“For those who come after”.
Non è solo una frase. È un giuramento. Un’eredità. Una direzione da seguire.
In Clair Obscur: Expedition 33, videogioco sviluppato dallo studio francese Sandfall Interactive e pubblicato da Kepler Interactive, queste parole risuonano come un mantra silenzioso. Un richiamo inciso nella memoria dei personaggi, e destinato a restare nel cuore di chi gioca.
Viviamo in un’epoca in cui ogni momento può essere salvato, condiviso, archiviato. Ma la memoria autentica – quella che ci forma, ci ferisce, ci salva – resta fragile, selettiva, personale.
La memoria è ciò che ci lega agli altri e, allo stesso tempo, ci distingue. È il filo invisibile che attraversa le generazioni, costruendo insieme l’identità collettiva e personale. Ogni ricordo è un frammento di un mosaico più grande, una storia che si intreccia con altre storie. Ma ricordare non è un atto neutro: è un processo vivo, in continuo cambiamento, influenzato dalle emozioni e dai punti di vista. Custodiamo non solo ciò che è accaduto, ma ciò che abbiamo scelto di tenere nel cuore.
In questo mondo dipinto, decadente e poetico con una punta di surrealismo, la memoria diventa un campo di battaglia.
Una forma di resistenza. Un modo per esistere.
Un mondo dipinto, una lotta contro l’oblio
Nel gioco, la minaccia dell’oblio prende forma nel Gommage, un atto misterioso e crudele in cui la Pittrice, entità divina e distante, cancella la vita delle persone semplicemente scrivendo un numero sul Monolito. Un destino inesorabile, ciclico.
I membri dell’Expedition 33 non combattono solo per fermare la Pittrice. Combattono per non essere dimenticati. Per proteggere ciò che li definisce: la loro identità, la loro voce, la loro storia.
Ogni parola detta, ogni gesto compiuto, ha il sapore di un testamento. Come se tutto dovesse sopravvivere alla pennellata dell’oblio.
Clair Obscur: Expedition 33 è un’opera che vive nel chiaroscuro. Non solo visivo, ma concettuale.
Luci e ombre si alternano in ambienti che sembrano dipinti a olio, ma che si sgretolano al passaggio del giocatore. L’estetica mescola Art Nouveau e decadentismo, suggerendo che anche la bellezza, come la memoria, è destinata a dissolversi.
Ogni elemento del mondo di gioco è intriso di simbolismo, e le metafore si intrecciano continuamente con l’estetica e la narrazione. La tela, su cui è letteralmente dipinto il mondo, non è solo uno sfondo artistico: è al tempo stesso ambiente e prigione, un luogo meraviglioso che cela però un destino già scritto, impossibile da cambiare. In questo universo, anche gli strumenti dell’arte si caricano di ambiguità: il pennello, simbolo classico di creazione, diventa anche un’arma di cancellazione, lo strumento con cui la Pittrice dà forma ma anche annienta, con lo stesso gesto.
E poi c’è la Pittrice stessa, figura centrale e sfuggente. È un’entità quasi divina, distante e incomprensibile, che incarna il potere assoluto sulla memoria e sull’esistenza. Può dare vita con un colpo di pennello, ma può anche cancellare senza pietà, senza apparente criterio, senza lasciare traccia. È creatrice e carnefice insieme, e nel suo dualismo si riflette tutta la fragilità del ricordo.
Accettare il dolore, accettare la verità
Clair Obscur: Expedition 33 si chiude con due possibili scelte, entrambe legate al modo in cui affrontiamo i nostri ricordi.
Due finali, due visioni della memoria.
Il personaggio di Verso, nel suo finale, accetta che ricordare non significa conservare tutto, ma fare spazio anche alla perdita. Accetta che ogni ricordo è incompleto, fragile, imperfetto. Ma è reale.
Il gesto di Verso è potente: ci mostra che la vera memoria non è fermare il tempo, ma vivere con ciò che resta, anche quando fa male. È un invito ad abbracciare la morte come parte della vita. A riconoscere che ogni cosa amata come ogni persona amata esiste anche nella sua assenza.
La memoria non è solo conforto e gioia: spesso è dolore, nostalgia, rimpianto. Eppure, proprio in questo dolore si nasconde la profondità dell’esperienza umana. Ricordare significa accettare la fragilità della vita, la caducità di ogni momento. Ma anche trovare la forza per andare avanti, per portare con noi ciò che abbiamo amato e che non c’è più. Il ricordo diventa così una forma di amore, un modo per tenere viva la presenza di ciò che sembra ormai lontano.
Clair Obscur: Expedition 33, tra ricordi e oblio
Siamo ciò che ricordiamo, e allo stesso tempo siamo ciò che scegliamo di dimenticare. La memoria costruisce la nostra identità, ci definisce come individui e come comunità. Senza ricordo, senza memoria, saremmo come foglie al vento, senza radici né direzione. Ma la memoria non è mai fissa o definitiva: è un racconto in divenire, un dialogo tra chi eravamo e chi siamo diventati.
I ricordi non sono soltanto ciò che salviamo dal tempo. Sono anche le scelte che facciamo per andare avanti. Forse, è ciò che ci spinge a vivere con più intenzione, con più verità.
A lasciare qualcosa. A scrivere il nostro nome, anche solo in una carezza, in una parola, in un ultimo sguardo.
Alla fine, ricordare è un dono e un compito. Un modo per dare senso al passato e per illuminare il cammino di chi verrà dopo. Ogni memoria che conserviamo è un seme piantato nel terreno del futuro, un gesto d’amore che trascende il tempo e lo spazio. Ricordare significa continuare a vivere, a raccontare, a lasciare un’impronta indelebile nel cuore di chi ci seguirà.
Per chi verrà dopo.
di Federica Curcio