Una battaglia dopo l’altra, la nostra recensione

Con Una battaglia dopo l’altra, Paul Thomas Anderson ci regala un film sorprendentemente attuale, teso, politico e profondamente umano. È un’opera che non si limita a raccontare, ma interroga il presente – e lo fa con quella consueta lucidità che contraddistingue il suo cinema, capace di muoversi con grazia tra le grandi questioni collettive e le fragilità intime.

Una battaglia dopo l’altra, il cast

Il cast è stratosferico. Leonardo DiCaprio interpreta un uomo diviso tra la responsabilità pubblica e il bisogno di proteggere ciò che ha di più caro, la famiglia, con una profondità che riesce a essere insieme trattenuta e coinvolgente.

Benicio Del Toro, nel ruolo del sensei, porta in scena un idealismo che non perde mai di credibilità. Ma è Sean Penn a lasciare il segno, con un’intensità che scava sotto la superficie e restituisce un personaggio memorabile.

Anche gli attori meno noti si muovono con una naturalezza sorprendente, riuscendo a tenere testa ai mostri sacri e contribuendo con autenticità alla forza complessiva del film.

Conflitti che si susseguono

L’impianto narrativo è netto: una battaglia dopo l’altra, proprio come promette il titolo.

Ma non si tratta solo di conflitti fisici o ideologici: è un continuo corpo a corpo con il mondo, con la coscienza, con le responsabilità individuali e collettive.

Le battaglie della madre e della figlia, unite e divise dalla stessa tensione ideale; quella del sensei, che resiste a una realtà che lo vorrebbe piegato; quella, più silenziosa, del personaggio di DiCaprio, che lotta per tenere insieme ciò che ama mentre tutto intorno a lui implode.

Il montaggio segue questo respiro affannato, quasi guerrigliero: il ritmo è serrato, le scene si succedono con urgenza, senza mai lasciare il tempo di abbassare la guardia. L’azione non è mai gratuita, ma è sempre al servizio della narrazione. Degno di nota, in particolare, l’ultimo inseguimento: una sequenza magistrale, tesa e visivamente potentissima, come non se ne vedevano da tempo. Non solo per la costruzione tecnica, ma per il modo in cui riesce a concentrare, in pochi minuti, tutta la tensione morale accumulata nel film.

Considerazioni finali

Certo, la durata è generosa, anche considerando le abitudini del pubblico contemporaneo, ma non a caso. Ogni sequenza trova il suo spazio e la sua ragion d’essere, e nonostante le oltre due ore e mezza, non c’è un attimo in cui ci si senta trascinati a forza. Si potrebbe auspicare un cinema che sappia tornare all’essenziale, ai novanta o centoventi minuti di un tempo, ma quando il racconto è così denso e coinvolgente, si è disposti volentieri a restare un po’ di più.

Detto questo, Una battaglia dopo l’altra resta un’opera necessaria. Non ha paura di essere scomoda, non edulcora, non semplifica. E soprattutto non rinuncia mai alla complessità del reale. In tempi in cui spesso il cinema si rifugia nella nostalgia o nella superficie, Anderson ci ricorda che raccontare il presente è ancora possibile. E urgente.

di Laura Pidalà

Redazione
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