In un’epoca in cui il burnout è diventato una realtà diffusa e la salute mentale è finalmente al centro del dibattito pubblico, Cicala di Shaun Tan emerge come un’opera essenziale.
Breve ma potente, una storia illustrata che sorpassa i confini del fumetto tradizionale per offrirci una riflessione intensa sull’alienazione, la depressione e la rinascita.
Nel grigiore del cemento, Cicala lavora. Sommessamente, ogni giorno, per 17 anni. Non chiede nulla e non prevarica su nessuno, così educata da risultare quasi invisibile.
“Pagare affitto Cicala non può. In ufficio vive: intercapedine. Compagnia finge: non sa. Tok! Tok! Tok!”
Cicala di Shaun Tan: metafora visiva della salute mentale nel mondo del lavoro
Cicala lavora in un ufficio. Non riceve alcun beneficio, perché non è umano. Non può usare il bagno dell’ufficio perché è riservato agli umani. Lavora duramente, finendo il lavoro degli altri. A volte gli umani lo picchiano perché è diverso.
Il linguaggio spezzato utilizzato dall’autore in queste pagine riflette non solo la barriera culturale (la cicala è straniera), ma anche lo stato emotivo frammentato del protagonista. Questo personaggio rappresenta chiunque abbia sperimentato il logoramento psicologico in un ambiente ostile: i lavoratori invisibili, i migranti ignorati, gli impiegati consumati da un sistema che premia l’efficienza ma dimentica l’umanità.
Il ritornello “tok, tok, tok” rappresenta tutto ciò che sentiamo ma che non sempre riusciamo a esprimere a parole. È ingiustizia, è abbandono, è crudeltà.
Alla fine, per Cicala arriva il momento di andare in pensione. Non c’è una festa o un addio affettuoso, ma solo la liberazione della scrivania. È giunto il momento di dire addio. Decide quindi di salire sul tetto dell’ufficio, ma… è proprio lì che accadrà qualcosa di veramente straordinario.
Proprio come le vere cicale, anche il protagonista di questa storia ha un destino pieno di luce. Dopo anni di silenzio e oppressione, arriva il momento della metamorfosi, che non sarà solo un atto di liberazione fisica, ma una profonda riflessione sulla condizione umana, sulla capacità di evolvere e rivelarsi per ciò che si è veramente.
Lo stile grafico di Shaun Tan: simbolismo e poesia visiva
Shaun Tan è noto per il suo stile visivo unico, capace di fondere il linguaggio dell’illustrazione con la profondità narrativa della letteratura. In Cicala, questa cifra stilistica raggiunge una sintesi perfetta: ogni tavola è costruita con una cura quasi cinematografica, in cui la composizione delle immagini comunica tanto quanto le parole.
Le scene ambientate in ufficio sono dominate da toni grigi, verdi spenti e marroni freddi, colori che evocano subito un senso di stanchezza e alienazione. Gli ambienti sono ripetitivi, asettici, costruiti con prospettive rigidamente ortogonali che ricordano gabbie o labirinti. L’ufficio diventa una metafora visiva della prigione mentale in cui è intrappolata la cicala.
Il protagonista è disegnato con tratti semplici ma espressivi. Il suo corpo, goffo e fuori posto, contrasta fortemente con la rigidità dell’ambiente circostante. Eppure, i suoi occhi e i suoi gesti suggeriscono emozioni profonde.
Nella parte finale della storia si tocca quello che definirei come un momento lirico, quasi sacro. Il cambiamento grafico accompagna quello emotivo: è la liberazione interiore che si traduce in uno spazio visivo nuovo, aperto, finalmente respirabile.
Perché è importante leggere Cicala
Viviamo in una società iper-produttiva che spesso misura il valore delle persone in base alla loro efficienza, non al loro benessere. In questo contesto, c’è chi soffre in silenzio e, per stanchezza, isolamento, o mancanza di riconoscimento, rischia di diventare invisibile. Quest’opera dà voce a queste esistenze marginali. La sofferenza del suo protagonista non è gridata, non è drammatizzata: è sottile, quotidiana, reale. Ed è proprio questa semplicità che la rende universale.
Cicala è un’opera di denuncia e di rivalsa. Un racconto che invita tutti i lettori a non cadere, a non smettere di combattere, a non sentirsi soli e infinitamente sbagliati.
La metamorfosi finale diventa una potente metafora della guarigione: non sempre facile, spesso solitaria, ma possibile. La cicala che canta alla fine del libro è un inno alla resilienza.
“Cicala tutte a foresta tornano. A volte pensano a Umani. A smettere di ridere non riescono. Tok! Tok! Tok!”
Leggere oggi questa storia significa fare un esercizio di empatia, di ascolto silenzioso e attento verso chi ci sta accanto. Ci ricorda che spesso chi sembra “funzionare” sul piano lavorativo sta combattendo una battaglia interiore di cui non vediamo nulla. Ci insegna che il rispetto, il riconoscimento e l’umanità non sono bonus, ma diritti fondamentali.
di Federica Curcio