Editoriale: chi sei, quando non ricordi più chi eri?

Se esiste un elemento in grado di caratterizzarci a fondo, quello è il ricordo. Sembra un concetto emblematico, ma se ci si ragiona un attimo si comprende qual è la strada che vorrei delineare in questo editoriale.

I ricordi sono figli e vittime delle nostre esperienze: riusciamo a plasmarli, nasconderli, esprimerli tramite reazioni istintive o imprimerli nel nostro essere in forma di traumi. Essi possono essere emotivi, difensivi, bugiardi.

In base alla propria personalità ed esperienza, i ricordi vengono registrati nella nostra memoria oppure nascosti nel subconscio.

E riaffiorano quando meno ce lo aspettiamo, basta uno stimolo visivo, un profumo, una parola familiare: come quando il Soldato d’Inverno fu risvegliato dalla sua “frase in codice”. A grandi linee, i ricordi sono il nostro passato primordiale, il nostro presente e, in qualche modo idealizzato, il nostro futuro.

Ricordi emotivi, un ponte attraverso l’utero

Le voci indistinte, da ricercare nel buio delle onde del ventre materno come ricordi ovattati. Poi fuori, i profumi e il ricordo ancora di quelle voci, ora più chiare e riconoscibili.

Io ricordo, come una nebbia confusa, tantissimi volti avvicendarsi dall’alto del letto: tutti diversi, intenti a cambiare maschera a ogni sorriso. Nei fatti reali ero solo una bambina che veniva salutata da parenti e amici, ma la mia piccola mente non riusciva a concepire l’esistenza di così tante persone oltre la culla.

Flash forward: i compagni di scuola, il morso del gatto sul volto, Rossana alle 16 su italia1, il primo amore per i libri, le persone sparite dietro l’angolo, le fondamenta umane. Tutto ciò cambia di continuo nella memoria, assumendo tratti che si piegano in base al mio umore.

È incredibile come uno stesso ricordo possa modificare così radicalmente la sua entità col passare dei minuti. Eppure succede.

Quante persone sono diventate ricordi e quante sono diventate concrete: chi vive solo nella memoria e chi lontano mille miglia. Oppure chi è diventato un’ombra nella nostra vita e non sarà mai più, con un briciolo di amaro tra le labbra.

Ricordi esperienziali

I ricordi sono le esperienze: quanto era dolce il quadretto di cioccolato che papà tagliava dopo cena e com’era amaro lo sciroppo con la febbre che sfiorava il soffitto.

Ancora, il fuoco delle candele quando ci passavo per gioco le dita o il mare agitato che mi risputava sulla spiaggia con tutta la tavoletta al seguito.

I primi cibi cotti con inesperienza, le torte nascoste nella spazzatura e altre fotografate con orgoglio. I giochi in cui ero una frana e le nottate passate a guardare tutta la saga di Star Wars, in attesa della seduta di laurea.

Sono memorie di salvataggio, quando non riesci a stimarti abbastanza: esperienze che ti salvano in tutti i sensi, ricordandoti che ogni giorno ti muovi e diventi migliore rispetto al giorno precedente. Poi, mi raccomando, ricorda anche di aumentare le statistiche a inizio livello.

Ricordi che sbiadiscono

dellamorte e dellamore scena finale

Noi siamo i nostri ricordi, la nostra storia, la nostra identità.

Parliamo rievocando conoscenze, fatti accaduti e piccoli inciampi che ci servono da lezione per fare sempre meglio. Ci ricordano, per l’appunto.

I ricordi, a volte, svaniscono.

Si lasciano in un cassetto, ci sovrascriviamo tonnellate di altri ricordi sopra o, semplicemente, sbiadiscono. Possiamo dimenticare cosa abbiamo mangiato la sera prima per cena o come finiva quel film visto poco prima di dormire.

È un bel casino, però, se dimentichiamo tutto il resto.

Francesco DellaMorte (ovvero Dylan Dog) nel film “DellAmorte e DellAmore” di Michele Soavi, tratto dall’omonimo romanzo di Tiziano Sclavi, a un certo punto della storia si trova ai confini del suo paese d’origine. La strada si interrompe di colpo davanti le ruote della sua macchina e l’unica cosa che gli resta da fare è tornare indietro alla propria vita, fatta di coazione a ripetere.

Immagino così la perdita di ricordi: un strada che si è impossibilitati a percorrere, la perdita dell’asfalto sotto ai piedi, la mancanza di certezze.

Chi sono? Qual è il mio scopo?

I ricordi servono a determinarci, a creare un motivo per alzarci la mattina dal letto e continuare a costruire cose belle per noi e per il resto dell’umanità che ci circonda, anche se ci limitiamo a un gruppo ristretto di persone.

Ci riguardano e determinano, per questo ciò che è importante è preservarli da umori storti, opinioni non richieste, vite allo sbando. I ricordi sono quanto di più prezioso possediamo. Essi custodiscono la nostra identità ed è per questo che vanno preservati con cura.

Miriam My Caruso

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

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