Tre canzoni dalle atmosfere horror

È da tanto che non varco le porte del Double R, il diner di Twin Peaks in cui ambientavo i primi episodi della mia rubrica. Questo articolo speciale a tema Halloween mi sembrava l’occasione perfetta per tornarci e dare quell’ambientazione un po’ inquietante che ben si sposa con questa ricorrenza. Oggi voglio ascoltare insieme a voi alcune tra le mie canzoni preferite avvolte da un’aura misteriosa e, palesemente o cripticamente a seconda dei casi, spaventosa. Saluto Norma e lascio le mie cose al mio tavolo preferito, quello all’angolo tra la vetrina e il jukebox. Frugo nelle mie tasche e trovo giustappunto tre monetine: fanno proprio al caso mio. Come ai vecchi tempi, facciamo partire il Minako’s Jukebox con tre canzoni dalle atmosfere horror!

1. Bohemian Rhapsody

La follia visionaria di Freddie Mercury, la punta di diamante di A night at the opera, compie cinquant’anni proprio questo 31 ottobre. Su Bohemian Rhapsody è stato detto di tutto, dalle prime recensioni poco edificanti (“rock da supermarket”, “una brutta imitazione dei Led Zeppelin”, scriveva la critica ai tempi), fino alla consegna alla leggenda.

Quello su cui ci si sofferma poco è in realtà il testo, che narra di una vera e propria epopea horror.

In breve, le liriche parlano di un assassino che confessa il suo delitto alla madre e si prepara a dire addio a tutti, dopo essere stato condannato a morte. La celebre parte corale altro non sarebbe che la rappresentazione della discesa negli inferi del disgraziato, con tanto di “Belzebù ha messo da parte un diavolo per me(Beelzebub has a devil put aside for me).

Ma parla davvero di questo o ci sono altri livelli di lettura? Qual è il vero segreto di Bohemian Rhapsody? Quali significati si nascondono dietro ai versi apparentemente senza senso che si susseguono in questo testo tanto vago quanto affascinante, che tira in ballo personaggi dai nomi bislacchi?

I Queen sono sempre stati restii a svelarne i misteri, ma c’è chi dice che ci sia nascosta una riflessione sulla sessualità di Freddie Mercury.

Jim Hutton, l’uomo che fu il compagno di Mercury fino alla sua morte, e Freddie stesso, lasciarono intendere che la canzone parli di “relazioni”, confermando in qualche modo questa teoria.

La strofa che si apre con Mama, just killed a man (“Mamma, ho ucciso un uomo”) potrebbe riferirsi a Freddie Mercury che “uccide” Farookh Bulsara, il sé stesso passato (il vero nome del cantante), che svanisce lasciando solo la “piccola silhouette di un uomo” (a little silhouetto of a man).

Chiaramente questa è solo una delle infinite interpretazioni che si possono dare al pezzo.

Secondo me, una delle sue carte vincenti è quella di essere evocativa senza dire niente di preciso e senza un contesto definito, passando velocemente dal drammatico allo scanzonato – un po’ come era Freddie stesso, teatrale e espansivo in pubblico ma introspettivo e timido nel privato. Ogni tentativo di sciogliere la matassa rischierebbe solo di dissolverne la magia.

2. Hotel California

Dopo un lungo viaggio nel deserto, dove non sai né da dove sei partito, né dove stai andando, né da quanto sei in macchina – un po’ come accade negli incubi – un albergo appare all’orizzonte come un miraggio.

L’hotel sembra un vero paradiso: all’interno regna il lusso più sfrenato. Certo, è popolato da personaggi un po’ strani e sembra tutto fuori dal mondo, ma ti lasci trasportare e anche un po’ ammaliare.

Allo stesso tempo però senti che qualcosa non va, qualcosa di inquietante che stride, un senso di claustrofobia che ti fa correre i brividi lungo la schiena.

Finché scopri che siete tutti prigionieri lì dentro, che una bestia immortale possiede l’intera struttura e che ogni tentativo di scappare è totalmente inutile perché “you can check out anytime you like, but you can never leave” (puoi fare il check out quando vuoi ma non puoi andartene). Sarebbe la trama per un perfetto film horror.

E in effetti, la narrazione di Hotel California dipinge delle immagini vivide in modo molto cinematografico, come era volontà degli Eagles in fase di creazione, che si ispirarono dichiaratamente alle atmosfere di The Twilight Zone e The Magus, romanzo di John Fowles.

Il pubblico e la critica hanno avanzato le ipotesi più strampalate sul reale significato di questa canzone. Ovviamente, la prima e più semplice spiegazione è che l’Hotel rappresenti la schiavitù dell’abuso di alcol e droghe di cui gli stessi Eagles erano vittime. Non sono mancate poi le speculazioni a sfondo satanista e persino su presunte allusioni al cannibalismo.

I membri della band non hanno comunque mai fatto mistero che la canzone parli della perdita dell’innocenza, ma anche degli eccessi e del narcisismo della società americana.

Il gruppo ha dichiarato che il testo è una metafora dell’eterna lotta tra gli opposti, luce e oscurità, giovinezza e età adulta, ma che può avere infinite interpretazioni applicabili anche all’industria musicale, alla sua avidità e alla difficoltà per i musicisti di mantenere un equilibrio tra “arte impegnata” e “musica commerciale”.

Le liriche sono un’allegoria dell’edonismo, della corruzione, dell’autodistruzione, della decadenza, del materialismo, e dell’individualismo nascosti dietro la facciata patinata e ipocrita del “sogno americano”. Che si rivela essere un incubo oscuro da cui nessuno può (o vuole) realmente uscire.

3. Thriller

Non ha di certo bisogno di presentazioni. È la title track dell’album più venduto di tutti i tempi ed è una delle canzoni più ascoltate e scaricate ogni anno nel periodo di Halloween.

Il suo videoclip horror, diretto da John Landis, è il primo video musicale a non essere un semplice collage di immagini promozionali ma a essere un vero e proprio cortometraggio ed è forse uno dei più parodiati di tutti i tempi. Nel 2009 è stato persino il primo videoclip musicale a essere stato inserito nel National Film Registry.

Ma forse non tutti sanno che Thriller, prima di essere la canzone creepy che conosciamo, aveva una faccia del tutto diversa. Anzi, direi totalmente opposta. Inizialmente era una “normalissima” traccia a cavallo tra disco e funk, si intitolava Starlight, e il celebre ritornello recitava “Give me some starlight, starlight sun”. Completamente nonsense, vero?

Quella vecchia volpe del produttore Quincy Jones ci vedeva del potenziale, ma non era convinto del testo. Inoltre, Starlight come titolo del disco gli sembrava un po’ debole e banale. Il team decise quindi di virare verso atmosfere più misteriose e inquietanti, in linea anche con l’immagine più matura che Michael Jackson voleva dare del suo personaggio, dopo essere stato il bambino prodigio dei Jackson 5.

Rod Temperton, autore del brano, tentò prima cambiando il titolo in Midnight Man: era la direzione giusta, ma ancora non quella definitiva. Fu allora che gli venne in mente il termine “thriller”. La sua preoccupazione maggiore era che il suono della parola non funzionasse bene nel cantato, ma Jackson entrò in sala di incisione e spazzò via ogni dubbio. Temperton riscrisse interamente il testo nel tragitto in taxi per lo studio di registrazione, e il resto è storia.

Vennero introdotti nell’arrangiamento vari suoni ed effetti sonori da film horror come porte che cigolano o ululati di lupi e cani (eseguiti da Michael Jackson stesso) e anche un theremin, strumento elettronico largamente utilizzato nel cinema dell’orrore e nella fantascienza.

Soprattutto venne inserita la celebre narrazione – con risata da raggelare il sangue annessa – dell’attore Vincent Price, “raccomandato” dall’allora moglie di Quincy Jones, Peggy Lipton. Che il caso ha voluto poi diventasse l’interprete proprio di Norma in Twin Peaks.

Dopo aver chiuso il cerchio di questo articolo in maniera così soddisfacente, non mi resta che invitarvi ad ascoltare la mia playlist aggiornata – qui – e augurarvi: Buon Halloween!

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.

Articoli: 47