Il gatto passeggia sinuoso sul davanzale della finestra. «A cosa pensi?» chiede al ragazzo. Con il muso cerca di infilarsi sotto la sua mano e si strofina per convincerlo a muoverla lungo tutta la schiena, fino alla punta della coda. «A cosa pensi?» ripete.
La luce di un lampo mette in risalto i rami dell’albero al centro del giardino. Senza tutte le foglie, i rami si intrecciano in un groviglio di ossa e dita nodose pronto ad accogliere l’arrivo dell’inverno.
Lo sguardo del ragazzo si ferma su quell’immagine spettrale mentre, così come era comparso, l’albero torna a nascondersi nell’oscurità. «Alla prima volta che ho visto uno scheletro».
Il gatto si ferma e drizza le orecchie: «Raccontami».
Il ragazzo guarda fuori dalla finestra, i suoni si ovattano nelle sue orecchie mentre i suoi pensieri viaggiano lontano nel tempo.
Si trova nella stessa casa, anche se il mondo intorno a lui è diverso. Le pareti sembrano più alte, il piano cucina è di fine anni settanta e una sedia a dondolo con un soffice cuscino arancione si muove lenta, segno che qualcuno si è alzato da poco.
Questo è il posto dove è cresciuto, ha scelto i tasselli che lo avrebbero definito e ha affrontato il suo primo scheletro.
Il gatto si è accucciato continuando a osservare il ragazzo in silenzio.
«Sai, è difficile dimenticarsi del primo scheletro,» mormora il ragazzo, «soprattutto quando sei uno che ha paura di tutto: zombie, spiriti, bambole e acqua ossigenata». Si interrompe in attesa di una risata, ma questa non arriva.
Con i ricordi torna a quel giorno. La giornata uggiosa e, davanti a lui, un quaderno dal titolo “Enigmi fantasiosi per giornate uggiose”. In mano tiene un foglio con delle istruzioni molto chiare, quel giorno non avrebbe affrontato indovinelli e sudoku ma un mostro, e in cambio avrebbe ricevuto un grande tesoro.
«Ricordi cos’era?» chiede il gatto stiracchiandosi. «Il tesoro, intendo».
No, ma il ragazzo ricorda in modo chiaro lo spavento provato. Lo scheletro di cartone era appeso dentro all’armadio, a pressione, pronto a saltare fuori all’apertura dell’anta.
Dietro di lui, però, suo nonno lo guarda, calmo e tranquillo, e gli passa una spada fatta di cartone, incitandolo a colpire il mostro.
«E hai colpito?», il gatto lo osserva curioso.
«Con tutta la mia forza di bambino». risponde lui. «Mi sono girato trionfante e lui, sempre con la sua voce calma, mi ha detto che quando mi sarei trovato davanti a un problema, per quanto insormontabile e impossibile, mi sarei dovuto comportare nello stesso modo: un momento di paura, uno di smarrimento ma poi pronto a colpire, dividere il problema in parti più piccole e sviscerarlo fino al suo scheletro, al suo nucleo più intimo».
Ora il gatto sale sulla sua spalla e guarda fuori dalla finestra. «Però non tutti i problemi possono essere distrutti come quello scheletro di carta».
«Hai ragione», risponde il ragazzo mentre gli gratta la testa, «ma forse, quando raggiungi il cuore del problema, questo cambia la tua prospettiva, riesci a vedere tutto in un modo differente e più logico. Se poi lo affronti con qualcuno che non ti abbandona davanti alle difficoltà, si possono trasformare anche le cose più brutte in qualcosa di sopportabile. A volte anche questa è una vittoria».
«Sono contento di affrontare gli scheletri con te», il gatto si stiracchia un’ultima volta prima di assopirsi, cullato dalla certezza che il ragazzo sarà sempre al suo fianco anche nei momenti più bui.
di Ric