Peppe Vessicchio, il “papà musicale” di tutta Italia

Lo scorso 8 novembre è venuta a mancare una figura del mondo musicale italiano che per un motivo o per l’altro era entrata nelle case e nei cuori di milioni di italiani di diverse generazioni: il celebre arrangiatore e direttore d’orchestra Peppe Vessicchio, deceduto per le complicazioni di una polmonite intestiziale.

Almeno nell’ultimo ventennio, il musicista era noto a tutti come professore di musica nel talent show Amici di Maria De Filippi ma soprattutto come presenza costante al Festival di Sanremo, tanto da diventare sinonimo stesso della kermesse. “Dirige l’orchestra il Maestro…”, et voilà, il nostro cervello completa la frase automaticamente con il nome di Vessicchio.

Asceso addirittura allo status di meme negli ultimi anni, complici anche le varie somiglianze attribuitegli dal mondo nerd (il cane Whisky da Lilli e il Vagabondo, per esempio) e le collaborazioni sui social con Geopop e con i Jackal (culminate nella partecipazione alla seconda stagione della loro serie Amazon Pesci Piccoli), Vessicchio si è fatto conoscere come persona autoironica oltre che come professionista estremamente competente nella sua materia e al contempo umile e pacato.

L’infanzia

Ma prima di accogliere a braccia aperte questa sua immagine da star del web e non solo, Peppe Vessicchio nella sua lunga carriera ha fatto di tutto. Nato e cresciuto a Napoli, in una famiglia appassionata di musica, a casa fin da bambino si ritrovò come compagni di giochi chitarre, mandolini, fisarmoniche e giradischi. Ma non solo gli strumenti musicali accompagnarono l’infanzia del giovane Peppe. Il papà, operaio del settore siderurgico, lavorava tra ferro e scarti di amianto, con cui Peppe costruiva i suoi giocattoli. Ed è forse proprio questo dettaglio che rappresentò la prima breccia nella salute dei polmoni del musicista.

L’ambiente familiare, pur non essendo composto da professionisti ma da semplici amatori, fu incoraggiante e determinante nella decisione di diventare un professionista della musica. “Se vuoi rendermi felice, fai ciò che ti rende felice”, gli disse il padre. Inizialmente Vessicchio apprese i primi rudimenti come autodidatta, per poi iscriversi e diplomarsi al Conservatorio di San Pietro a Majella.

La carriera musicale

La sua carriera professionale incominciò tra la metà degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, esibendosi nei club della sua città natale e in seguito collaborando alla realizzazione di dischi di musicisti affermati come Edoardo Bennato e Gino Paoli, in veste di compositore e arrangiatore. Prima di scegliere esclusivamente la musica, ebbe anche una piccola parentesi da attore comico come membro dei Rottambuli insieme a Mirko Setaro e Edoardo Romano, in seguito conosciuti come i Trettré con l’ingresso di Gino Coliandro al posto di Vessicchio. Negli anni ha poi lavorato con personaggi di rilievo e di generi musicali trasversali come Andrea Bocelli, Elio e le Storie Tese, Ivana Spagna, Zucchero, Biagio Antonacci, Ornella Vanoni e molti altri.

A Sanremo ha vinto il premio Miglior Arrangiamento per ben quattro volte: nel 1994 (I giardini d’Alhambra dei Baraonna), nel 1997 (Sei tu di Syria), nel 1998 (Dormi e sogna degli Avion Travel) e nel 2000 (Il timido ubriaco di Max Gazzè). Quattro canzoni che lo vedevano come direttore d’orchestra si sono aggiudicate la vittoria assoluta al Festival: nel 2000 Sentimento degli Avion Travel, nel 2003 Per dire di no di Alexia, nel 2010 Per tutte le volte che di Valerio Scanu e nel 2011 Chiamami ancora amore di Roberto Vecchioni.

La ricerca musicale

La sua attività di ricercatore musicale si concentrò principalmente sulla psicoacustica, sulla tendenza delle armonie a ricercare degli “incastri naturali”, e su come questi incastri possano influenzare la biochimica degli esseri viventi. Affascinato da uno studio sulle vacche del Wisconsin, che pareva producessero più latte se ascoltavano Mozart, ripeté l’esperimento sulle sue piante grasse. Esse, osservò, sembrava crescessero più rigogliose e con meno bisogno di acqua, come se si nutrissero della musica che “ascoltavano”. Queste ricerche vennero ripetute su altre piante e anche sulla produzione di vino e sfociarono poi nel primo libro del musicista, firmato con Angelo Carotenuto, La musica fa crescere i pomodori, edito da Rizzoli nel 2017.

Il papà musicale di tutta Italia

Chiunque si sia occupato di musica, a qualsiasi livello, dal dilettante al professionista consumato, ha avuto a che fare almeno una volta nella vita, più o meno da vicino, con Peppe Vessicchio. Musicalmente era un po’ il padre di tutti quanti abbiano mai anche solo provato ad approcciarsi a questo mondo. Il Maestro ha sempre creduto nei giovani, nell’energia creativa delle nuove generazioni, e si è sempre prodigato per dare una parola gentile, un consiglio, un parere sui punti di forza o sulle carenze su cui lavorare, per chiunque glielo chiedesse. Sempre col massimo tatto e mai usando una parola sgarbata o fuori posto.

La presenza di Vessicchio nei vari strati del panorama musicale (dai workshop, ai concorsi, agli studi di registrazione e i palchi dei live e della televisione) si è ulteriormente palesata con i tributi riservatigli sui social all’apprendere la notizia della sua scomparsa. Tutti, e dico tutti, avevano almeno una foto sgranata con Vessicchio. Tranne me. Ma questo non significa che io non abbia avuto a che fare con lui, ma solo che gli smartphone e la cultura dei selfie non erano ancora diffusi (sì, c’ho ‘na certa età). E qua mi risulta difficile anche continuare a mantenere un tono professionale tra le righe di questo articolo.

Il mio primo incontro con il Maestro

Non vi so descrivere quanto mi addolori la scomparsa del Maestro. Chi scrive è stata una ragazzina piena di voglia di percorrere la strada della musica ma allo stesso tempo incerta se fosse davvero il percorso fatto per lei. Peppe Vessicchio, e lo scrivo con le lacrime agli occhi che mi appannano la visione dello schermo del laptop, è stato tra le prime persone dall’opinione autorevole a credere in me e a farmi capire che non solo potevo osare cantare ma dovevo farlo.

Peppe Vessicchio era il presidente della giuria di uno dei primi concorsi canori importanti che vinsi a livello regionale nel 2008, quando avevo 17 anni. “Tu ci sei nata con questa malattia della musica e ci morirai, rassegnati”, mi disse, a sipario chiuso e a premio consegnato. “Per me è lo stesso”, aggiunse. Mi sentii compresa da quel signore barbuto dall’aura saggia che in quel momento per me rappresentava un vecchio re che con una spada posata sulle spalle del cavaliere lo investe del suo ruolo, dandogli la sua benedizione nel portare avanti la sua missione.

Il mio primo provino ad Amici

Qualche mese dopo, a 18 anni compiuti, mi buttai sui provini di Amici. Fu una giornata estenuante. Eravamo in migliaia. Attesi ore e ore il mio turno per cantare. Mi misi in fila al mattino prestissimo, ci passarono una lista di una quindicina di brani tra cui scegliere. Selezionai What a feeling di Irene Cara. Non era esattamente tra i miei cavalli di battaglia, ma da quella lista improbabile era forse la canzone a me più affine. Il mio momento arrivò che fuori era già buio da un pezzo. Aspettai una giornata intera, con l’ansia per l’esibizione e con il pensiero di mio padre “abbandonato” ad aspettarmi fuori con gli altri genitori.

A quei tempi, quel provino mi sembrava una questione di vita o di morte, con la mia sorte interamente nelle mani di Peppe Vessicchio. Perché era lui lo “scoglio” da superare per quella feroce prima scrematura. Ci presentavano davanti a lui a batterie da sei o sette persone che avevano scelto lo stesso pezzo, che era un taglio da un minuto circa, e di cui cantavamo una riga o poco più a testa.

Vessicchio stava in piedi di fronte a noi, a testa bassa e occhi chiusi, con la mano a sorreggere il mento, concentrato nell’ascoltare. Quei pochi secondi davvero gli bastavano. Non voleva sapere il tuo nome, nemmeno ti guardava in faccia, non si faceva influenzare da nient’altro che dalla voce. In quel primo provino non c’erano fattori televisivi, storie strappalacrime o look stravaganti che entravano in gioco. Non oso pensare quanto anche per lui quella giornata dovesse essere infinita e stancante. E non era nemmeno l’unica giornata di selezioni “di massa”. Ma lui rimaneva stoicamente concentrato e professionale. Dedicava a tutti la stessa completa attenzione.

Come andò il provino

Peppe Vessicchio, con gli occhi che sembravano nascondersi in mezzo alla folta barba, faceva un solo gesto con la mano per farti capire che dovevi finire la tua frase per far proseguire la ragazza alla tua sinistra con il verso successivo. E quel gesto significava che aveva già capito di che pasta eri fatta, nel bene e nel male.

I can have it all, now I’m dancing for my life”. Attesi una cosa tipo tredici ore e mezza buttata su un pavimento polveroso, per cantare solo quella frase. Ero stanca, affamata, assetata, dovevo fare pipì. Il gesto con la mano di Vessicchio arrivò pacato ma perentorio, e come una lama affilata su una lavagna mi lasciò un ronzio sordo nelle orecchie, impedendomi di ascoltare chi cantava dopo di me. “Gli sarà bastato per capire che valgo qualcosa o gli ho fatto proprio schifo?”. Non riuscivo a verbalizzare questa domanda nel mio monologo interiore, ma sono sicura che il groviglio di emozioni avesse questa traduzione, a grandi linee. Il silenzio improvviso mi destò dal torpore e mi accorsi che l’ultima ragazza della mia batteria terminò di cantare. Ancora intontita, vidi Vessicchio che mi disse di fare un passo in avanti. Avevo superato il provino.

Dopo quel giorno, incontrai il Maestro molte altre volte nel corso degli anni, e a prescindere da come sono andate poi le mie vicende televisive, ho sempre avuto la bella sensazione che ci fosse della stima reciproca tra me e quel vecchio re della musica e che forse, sotto sotto, faceva il tifo per me, come per tanti altri aspiranti cantanti. Tuttora lo vedo come l’unica figura realmente positiva, costruttiva e vera di quell’enorme tritacarne che sono i talent show.

Una grande assenza

Peppe Vessicchio aveva molti altri progetti in essere. Tra le tante cose doveva partire per un tour teatrale con il cantautore Ron e aveva appena pubblicato con DeAgostini il suo secondo libro Bravo, Bravissimo! sull’infanzia di Mozart (per il quale avrebbe dovuto tenere dei firmacopie all’appena terminato Lucca Comics & Games, annullati a causa dell’improvviso peggioramento della sua salute).

A Peppe Vessicchio il mio più grande grazie per aver sempre creduto nei giovani e per aver reso la figura del direttore d’orchestra e del ricercatore musicale meno “elitaria” e più “quotidiana”, senza fronzoli. Grazie per esserti dedicato alla ricerca della semplicità e di un linguaggio accessibile a tutti, accompagnato a un’infinita dedizione, conoscenza e rispetto della musica. Grazie, Maestro, per aver creduto che tutti meritano un po’ di bellezza nella loro vita.

di Marta “Minako” Pedoni

Marta Pedoni
Marta Pedoni

Marta Pedoni è una cantante, attrice e performer. Ha inoltre studiato doppiaggio cantato a Roma presso la Scuola Ermavilo fondata da Ernesto Brancucci.
In arte Minako, sceglie questo nome in onore di Sailor Venus. Classe 1990, la sua vita (nonchè la sua personalità) si divide tra arte e scienza, in equilibrio tra razionalità e sensibilità. Tutto ciò si traduce, per farla breve, in una Principessa Disney laureata in Tecniche di Laboratorio Biomedico.

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