Oggi non è una bella giornata.
È una di quelle giornate che ti svegli storta, ti giri dall’altra parte e speri che la sveglia non ti stia per confermare che in fondo in fondo già lo sai: è tardi e non hai alcun diritto di rimetterti a dormire. Anche perché l’hai già spostata almeno tre volte e continuerà a suonare ogni 5 minuti finché non ti deciderai a scendere dal letto. Devi fare gli esami del sangue alle 8:00 in punto e tuo figlio deve entrare al pre-scuola prima delle 7:45, se vuoi avere il tempo necessario per arrivare in ospedale e poi timbrare il cartellino ad un orario quantomeno decente. Lavorare in ospedale dà almeno qualche vantaggio…
Ti svegli, cerchi di connettere la testa con il corpo. Lei è già sveglia e pimpante, sta già partorendo pensieri a non finire, comandando quella macchina scassata come se avesse una Ferrari invece che una Panda sotto l’ipotalamo. Non tutti quei pensieri sono effettivamente utili. Per metà li condisci con autocommiserazione, l’altra metà è contesa tra domande infamanti e pensieri poco oggettivi. È pronta la cartella per la scuola? Ho ricomprato il latte? Ho preso le pastiglie? Lo sai, non smetterà di chiedere per un bel po’, ci sei abituata.
Non puoi trascinarti, hai da fare, da scattare. Segui tuo figlio per tutta la preparazione, così nel mentre non ti scordi neanche tu i passaggi. Ti lanci in macchina e come una fionda, ma senza superare i limiti di velocità, arrivi a scuola. Lui scende, ti saluta, ti lancia un bacio e tu te lo divori ripartendo veloce, appena lo vedi sparire al portone.
Oggi non è una bella giornata.
Te ne rendi conto quando la sbarra del parcheggio non ha proprio voglia di alzarsi. Hai quell’aggeggio che la fotocellula dovrebbe leggere attaccato al cruscotto eppure, chissà come mai, non lo prende mai come dovrebbe. E tu stai lì a litigare con il braccio alzato fuori dal finestrino, finché non riesci a farla sollevare. Lo sai, dovresti prepararla prima, eppure ti ostini a pensare che prima o poi la tecnologia chiuderà un occhio con te e ti farà entrare al lavoro senza farti fare una lezione di aerobica.
Parcheggi, voli al centro prelievi, odi gli aghi ma forse oggi ti capiterà quella infermiera che non ti riduce il braccio come un groviera. La fila all’esterno è tutt’altro che incoraggiante. Prendi il tuo numero, aspetti il tuo turno mentre insegui la tua testa che sta continuando a snocciolare i passi successivi da seguire. Perché lo sai che il peggio deve ancora venire.
Riprendi il percorso che ti porta all’ufficio, dribblando quella collaboratrice che ha deciso di fare il comizio non autorizzato nei corridoi per convincere le colleghe indecise a votare il tal parente alle comunali, dato che, tra l’altro, lo sai di votare dalla parte opposta del suo parlamento. Ti fermi al bar a prendere un cappuccino per evitare di arrivare in orizzontale alla scrivania e fai finalmente passare il badge nella timbratrice. Ora sei ufficialmente stipendiabile e puoi struggerti come tutti gli altri dipendenti pubblici, in bilico tra qualche tutela e un lavoro alienante.
Oggi non è una bella giornata.
Ma in realtà lo sai che non è una bella giornata da un po’, da quando ti hanno spostato su quel lavoro ignobile che riesci a malapena a sopportare.
Ai piani alti hanno finalmente capito che le liste d’attesa post-Covid sono diventate indecenti e, come è ingiusto che sia, prendono tante piccole decisioni che cercano di tamponare lo strappo irrimediabile che si è aperto nella fiducia degli utenti nell’istituzione sanitaria.
E tu sei uno di quei tamponi, la risorsa che si trova a effettuare giornalmente chiamate su chiamate per ricordare a ogni paziente il suo appuntamento di qualche giorno più tardi. “Buongiorno, sono Giulia dell’ospedale, lei è il signor Tal dei Tali? La chiamo per confermare l’appuntamento di giovedì, sarà presente? Grazie mille, era solo questo. Salve, buona giornata”. La speranza? Che si presentino, naturalmente. E se non si devono presentare, recuperi il campo vuoto dell’agenda, rimettendolo in lista per qualcun altro in attesa.
Un lavoro nobile, dicono, se non fosse che quasi tutti quelli che chiami ti ricordano che è la seconda chiamata che ricevono, hanno già ricevuto mail e sms di promemoria e sì, sì, santo cielo, sì, verranno a questo diavolo di appuntamento. E tu ringrazi e segni la conferma, passando alla prossima telefonata, tutto il giorno.
Ormai vedi la tua mano schiacciare i tasti sul telefono a rallentatore, e senti la scatola toracica farsi pesante a ogni nuova volta che il sistema ti butta fuori dal sistema. E lo sai che la pagina non si aggiorna se clicchi F5 perché non funziona e devi ripartire daccapo.
Senti alla base del collo tirare come se qualcuno ti stesse afferrando dall’interno la giugulare e te la stia torcendo in un pugno alla base del cuore. E senti quel badge come se fosse un enorme peso, un cappio al collo che ti fa mancare sempre di più il fiato ogni volta che prende dentro la scrivania, e senti lo stomaco schiacciarsi in un altro crampo mentre aspetti che qualcuno ti risponda dall’altro capo del telefono dandoti la possibilità di reportizzare anche quella telefonata, e senti che ti sale nella gola un conato di urla che vorresti solo far esplodere sullo schermo del computer, vi prego fatemi uscire da questa maledetta stanza, ma “Buongiorno, sono Giulia, la chiamo dall’ospedale per ricordarle…”.
Oggi non è stata una bella giornata.
Ma tu riprendi fiato perché sei appoggiata sul volante della macchina parcheggiata sotto casa. Hai superato il lavoro, non hai sbroccato con nessuno e vorresti solo farti una doccia e infilarti sotto le coperte. Vorresti dire che è finita, ma lo sai che appena scenderai da quella macchina, avrai una casa da mantenere, un piccolo umano che ti chiama mamma che ha bisogno di te, un articolo che vorresti davvero scrivere per riuscire a defenestrare quella tremenda sindrome dell’impostore e quella voce che ti dice che non sei abbastanza brava per scrivere su una rivista online che tu stessa hai imparato ad amare come lettrice.
E al contempo lo sai, sei consapevole che questo è solo un giorno, solo uno. E domani arriverà e sarà di nuovo tutto uguale al giorno prima, ma con un po’ di speranza non sarà peggiore di quello appena passato. Lo sai. Lo so…
Ho preso le pastiglie questa mattina?
Se la tua giornata è anche solo un pochino come la mia e le sensazioni che senti sembra non ti lascino alcuno scampo, ti prego non mollare.
Non sei da solo in quel marasma che è la vita.
di Giulia P.