Le mascotte giapponesi… Sì, ne parlo sempre nella rubrica su Instagram, ma volevo entrare un po’ più nello specifico, scavare più a fondo in questo fenomeno che spopola in Giappone.
A uno sguardo distratto possono sembrare buffi pupazzi colorati, creati per strappare un sorriso ai più piccoli. Ma basta fermarsi un momento in più per scoprire che dietro ogni costume si cela un mondo. Ogni mascotte è frutto di una scelta precisa, il volto di una strategia comunicativa pensata con cura, il cuore di un’intera narrazione culturale ed economica.
Questi personaggi non sono soltanto figure da abbracciare o fotografare: sono incarnazioni viventi dell’anima di una città, simboli affettuosi delle sue radici, portavoce delle sue unicità. Camminano tra la gente come ambasciatori silenziosi di tradizioni secolari, ma anche come protagonisti moderni di una promozione turistica che parla il linguaggio dell’emozione, dell’identità e dell’orgoglio locale.
Una cultura fatta personaggio
Il Giappone ha da sempre un talento speciale, quasi istintivo, nel dare un volto ai concetti, alle idee, perfino alle istituzioni. Dai personaggi dei manga alle pubblicità, dalla segnaletica delle stazioni ai biglietti d’ingresso dei musei, tutto sembra prendere vita attraverso figure che parlano direttamente al cuore delle persone. In questo panorama, l’ascesa delle mascotte cittadine non è affatto un caso: è l’evoluzione naturale di una tendenza profondamente intrecciata con la sensibilità culturale giapponese, che trova nella personificazione un linguaggio universale e immediato.
Le yuru-kyara – letteralmente “personaggi morbidi” – non nascono solo per intrattenere, ma per accorciare le distanze, per rendere più accessibili e umani concetti altrimenti astratti o istituzioni percepite come fredde e distanti. È così che una città intera può diventare un tenero orsetto, un frutto sorridente, o un gatto fiero in armatura da samurai. Ogni mascotte è una piccola opera d’arte simbolica: nulla è lasciato al caso. Il colore della pelliccia, gli accessori, perfino la forma degli occhi raccontano qualcosa del territorio che rappresenta – un piatto tipico, un monumento iconico, un’antica leggenda o un personaggio storico caro alla memoria collettiva.
Il risultato? Figure originali, spesso volutamente un po’ impacciate, ma proprio per questo irresistibilmente umane. Mascotte che non solo fanno sorridere, ma riescono ad accendere la curiosità, a generare un senso di appartenenza, a invitare alla scoperta. Sono ponti emotivi, messaggeri di identità e cultura che, con un solo sguardo, sanno accoglierti e dirti: “Benvenuto, questa è casa nostra”.
Kumamon e il boom delle mascotte giapponesi
Il caso più emblematico – e senza dubbio il più affascinante per chi studia marketing e branding – è quello di Kumamon, l’amatissima mascotte ufficiale della prefettura di Kumamoto. Nato nel 2010 per promuovere l’apertura di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità, Kumamon è molto più di un semplice orsetto nero con le guance rosse e lo sguardo perennemente stupito: è diventato un fenomeno culturale, un simbolo di affetto collettivo, un piccolo miracolo di comunicazione pubblica.
Nessuno avrebbe immaginato che quella creatura semplice, quasi goffa, avrebbe toccato così profondamente l’immaginario giapponese. E invece, in pochi anni, Kumamon ha conquistato il Paese, trasformandosi in una vera e propria icona nazionale. Oggi il suo volto sorridente appare ovunque: su biscotti, quaderni, gadget, cartelloni pubblicitari e palchi di eventi sparsi da Hokkaido a Okinawa. Nel solo 2012, ha generato oltre 29 miliardi di yen (circa 284 milioni di euro) in vendite indirette — una cifra impressionante che testimonia la forza emotiva del personaggio.
Ma forse il dato più sorprendente è un altro: Kumamon ha riacceso l’interesse per Kumamoto, portando migliaia di visitatori nella prefettura e contribuendo concretamente alla sua rinascita economica. Non è solo un orsetto: è stato – ed è ancora – un ambasciatore instancabile, capace di attrarre turisti, stimolare l’economia e rafforzare il senso di identità locale.
Il suo successo ha innescato una vera e propria “epidemia di yuru-kyara”. Oggi il Giappone ne conta più di 1.500, ognuna con una storia ben definita, una presenza online curatissima e una linea di prodotti dedicata. È nata così una costellazione di personaggi, ognuno pronto a raccontare il proprio angolo di mondo, con tenerezza, ironia e una sorprendente capacità di connessione emotiva.
Mascotte giapponesi con una missione
Ma non tutte le mascotte giocano lo stesso ruolo, e questo è parte del loro fascino. Alcune nascono con una missione precisa e a breve termine: promuovere un evento, una mostra, o sensibilizzare su temi come la raccolta differenziata o la sicurezza stradale. Altre, invece, diventano veri strumenti di servizio pubblico, incarnazioni simpatiche di messaggi civici. Ma le più amate, quelle che davvero entrano nel cuore della gente, sono le mascotte che rappresentano intere città o regioni: veri e propri avatar territoriali, capaci di raccontare un luogo in modo visivo, diretto, emotivo.
Hikonyan
Prendiamo per esempio Hikonyan, il tenerissimo gatto bianco con elmo da samurai che rappresenta la città di Hikone, nella prefettura di Shiga. Creato nel 2007 per celebrare i 400 anni dello storico castello cittadino, Hikonyan ha fatto molto più che commemorare un anniversario: ha dato un volto nuovo all’identità della città. Il turismo è aumentato di oltre il 40%, e Hikone ha trovato un simbolo che unisce tradizione e modernità in modo giocoso ma potente.
Funassyi
Diversa ma altrettanto sorprendente è la storia di Funassyi, la mascotte non ufficiale (e scatenata) della città di Funabashi. Non è nata da un ente pubblico, né da un’agenzia di branding: è frutto della passione e della creatività di un cittadino. Una pera gialla antropomorfa, iperattiva, urlante, imprevedibile. Eppure – o forse proprio per questo – ha conquistato il Giappone. Con apparizioni televisive, video virali su YouTube e un’energia contagiosa, Funassyi ha reso celebre Funabashi ben oltre i confini dei circuiti turistici tradizionali, dimostrando che anche un’iniziativa spontanea può diventare una forza promozionale travolgente.
In entrambi i casi, non si tratta solo di personaggi buffi: sono vere e proprie micce accese nel tessuto culturale e sociale, capaci di innescare trasformazioni reali, rafforzare l’identità locale e far viaggiare le emozioni prima ancora delle persone.
Le mascotte giapponesi: non solo icone pop
Le mascotte giapponesi non sono semplici icone pop né soltanto oggetti da collezione: sono anime in costume, espressioni viventi di un territorio che si fanno portatrici di affetto, identità e narrazione. In un Paese come il Giappone, dove la tradizione dialoga con l’innovazione con rara armonia, queste figure giocose riescono a parlare a chiunque — turisti in cerca di meraviglia, cittadini fieri delle proprie radici, bambini entusiasti e adulti disillusi. Con un sorriso largo e un abbraccio simbolico, raccontano storie, evocano paesaggi, creano legami invisibili ma profondi.
E forse è proprio questo il loro segreto: una lentezza gentile, una goffaggine che ci somiglia, un’umanità disegnata a tratti semplici ma pieni di significato. In un mondo che accelera senza sosta, dove tutto è efficiente, veloce, spesso impersonale, le yuru-kyara ci ricordano che è ancora possibile emozionarsi, fermarsi un attimo, riconoscersi in qualcosa di comune.
Un passo (morbido) alla volta, ci riportano dove tutto comincia: nel senso di appartenenza, nell’orgoglio di un luogo, nella bellezza di sentirsi parte di una storia più grande.
di Monica Fumagalli