive il vero sogno, la vera utopia che non potrà mai accadere, ma in cui possiamo rifugiarci per evadere dalla realtà.
Ma se roviniamo anche quell’utopia, allora tanto vale restare a terra, nell’ombra della realtà.
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