Editoriale: il corpo che salta male, l’avatar che vola

Un tempo le nostre gambe avevano due dimensioni. Correvano su strade fatte di quadrati grigi e marroni e si bloccavano in vicoli ciechi, forse troppo limitanti. Potevano percorrere mari di quadrati cerulei o attraversare pattern verde scuro. Poi, pian piano, hanno cominciato a mutare forma: le caviglie hanno sfondato la terza dimensione, correndo più fluide, e i quadrati sono diventati più piccoli e definiti.

Mani di carne che plasmano mani digitali: la creazione di un proprio avatar videoludico ha un ché di straordinario. In pochi passaggi possiamo diventare chiunque vogliamo, dividendo la nostra personalità in tanti piccoli pezzettini.

La domanda “e se?” diventa una costante e il gioco si trasforma in un’immensa piscina da esplorare e navigare.

Ma questo cosa significa?

Innamorarsi di una propria dimensione altra

editor inzoi

Se nella realtà molti paletti ci sono imposti dalla fisica, dall’etica e dalla morale, nell’universo videoludico ogni forma di repressione viene abbattuta. Cadono i tabù e, irrimediabilmente, può capitare di diventare spietati, violenti e spericolati. L’adrenalina attraversa le dita e colpisce dritto il quadrato e la x, con spazi di manovra su R2 ed L2.

C’è chi confeziona un doppio di sé stesso e chi il proprio opposto, chi entra in storytelling esotici e chi, la sua storia, la coltiva da sé. Io stessa ho ricostruito le mie fattezze in The Sims, con il mio stesso lavoro e tempi accelerati di scrittura in stile macchina da guerra.

Spoiler: anche lei, il mio doppio intendo, aveva poco tempo per svagarsi e occhiaie prepotenti sotto agli occhi.

Ma in sintesi, cosa mi incollava a quella riproduzione “pastellosa della realtà?

Comfort zone digitale

È proprio oltre lo schermo freddo, che sia di una tv a tanti pollici alzati o una piccola console portatile, che si può trovare una zona di conforto. Conforto dalla vita, dalle delusioni, dalla frustrazione. Quel conforto necessario a rielaborare la realtà per paura di esserne sopraffatti.

Oppure, ancora, fuggire dallo stress e dalla noia. Puoi essere un soldato, un supereroe, un cavaliere o un piccolo gattino armato fino alla coda. Non importa se fai errori o rimani ferito: puoi curarti o, alla peggio, ricominciare tutto da capo.

Puoi volare e scoprire nuovi mondi, attraversarne i confini!

Perderti e ritrovarti in mappa, utilizzare bussole che ruotano col tuo sguardo. Ancora, fare amicizia con centinaia di giocatori da ogni parte del globo, online, e studiarne il gameplay influenzato anch’esso dal proprio contesto sociale. E ti sembrerà di avere tanti amici, ma con volti fatti di pixel. Identità che non esistono e sono vive allo stesso tempo, un po’ come quel bel gattaccio di Schrödinger.

Ma…c’è sempre un ma.

Il lato morboso del proprio alter ego

expedition 33 maelle e alicia

In alcuni casi, il terreno diventa più scivoloso. La nostra identità non ci piace più, lo specchio ci mostra un volto e un fisico che non coincidono con le nostre aspettative. Saltiamo male, corriamo peggio, i nostri movimenti sono sgraziati. Il nostro doppio, invece, è slanciato, potente, infallibile, almeno fino al prossimo game over.

Il pericolo è che lo schermo possa ingabbiare il nostro “Io”, plasmando un “Super-Io” così ingombrante da annichilire anche l’“Es”.

Ok, mi sono un attimo lasciata prendere la mano, riprovo a spiegarmi. Alzarsi dal letto, osservare il videogioco poggiato sulla scrivania, afferrare quanto serve dalla cucina per sopravvivere ed entrare in quel mondo. Risvegliarsi solo per il pasto successivo ed entrare in un loop di convivenza sgradita con sé stessi.

I pensieri, le forme, le interazioni sembrano più significative in un mondo che non può farti del male e che può essere controllato, ma a che prezzo?

Si ricerca quella tela, le trame che si avvolgono intorno alle gambe e alle braccia. Il pennello che racconta una storia, proprio come in Expedition 33. Tanti burattini, ritratti sfumati, che recitano la propria parte.

Ma a che prezzo? 

Miriam My Caruso 

Miriam Caruso
Miriam Caruso

Caporedattrice di Niente da Dire, è giornalista pubblicista dal 2018, nel campo nerd, divulgativo e musicale.
Nel 2018 fa il suo ingresso nel digital marketing grazie ad Arkys, verticalizzandosi nella SEO e imparando a mettere a punto strategie di marketing per le aziende.
Nel contempo si laurea in Comunicazione e Tecnologie dell’Informazione nel 2020, acquisendo la lode con una tesi antropologica dedicata al Cannibalismo e agli Zombie di Romero. Nel tempo libero, per non cambiare strada, scrive racconti e gioca a giochi da tavolo e canta, sotto la doccia, fuori, ogni volta che può.

Articoli: 52