Siamo entrati ufficialmente in autunno e, come ogni anno, la mia routine cambia: plaid, bevanda calda e tempo speso a scavare nella mia libreria di Steam. È una specie di rito: reinstallare giochi che non tocco da tempo. Questa volta la scelta è caduta su Dark Souls. Oggi vi racconto perché ancora una zona del gioco mi spaventa come se fosse la prima volta, come un incubo che non riesco a dimenticare.
Il corvo, il santuario e le pessime scelte
Dopo aver sconfitto un demone gigantesco, un corvo mi afferra e mi porta al Santuario del Legame del Fuoco. Il Crestfallen Warrior mi fa il riassunto del mio destino: due campane da suonare, una in alto, una… Chissà dove.
Io, che non so mai stare al mio posto, penso: “Se una è in cima, magari l’altra è nascosta dietro al santuario. Magari è più veloce”.
Così, senza pensarci troppo, imbocco il cimitero. All’inizio sembra tutto tranquillo. Silenzio, tombe, loot che luccicano come caramelle in una vetrina. Ma al primo passo verso il bottino, il terreno prende vita. Uno scheletro si alza, poi un altro, poi un altro ancora. E io, con il mio ladro armato di pugnale, capisco subito di essere la preda perfetta.
Se sei stato abbastanza stupido da scegliere la classe Ladro come me, conosci bene quel senso di impotenza quando capisci che le armi da taglio non sono per nulla efficaci contro i mucchi d’ossa. Morire una volta: comprensibile. Morire dieci volte: educativo. Morire venti volte: personale.
L’unica cosa che sono riuscito a portarmi a casa è uno scudo tondo in legno e una nuova meta. Delle scale.
La tattica della staffetta: correre per salvarsi o per peggiorare tutto?
Interagire con gli scheletri mi ha insegnato una cosa: ci mettono un po’ ad animarsi. Quindi la mia brillante strategia diventa semplice: correre, schivare, raggiungere la scala. La staffetta ha successo, ma sono ancora teso come una corda di violino e non sono per niente rassicurato dall’oscurità che mi si para di fronte. Decido comunque di proseguire.
Appena metto piede nelle catacombe, il silenzio viene spezzato da un urlo di qualcosa che vola. Non faccio in tempo a capire che sono teschi fluttuanti che esplodono se sei troppo vicino.
Il cervello si svuota, resta solo l’istinto: scappare. Corro di nuovo, supero corridoi, schivo scheletri che si rialzano da soli. Uno lo abbatto, convinto di aver vinto… Ma non lascia anime. Non ci faccio caso. Mi giro, lui è di nuovo in piedi. Mi prende alle spalle, mentre altri si materializzano davanti. È un incubo a occhi aperti. Qui gli scheletri non muoiono.
Il falò che non consola
La mia fuga continua tra colonne e urne che ostacolano ogni movimento che mi guidano nell’unico corridoio possibile. Intravedo con la coda dell’occhio una luce: un falò. Senza pensarci troppo provo a raggiungerlo pensando di essere in una zona sicura, ma Dark Souls aveva in serbo per me altro: un uomo vestito di nero che mi accoglie con una calorosa e accogliente palla di fuoco che mi rimanda al punto di partenza.
Sono passate diverse ore e non ne ho cavato un ragno dal buco, così decido di tornarci in un secondo momento.
Il secondo round
Dopo qualche giro per Lordran, equipaggiamento potenziato e statistiche finalmente meno dolorose, sento che è il momento di affrontare di nuovo il mio incubo.
Riparto dal Santuario con una calma che somiglia più a nervosismo ben mascherato: ogni passo verso le scale è un promemoria delle mie precedenti umiliazioni. Corro, scarto i teschi esplosivi con la stessa meccanica della speranza disperata, e questa volta il tizio dal saio nero cade sotto i miei colpi. Il falò diventa una promessa di tregua. Mi siedo, respiro, e provo una sensazione che conosco bene: il sollievo che precede sempre qualcosa di peggio.
Rialzatomi dal checkpoint mi trovo inevitabilmente a dover interagire con una leva. La spingo e sento la pesantezza del marchingegno che sta spostando davvero qualcosa di molto pesante. La tana del bianconiglio si apre ed è più profonda di quanto pensassi.
Ponti fragili e la caduta che risveglia il panico
I ponti scricchiolano come corde tese sul nulla. Uno scheletro mi spinge durante lo scontro: basta un passo falso e scivolo. Atterro su uno spiazzo sotto, riesco a bere un Estus e il sollievo dura un battito — un teschio volante mi assale alle spalle e mi scaraventa più giù. Rimbalzo sul bordo con la vita appesa a un filo; mi aspetto il “You Died”, ma sopravvivo per un soffio.
Scendo ancora, deciso a capire dove sono finito. Grave errore: il fondo è popolato da creature che sembrano uscite da un girone infernale di ingegneria demoniaca. Scheletri-ruota puntati si fiondano su di me a una velocità inaudita cogliendomi di sorpresa e ponendo di nuovo fine alla mia esplorazione.
La resa
Ancora sotto shock, mi alzo per una pausa. Dico tra me e me: “Ho chiuso con le catacombe”. Ci sono momenti in cui restare è inutile, e questo è uno di quelli. Mentre risalgo, il cuore finalmente rallenta, ma la paura non se ne va: si insinua come una cicatrice.
Ho chiuso… Per ora. Ma la verità è che Dark Souls e quelle scale continuano a chiamarmi.
di Nicola Marino