Se c’è un concetto a cui non possiamo sfuggire, è quello del lutto. Parola semplice, facile da richiamare, impossibile da evitare. Quando arriva, ci investe del tutto, come un secchio pieno d’acqua tirato bruscamente dal fondo di un pozzo. Come spesso accade, i concetti più “piccoli” racchiudono mondi vastissimi e viaggi personali che non sapremo mai come affrontare prima di averli già conclusi.
Si tratta di maturazioni graduali, fatte di stadi riconoscibili, ma che subiscono curvature e distorsioni su cui non abbiamo potere di controllo o previsione.
Il lutto al cinema
Nel cinema, il tema del lutto è presente molto spesso. The Others (Alejandro Amenábar, 2001) e Il sesto senso (M. Night Shyamalan, 1999), ad esempio, giocano al rovescio e affrontano il tema dall’interno: il punto di vista è quello dell’anima senziente e ancora “viva” nell’aldilà, che soffre la sua stessa condizione di non-vita appena raggiunta. Ma il lutto non appartiene ai morti: è la condizione di chi resta e vive con l’assenza, e presuppone un legame con chi è mancato che è ben diverso e più profondo di quello con la morte in sé.
Ogni volta che si parla di lutto si parla di morte, ma il contrario non è sempre vero. Se così fosse, almeno metà delle pellicole cinematografiche non esisterebbe: horror, azione, thriller e fantascienza usano spesso la morte come oggetto di spettacolarizzazione, ma non necessariamente esplorano il sentimento legato all’evento, che quindi resta mero espediente narrativo. Ma è una questione di punti di vista, e il cinema ne ha tanti.
La scelta di cosa raccontare, come sempre, diventa determinante – per il cineasta, per lo spettatore e persino per la macchina da presa. Che si tratti di un’opera dalla portata universale o il racconto di un’esperienza strettamente personale, è necessario stimolare empatia e quindi lasciare che siano le emozioni a parlare piuttosto che gli eventi. E le emozioni sono complesse, sfaccettate, giocano le une con le altre – come insegna Inside Out – e anche il lutto può essere ben altro che assoluta tristezza. Non è un viaggio lineare e talvolta può persino precedere l’evento stesso o sovrapporsi ad alcuni dei momenti più felici della nostra vita.
Varie forme di lutto
Se in The Farewell (Lulu Wang, 2019) il lutto imminente viene anticipato da una bugia collettiva detta a fin di bene, in Pieces of a Woman (Kornél Mundruczó, 2020 – con una splendida Vanessa Kirby in ascesa), la gioia del parto e la perdita coincidono in una forma di dolore che è pura incredulità, mentre A Ghost Story (David Lowery, 2017) elabora il tema dell’assenza, facendoci sentire il peso di un “semplice” lenzuolo in una scatola vuota e priva di senso che è la vita dei protagonisti.
Un’altra forma ancora di lutto è quello mancato, che esiste nell’assenza di punti di riferimento e prende la forma dell’abbandono. Nel caso del film Pixar Coco (Lee Unkrich & Adrian Molina, 2017) il lutto non elaborato non è solo di chi ne è direttamente interessato ma finisce per investire e condizionare intere generazioni successive. La capacità di ricordare è direttamente legata alla capacità di elaborazione delle emozioni.
E se il ricordo passa attraverso la musica in Coco, così accade anche per Norwegian Wood (Trần Anh Hùng, 2010 – adattamento del romanzo più introspettivo di Murakami) dove le note dei Beatles riportano il protagonista (in cui vive parte dell’autore stesso) indietro nel tempo, ad un momento in cui il lutto è stato contemporaneamente fonte di dolore, scoperta e formazione.
Ed è sempre la musica che, infine, porta il lutto sul piano più elevato e complesso con Alabama Monroe (Felix Van Groeningen 2012), nella forma di una vera e propria disintegrazione identitaria dove razionalismo e spiritualità si confrontano sullo stesso piano vivendo la storia d’amore più bella, folgorante e distruttiva di tutte.
Nella vita come nel cinema
Il lutto, nella vita come nel cinema, è al tempo stesso esperienza comune e irrimediabilmente personale: situazioni, simboli e stereotipi possono ripetersi ma il linguaggio scelto ne trasforma la percezione a chi racconta e a chi osserva.
di Simona Riccio




