MediEvil, scheletri protagonisti: oltre il ruolo di nemici senza fine

Tra le nebbie di Gallowmere e le risate macabre dei non-morti, MediEvil resta ancora oggi uno dei titoli più iconici dell’era PlayStation.

Al centro della storia c’è Sir Daniel Fortesque, l’ormai leggendario cavaliere scheletrico, tanto maldestro quanto indimenticabile.

Secondo la leggenda, fu lui a sconfiggere il malvagio stregone Zarok. Ma la verità è un’altra: Dan cadde in battaglia al primo scontro, colpito da una freccia ancor prima di poter combattere.
Cento anni dopo, Zarok ritorna. Nel riportare i morti in vita, risveglia per errore proprio lui: un eroe accidentale, che ora ha una seconda occasione per salvare davvero il regno.

Ma cosa rende MediEvil ancora oggi così interessante? E come mai vi è questa fascinazione videoludica verso i non-morti?

L’umorismo gotico di MediEvil

Lanciato nel 1998, questo gioco è una vera e propria favola gotica, intrisa di ironia, malinconia e umorismo nero. Mai banale. Il design dei livelli, l’ispirazione visiva, la tradizione horror britannica e la colonna sonora orchestrale hanno contribuito a renderlo unico nel panorama videoludico. MediEvil - videogioco Playstation1

Sir Daniel Fortesque è un eroe per caso, un impostore diventato leggenda, costretto a confrontarsi con il proprio passato e a guadagnarsi davvero l’onore che gli fu attribuito per sbaglio.
Questo rende la sua missione profondamente umana, nonostante le ossa in vista.

È il simbolo dell’imperfezione eroica, quasi una parodia di un cavaliere. In un’epoca videoludica dominata da protagonisti invincibili e narrativamente “puliti”, Sir Dan è un outsider. È goffo, muto (nel primo gioco, letteralmente), impacciato… Ma determinato. Rappresenta tutti quelli che non hanno avuto una seconda occasione. E quando finalmente gli viene data, se la gioca fino in fondo.

Perché i non-morti ci affascinano così tanto nei videogiochi? 

Scheletri e non-morti non sono mai stati solo semplici nemici da spazzare via nei videogiochi. Da tempo immemore, queste creature infestano un po’ tutti i generi.

Per cominciare, gli scheletri sono la rappresentazione perfetta di un nemico eterno e instancabile. Essendo fatti solo di ossa, non si arrendono, non si stancano e soprattutto non muoiono mai davvero. Questo li rende antagonisti ideali per creare un senso di pericolo costante e insidioso: sono sempre lì che camminano, scricchiolano e inseguono il giocatore senza tregua. In termini di gameplay, questo significa sfide continue e tensione sempre alta.

Ma il fascino degli scheletri e degli altri non-morti va ben oltre la loro funzione di nemici. Queste creature sono metafore potentissime che incarnano temi universali e profondi: la morte, il rimpianto, l’identità persa, la possibilità di redenzione. Gli scheletri, in particolare, sono come simboli di fallimento, di ciò che resta quando tutto è andato perso, ma anche di resistenza, perché nonostante tutto continuano a muoversi. Sono figure inquietanti ma, allo stesso tempo, incredibilmente cariche di significato.

Esteticamente, gli scheletri offrono infinite possibilità. Il loro design semplice permette animazioni fantasiose e spettrali. Di contorno, ambientazioni tetre e decadenti come castelli abbandonati, cripte dimenticate, campi di battaglia infestati. Il mondo degli scheletri è un universo di atmosfere perfette per esplorare il macabro con libertà artistica totale.

Dallo sfondo al centro della scena: la rivincita degli scheletri

MediEvil ha segnato un momento decisivo nel modo in cui gli scheletri sono stati rappresentati nei videogiochi. Per anni relegati a semplici nemici di contorno, comparse nei dungeon o ostacoli di basso livello, gli scheletri sono finalmente usciti dall’ombra per conquistare il ruolo di protagonisti.

Questa trasformazione affonda le sue radici in opere di grande spessore, tra cui spicca Grim Fandango (1998). Già all’epoca, il gioco offriva un universo popolato da defunti con sogni, passioni e drammi esistenziali, trattando il tema della morte con intelligenza, umorismo e profondità. Fu una pietra miliare che aprì la strada a narrazioni più complesse e sfumate nel modo di rappresentare la vita dopo la morte in questo ambito.

The Wardrobe - videogioco

Più di recente, titoli come The Wardrobe (2017) hanno raccolto questo testimone. Dopo essere morto per errore durante un picnic, Skinny torna in vita come scheletro e passa cinque anni nascosto nell’armadio del suo amico Ronald. Quando l’armadio finisce in discarica durante un trasloco, Skinny deve fuggire e affrontare strane avventure per ritrovare Ronald.

Oggi, giochi come Skul: The Hero Slayer continuano questa evoluzione, ribaltando la prospettiva tradizionale. Qui non sei più l’eroe umano che combatte gli scheletri, ma uno scheletro stesso, un protagonista che mette in discussione i classici ruoli di bene e male, eroe e mostro. Questa nuova visione offre uno sguardo alternativo e più profondo sul concetto di giustizia e identità nel videogioco.

Cosa ci insegna oggi Sir Daniel?

MediEvil ci ricorda che anche chi ha fallito può cambiare il proprio destino. Sir Daniel, con la sua seconda vita da scheletro, ci mostra che la morte non è sempre qualcosa di cupo o definitivo: può essere ironica, liberatoria, persino una nuova opportunità.

Nonostante l’aspetto semplice e spoglio degli scheletri, questi riescono a raccontare storie profonde e complesse, proprio come il nostro eroe. In un mondo che ci spinge a essere perfetti, sempre vincenti, Sir Daniel ci insegna il valore dell’imperfezione, della vulnerabilità e della rinascita, ricordandoci che ciò che conta davvero è ciò che portiamo dentro, non quello che mostriamo all’esterno.

di Federica Curcio

Federica Curcio
Federica Curcio
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