Cosa vuol dire davvero gustare qualcosa? La risposta sembra semplice: assaporare, annusare, masticare, deglutire. È un’esperienza sensoriale, biologica, chimica. Ma è davvero tutto qui? E se a cucinare fosse un robot? Uno che non ha né gusto, né olfatto, né emozioni? Potrebbe mai creare qualcosa di buono? Nella serie animata Futurama, il personaggio di Bender è un robot progettato per piegare tubi. Nulla di creativo insomma. Eppure, in uno degli episodi più iconici della serie (“The 30% Iron Chef”, stagione 4), decide di diventare uno chef. Il problema è che non ha papille gustative, né naso, né la minima idea di come cucinare. I suoi primi esperimenti culinari sono catastrofici: zuppa salatissima, piatti tossici, impiattamenti disastrosi. Eppure, Bender non si arrende.
Quando i suoi amici criticano aspramente i suoi piatti (perché oggettivamente sono immangiabili), se ne va offeso e trova rifugio presso un vecchio chef, Helmut Spargel, un ex rivale del celebre chef Elzar. Spargel accetta di addestrarlo e lo aiuta a credere in sé stesso come cuoco, usando metodi teatrali e un tocco di filosofia.
Quando Bender partecipa a un contest di cucina contro Elzar, lo sfida con un piatto in apparenza semplice, eppure sorprendentemente buono. L’ ingrediente segreto che ha dato sapore al piatto… era semplicemente acqua sporca dei piatti, accidentalmente versata nel pentolone.
Eppure, non è questo l’importante. Il piatto funziona non per la sua composizione, ma per la fiducia, la passione e l’intenzione che Bender ha messo nella sua creazione. Per la prima volta, non ha solo cercato di imitare gli umani: ha cucinato per comunicare qualcosa.
La morale dell’episodio è chiara e sorprendentemente umana: non serve essere perfetti per toccare qualcuno. Basta metterci dentro qualcosa di autentico.
La storia di Bender è ovviamente una parodia, ma solleva una domanda profonda e universale: che cosa rende un cuoco davvero tale?
Non basta saper bilanciare i sapori. Un grande chef è chi riesce a trasmettere qualcosa attraverso il cibo: un’emozione, un’idea, un ricordo. In questo senso, Bender è un artista incompiuto, che cerca nel piatto una via per esprimersi, anche se non può assaggiare ciò che crea. Il suo desiderio di cucinare, pur sapendo di non essere “progettato” per farlo, ci parla di ambizione, identità e trascendenza dei limiti.
Il futuro del gusto: tra stampa 3D e sostenibilità
Ad oggi la stampa 3D sta rivoluzionando la cucina in modi che fino a pochi anni fa sembravano fantascienza.
Aziende come Redefine Meat e Novameat stanno producendo carne stampata a partire da proteine vegetali, riproducendo fibra, consistenza e sapore della carne animale, ma senza allevamenti, senza macellazione, e con un impatto ambientale drasticamente ridotto.
Questo apre scenari straordinari: possiamo salvare milioni di animali, ridurre le emissioni legate all’industria della carne e rendere il cibo più etico, accessibile e sostenibile,
senza rinunciare al piacere sensoriale.
E la stampa 3D è solo la punta dell’iceberg. Altre rivoluzioni alimentari in atto sono:
- Carne coltivata in laboratorio (lab-grown meat):
Ciò che produce Upside Foods non è un sostituto vegetale, ma carne vera, prodotta a partire da cellule animali cresciute in bioreattori. Nessun allevamento, nessuna macellazione. - Latticini senza mucche:
Aziende come Perfect Day producono latte, formaggi e gelati utilizzando lieviti modificati che fermentano e generano proteine identiche a quelle del latte vaccino, senza coinvolgere animali. Il gusto resta lo stesso, ma l’impatto ambientale si riduce drasticamente. L’ideale per noi intolleranti al lattosio e amanti dei formaggi. - Pesce sintetico:
Start-up come Wildtype stanno sviluppando salmone coltivato in laboratorio, indistinguibile da quello pescato. Una soluzione concreta per contrastare la pesca intensiva e preservare gli ecosistemi marini.
Queste innovazioni mostrano che il futuro del cibo non è solo tecnologico, ma profondamente etico e creativo. Proprio come Bender in cucina, anche noi oggi siamo chiamati a reinventare la nostra relazione con il cibo: non solo per nutrirci, ma per esprimere valori, sostenibilità, e forse, anche una nuova forma di gusto collettivo.
E allora, che cos’è davvero il gusto?
Forse non lo troviamo solo nei grandi ristoranti o nei piatti firmati dagli chef stellati, ma anche e soprattutto in quella ricetta di famiglia che conosciamo a memoria, in un profumo che ci riporta a quando eravamo bambini, in un sugo improvvisato la domenica cucinato con amore.
Il gusto, dopotutto, non è solo una questione di chimica: è memoria, è cultura, è identità. È ciò che ci fa sentire a casa, anche quando siamo lontani. Un linguaggio universale.
E chissà: forse persino un robot, come Bender, può trovarvi un’anima.
Non perché sappia cosa vuol dire “buono”, ma perché sceglie di metterci qualcosa di suo. Anche se sbaglia. Anche se non è progettato per farlo. In fondo, cucinare come molte cose nella vita, è un modo per provarci.
Un modo per dire: “Questa è la mia versione, e spero che arrivi a qualcuno”.
di Federica Curcio